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Giorgia Greco
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Robert Spencer Guida (politicamente scorretta) all'islam e alle crociate 29/02/2008
Guida (politicamente scorretta) all'islam e alle crociate  Robert Spencer
Lindau (pp. 329, euro 19)

Robert Spencer vive sotto protezione in una località segreta. Visto quello che scrive sull'islam, non ce ne meravigliamo. Il saggista americano, direttore del centro studi Jihad Watch, da qualche tempo si dedica a una scientifica demolizione dei miti buonisti che aleggiano in zona "scontro di civiltà". Non fa eccezione, anzi rincara la dose, la sua ultima fatica: "Guida (politicamente scorretta) all'islam e alle crociate", in uscita domani per Lindau (pp. 329, euro 19), di cui riportiamo uno stralcio in anteprima. Spencer prende subito il toro per le corna, mostrando come Maometto fosse un profeta guerriero, che non disdegnava affatto di versare il sangue degli infedeli. Niente "porgi l'altra guancia", in sintesi. Nulla di strano quindi che il Corano trabocchi di esortazioni come «uccideteli ovunque li incontriate». Da qui l'infondatezza di un luogo comune largamente circolante nell'intellighenzia nostrana: quello di una supposta età dell'oro della «tolleranza islamica». Incalza Spencer: «Quando l'11 marzo 2004 i terroristi del jihad bombardarono Madrid, i giornalisti, con atteggiamento ipocrita, ricordarono al mondo i tempi del dominio musulmano in Spagna, esempio di tolleranza». In realtà Spencer mostra, testi alla mano, come l'unica sopravvivenza possibile per gli infedeli all'interno della Sharia sia quella dei sottomessi. Anche lo statuto di Hamas gioca con la chimera della "tolleranza islamica": «All'ombra dell'islam, è possibile che i fedeli delle tre religioni (...) coesistano in pace e sicurezza. Anzi, pace e sicurezza sono possibili solo all'ombra dell'islam». Troppa grazia! Il rischio dell'Oc cidente è abboccare a tutti questi diversivi (tra cui le accuse di "isla mofobia", vero e proprio ricatto morale contro chiunque osi ammonire sul pericolo del terrorismo). Un esempio lampante è il caso della (auto)censura della serie tivù "24", che potete leggere qui a fianco. Se persino la Fox di Murdoch si genuflette davanti agli esagitati in kefiah, consigliamo caldamente a Spencer di continuare a vivere recluso. GIOVANNI SALLUSTI 


In America la libertà di espressione ha