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Informazione Corretta Rassegna Stampa
01.03.2008 L'Iran: il pericolo più grande
L'Analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 01 marzo 2008
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «L'Iran: il pericolo più grande»

Pubblichiamo il testo dell'intervneto di Federico Steinhaus al seminario di Hasbarà, tenutosi a Torino il 22-23-24 febbraio 2008, dal titolo. " L' Iran: il pericolo più grande ".

Da quando è stato sollevato il problema dell’Iran come “potenza del male” mi chiedo quanto di tutto quel che sentiamo e leggiamo sia vero, quanto frutto di propaganda e quanto infine sia frutto di analisi che si propongano di dimostrare una tesi.

 

Ovviamente non intendo nel modo più assoluto suggerire che quella sull’Iran sia una montatura che magari fa il paio con il complotto CIA-Mossad per abbattere  il World Trade Center. La negazione della Shoah, la minaccia nucleare, l’odio contro Israele, il supporto ideologico finanziario ed operativo al terrorismo islamico, sono - presi singolarmente e considerati insieme - un pericolo che non si può sottovalutare o banalizzare, ma che può essere piegato a tesi ed interessi di altra natura.

 

 

Una corretta analisi non può prescindere da alcune considerazioni elementari sul legame tra politica e religione. Un legame che in Iran è più pressante e condizionante che in qualsiasi altro paese islamico, Arabia Saudita inclusa. Tuttavia è anche necessario tener sempre presente il fatto che il rito sciita è maggioritario solamente in Iran ed Iraq, mentre tutto il resto del mondo islamico è sunnita, come di matrice sunnita è del resto l’islamismo terrorista di Al Qaeda.

 

Le memorie dell’ex presidente iraniano Ali Akhbar Rafsanjani, di cui è uscito ora il settimo volume dal titolo “Verso il destino”, sono illuminanti a questo riguardo.

 

Rafsanjani fa costantemente riferimento a Khomeini, del quale egli era stato uno dei principali collaboratori, per legittimare le proprie posizioni politiche. A questo proposito è bene ricordare che era stato proprio Khomeini ad indicare gli Stati Uniti come il Grande Satana e la lotta contro gli Stati Uniti come uno dei principi strategici fondamentali per l’Iran. Pertanto anche l’attuale posizione di Rafsanjani, che viene letta come se fosse in aperto contrasto con la strategia del confronto senza compromessi con l’occidente costruita da Ahmadinejad, va considerata con una certa cautela.

 

La leadership iraniana di questi anni è debole ed ha bisogno di trarre la propria legittimazione dagli insegnamenti di Khomeini: come avvenne  per Lenin nell’Unione Sovietica, in Iran ogni esponente politico adatta le parole di Khomeini alle proprie esigenze, ma il peso della religione nel formulare la politica nazionale rimane una costante. Ahmadinejad stesso, spiegando la sua linea  politica, dice di essere un ingegnere che esamina le varie ipotesi con pragmaticità prima di pianificarla, ma di essere anche una persona che crede profondamente nella parola di Dio, e che sarà la fede a dare la vittoria.

 

 

Ciò detto, credo sia opportuno suddividere in due sezioni l’oggetto della nostra analisi, trattando separatamente la minaccia nucleare e quella anti-israeliana, che potrebbero anche seguire strade diverse in futuro.

 

 

Nell’agosto del 2007 Ahmadinejad ha confermato che l’Iran è diventato una potenza globale e che metterà il proprio potenziale nucleare al servizio dello scontro con l’occidente. L’occidente, ha detto, è arrivato al termine della propria storia e la venuta dell’Imam Nascosto (il dodicesimo, il Mahdi, scomparso nel 941) annuncerà fra breve l’era del dominio degli sciiti.

 

Ahmadinejad nei suoi discorsi ufficiali associa politica e fede: l’imperialismo provoca solo guerre, viola i diritti umani, distrugge le risorse naturali,  porta in sé  la corruzione ed il vizio. Il materialismo è sinonimo di disperazione, e solo il più giusto dei governanti, l’Imam Nascosto, potrà governare nel segno del monoteismo di Abramo, facendo rinascere l’amore, la conoscenza e la spiritualità. Ahmadinejad non manca inoltre di sottolineare che la missione dell’Iran trascende i confini geografici del mondo musulmano.

 

Non desta pertanto meraviglia che nel resto del mondo arabo regni una certa preoccupazione. In particolare i maggiori giornali dell’Arabia Saudita hanno denunciato con vigore la collusione di Iran e Siria che manovrando gli Hezbollah vogliono sacrificare il Libano ai propri interessi. L’Iran sta trasferendo agli Hezbollah somme di denaro senza precedenti per consentire l’acquisto di proprietà immobiliari per consolidare il controllo dei territori meridionali del Libano da parte degli sciiti.

 

 

 

Malgrado l’incombente ed esplicita minaccia il fronte degli stati arabi moderati non è tuttavia compatto. Anche a causa della conflittualità sorta da quando – nel 1971 - l’Iran si è impossessato con la forza di tre isole appartenenti agli Emirati, l’Arabia Saudita aveva costituito, due anni fa, un blocco sunnita  che aveva lo scopo di contenere l’espansionismo iraniano; quando però il rapporto ufficiale dell’Intelligence americana ha espresso il parere che l’Iran avesse sospeso il suo programma di armamento nucleare l’ipotesi di un cambiamento di strategia degli Stati Uniti ha portato al collasso di questa alleanza.

 

Lo stato che ha rotto il fronte è stato il Qatar, la cui emittente televisiva Al Jazeera del resto sostiene apertamente Iran e Siria; Ahmadinejad ed il suo ministro degli Esteri hanno immediatamente sottolineato che la collaborazione dell’Iran con gli stati del Golfo era prioritaria e che la politica americana che tendeva a dividere i paesi della regione era fallita. Questo disastro diplomatico spiega anche gli sforzi dispiegati da Bush nella sua recente visita nella regione.

 

 

In Iraq l’Iran ha infiltrato almeno 108 esponenti delle Guardie Rivoluzionarie nel governo di Al Maliki.  Anche in Siria il regime iraniano ha saputo rafforzare legami che esistevano già ai tempi di Assad padre, ma che questi sapeva gestire nell’interesse del proprio paese mentre ora il figlio Bashar ha trasformato quell’ alleanza politica in sudditanza.

 

Per avvalorare sul piano della deterrenza militare queste tesi il sito iraniano Tabnak, vicino all’ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie Mohsen Rezai, un mese fa ha pubblicato una dettagliata analisi della capacità di attacco e difesa dell’Iran nella quale si sottolineava che, qualora attaccato da Israele, l’Iran userebbe il suo trattato strategico di reciproca difesa stipulato con la Siria per lanciare dal territorio siriano missili con una gittata di 500 Km. e pertanto in grado di trasportare maggiori quantità di esplosivi.

 

Lo scorso primo settembre Ali Khamenei ha sostituito il comandante delle Guardie Rivoluzionarie, che occupava quella posizione da 10 anni, nominando al suo posto Mohammed Ali Aziz Jafari, uno specialista di strategia ed un propugnatore della guerra asimmetrica, condotta mediante attacchi di commandos isolati che penetrino in territorio nemico; lo stesso Jafari  ha poi precisato in un articolo successivo alla sua nomina che “la guerra asimmetrica costituisce la nostra strategia…un esempio di questo tipo di guerra è la tattica impiegata dagli Hezbollah durante la guerra del Libano nel 2006”. Il 29 ottobre il vice comandante delle forze navali delle Guardie Rivoluzionarie ha affermato che in caso di aggressione esse sono pronte a condurre operazioni suicide nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz. Ed il 30 settembre Ali Larjani – un interlocutore stabile dell’occidente - ha detto al Financial Times che se gli Stati Uniti attaccassero l’Iran “riceverebbero in cambio Israele in una sedia a rotelle”.

 

 

E con questa affermazione di tipico stampo mafioso entriamo immediatamente nella seconda parte della nostra analisi.

 

Le deliranti esternazioni di Ahmadinejad su Israele e sugli ebrei sono fin troppo note, pertanto ne metterò in fila solo alcune particolarmente indicative.

 

Il 6 ottobre 2007 in un discorso pubblico alla televisione iraniana egli stesso ne ha fornito un compendio: “I governi occidentali che portano il vessillo del secolarismo, dell’antireligione, della mancanza di rispetto per i diritti dei popoli, considerano la difesa del regime sionista come il più sacro dovere al mondo” ; “In alcune di queste superpotenze chiunque voglia divenire presidente deve prima dichiarare ufficialmente che è impegnato nella difesa del sionismo”; “Se qualunque stato dell’America Latina, dell’Africa o dell’Asia vuole firmare un trattato con qualsiasi stato occidentale deve prima riconoscere il regime sionista, sostenerlo e mantenere con esso rapporti economici”; “I leaders di alcune superpotenze occidentali hanno creato qualcosa che si chiama sionismo ed inventato il cosiddetto genocidio degli ebrei; con la propaganda ed una certa atmosfera psicologica , usando l’argomento dei cosiddetti crematori, hanno creato la sensazione che gli ebrei europei fossero oppressi”; “Essi (gli stati occidentali) si permettono di commettere ogni tipo di crimine con il pretesto dell’Olocausto”; “E’ successo in Europa, dunque proponiamo di collocarli in qualche posto in Europa. Potrebbero dire, ed alcuni lo hanno già detto: Ma come? Abbiamo faticato tanto per mandare questi ebrei via dall’Europa ed ora voi volete che ce li riprendiamo? Noi diciamo: Bene, voi non sopportate la presenza di questi sionisti nella vostra regione, ma volete imporli ai popoli di questa regione? Avete vasti territori, dategli un pezzo di Canada o di Alaska”.

 

Ed il 28 agosto in una conferenza stampa Ahmadinejad aveva detto che “i sionisti non hanno religione, ovunque esistono là vi è guerra. Essi sono responsabili della maggior parte delle ingiustizie nel mondo. Essi non vogliono che pace ed amicizia prevalgano fra le nazioni”.

 

Per radicare nella popolazione questi concetti la televisione iraniana, come del resto fanno da anni altre emittenti del mondo arabo cosiddetto moderato e magari firmatario di un trattato di pace con Israele, trasmette serial improntati alla denigrazione degli ebrei oltre che all’ odio nei confronti di Israele. Desta peraltro stupore la disattenzione con cui il resto del mondo assiste a questo scandaloso ed oscuro rituale, tanto è vero  che l’ultimo della serie, “Zero Degree Orbit”, è stato prodotto grazie ad una collaborazione che vede ungheresi, polacchi e francesi al fianco dei libanesi e degli iraniani.

 

 

Arriviamo ora a qualche conclusione, per quanto essa possa essere solo  incerta e provvisoria.

 

 

Innanzi tutto non è assolutamente vero che l’antisemitismo e l’odio nei confronti di Israele siano la prerogativa specifica di Ahmadinejad e che prima di lui i governi iraniani siano stati meno estremisti.  Nei primi giorni dello scorso novembre l’Interpol ha emesso mandati di cattura a carico di 5 iraniani ed un libanese dei quali è stata provata la partecipazione organizzativa ed operativa ad alcune azioni terroristiche.

 

Si tratta degli iraniani Ali Fallahian, un esponente religioso che era stato ministro dell’Intelligence,  Ahmad Vahidi, un generale delle Guardie Rivoluzionarie padre del programma missilistico iraniano, Mohsen Rabbani, attaché culturale presso l’ Ambasciata iraniana a Buenos Aires nel 1994, Mohse Rezaei, capo delle Guardie Repubblicane nella guerra contro l’Iraq, ed Ahmad Reza Asghari, terzo segretario dell’ Ambasciata iraniana a Buenos Aires, e del libanese Imad Moughnieh. Tutti costoro, salvo Fallahian, sono accusati di essere implicati nell’attentato che nel 1994 fece saltare in aria il centro culturale ebraico di Buenos Aires nel quale perirono 85 persone. Fallahian invece è accusato di aver ordinato l’uccisione di tre dissidenti curdi avvenuta in un ristorante di Berlino nel 1997.

 

Non possiamo inoltre dimenticare la quarta conferenza regionale preparatoria della famigerata conferenza mondiale contro il razzismo di Durban. Si svolse a Teheran, guarda un pò il caso birichino, e l’accreditamento fu negato non solo alla delegazione israeliana ma anche a quelle delle ONG ebraiche.

 

Il documento conclusivo, che andò a far parte dei documenti ufficiali di Durban, stabilì che Israele è “uno stato criminale” e costituisce “un peccato originale” (definizione che non suona nuova alle nostre orecchie). La chicca di questo documento tuttavia è quella dell’accusa al sionismo di essere non solo una forma di razzismo ma addirittura antisemita. Come sia poi andata a finire a Durban è cosa nota.

 

Possiamo pertanto concludere che l’antisemitismo e la volontà di distruggere Israele sono parte integrante della strategia politica iraniana fin dai tempi di Khomeini e costituiscono un elemento essenziale della sua visione politica, alla quale i governanti di oggi si ispirano esplicitamente, mentre non vi è motivo per dubitare che lo faranno anche i successori di Ahmadinejad.

 

 

Più virulenta di quanto fosse in precedenza è invece la minaccia nei confronti dell’occidente e degli Stati Uniti in particolare. Ma si tratta, e questo è  - credo – il punto cruciale di cui ogni analisi deve tener conto, di una minaccia che coinvolge  esplicitamente anche il mondo arabo.

 

Non è di certo una novità che l’Iran sciita sia percepito come un pericolo incombente e mortale dal mondo arabo sunnita: non per nulla il laico Iraq di Saddam fece da scudo al resto degli stati arabi nella lunga e sanguinosa guerra contro l’Iran di Khomeini che ancora non era giunto al punto culminante del suo parossismo fanatico.

 

Ahmadinejad rivendica come proprietà iraniana il Bahrein ed estende al Golfo Persico ed a qualunque stato arabo che consenta al nemico il sorvolo del proprio territorio la minaccia di una guerra senza mezze misure, incluso il terrorismo suicida. La dottrina militare iraniana fa dell’attacco preventivo la sua chiave di volta e del suo arsenale di missili balistici con un raggio di 2.000 Km. il suo principale deterrente per sottolineare che ciò colloca tutta la regione alla portata dei propri attacchi. In molte occasioni autorevoli esponenti della politica e delle forze armate, cominciando dallo stesso Ahmadinejad, hanno sottolineato che l’Iran colpirà gli interessi dei nemici ovunque essi si trovino, citando come esempio le truppe dislocate in Afghanistan.

 

 In questo quadro si colloca anche la stretta collaborazione dell’Iran con Al Qaeda. Un membro saudita di Al Qaeda ha raccontato nello scorso novembre sul quotidiano Al-Riyadh  del suo arrivo in Iran dal Pakistan dopo la disfatta dei talebani. Con lui si trovava una trentina di terroristi; si incontrarono con il leader afgano Gulboddin Hekmatyar che fungeva da collegamento con le Guardie Rivoluzionarie e poi col comandante di Al Qaeda Abu Hafs Al-Mauritani. L’intelligence iraniana fornì loro documenti falsi ed in cambio di collaborazione promise un salario mensile di diecimila dollari ed addestramento militare presso gli Hezbollah libanesi.

 

 

Ahmadinejad ha definito l’11 settembre un “incidente” non diverso dall’ “incidente” dell’Olocausto, creati entrambi ad arte dagli occidentali per difendere i loro interessi. In questo modo, con una sola frase, egli ha collegato la minaccia contro l’occidente a quella contro Israele.

 

Quanto c’è di vero e temibile nella sua costante,feroce aggressività? Nel momento in cui vanta la sua potenza militare e pretende di poter possedere anche la tecnologia nucleare l’Iran è costretto a protrarre fino al marzo del 2008 il razionamento della benzina in vigore dal giugno 2007. 40 stazioni di servizio incendiate dai rivoltosi ed 80 arresti ufficialmente dichiarati  sono un segnale di allarme per uno dei paesi che possiedono i più estesi giacimenti petroliferi.

 

La storia ci insegna che le guerre vengono scatenate spesso da regimi che devono poter scaricare le tensioni interne, che hanno ambizioni di potenza, che non hanno la capacità di instaurare una giustizia redistributiva delle risorse economiche, che vogliono richiamare in vita antiche glorie legate ad una visione religiosa assolutista. Scrivendo queste caratteristiche mi sono reso conto di aver tratteggiato un ritratto perfetto dell’attuale regime iraniano.

 

Mi auguro a questo punto che non sia realistico l’allarme lanciato dall’International Herald Tribune in gennaio, quando ha ricordato che nel contesto di una simulazione di guerra organizzata nel 2002 dal Pentagono il generale Van Riper, stratega di fama, applicò la dottrina militare iraniana  e decimò la flotta americana con i mezzi di cui allora disponeva l’Iran.

 

 

Ma esiste anche l’altra faccia di questa inquietante medaglia.

 

Venti e più anni fa il fanatismo di Khomeini ha indotto il mondo arabo-sunnita a muovere guerra all’Iran nella speranza di fermare la forza dirompente del suo espansionismo religioso; la delega all’Iraq di questa difesa armata fu una scelta dettata da varie considerazioni di opportunità, ma di fatto Saddam agì per conto di tutti gli stati arabi e di buona parte di quelli occidentali.

 

Alcuni anni dopo fu proprio  Saddam, che aveva aggredito il Kuwait, oggetto di una analoga e singolare coalizione politico-militare, che come la precedente durò lo spazio della guerra per poi dissolversi nelle eterne faide interne di potere. Ma questi due episodici conflitti dimostrano che un pericolo percepito come globale e comune ha la capacità di modificare le priorità e di creare un fronte unico – unico ma non compatto – di stati arabi ed occidentali. E sicuramente Ahmadinejad costituisce una formidabile minaccia globale che coinvolge occidente e mondo arabo, Islam moderato ed Israele. La stessa Russia , che ora lo sostiene politicamente e gli fornisce quanto occorre per creare un potenziale nucleare, si sentirebbe minacciata da un Iran non più solamente sbruffone.

 

 

Dalla Russia di Putin che, dopo aver cancellato il pericolo ceceno, ambisce ad essere nuovamente una potenza antagonista, fino ad un mondo arabo ed islamico scosso da quel terrorismo che esso stesso ha innescato, il panorama dei pericoli potenziali per la pace in generale e per l’occidente in particolare è vastissimo; i pericoli che corre Israele sono in parte gli stessi, con in più un fattore di imprevedibilità ed ingovernabilità delle situazioni che non favorisce l’ottimismo. Va anche sottolineato che le pulsioni antisemite ed il pregiudizio antiisraeliano che serpeggiano in molti stati occidentali indeboliscono i parametri di valutazione morale e riducono la capacità reattiva.

 

Personalmente, e non senza molti dubbi, vedo in questa realtà l’effettività di una minaccia, mentre ritengo che quella proveniente dall’Iran, proprio perché trasversale ed onnicomprensiva, possa più facilmente essere circoscritta e neutralizzata dal convergere di interessi di più vasta portata.

 

Ecco dunque la ragione della mia iniziale perplessità: è veramente l’Iran la minaccia più grande per Israele? O la vera minaccia non si nasconde piuttosto dietro forze che innescano qualche ingenua forma di condiscendenza e sottovalutazione in relazione ai citati  fenomeni, che sono diffusi ed  apparentemente privi di  collegamenti chiaramente percepibili con la realpolitik regionale?

 


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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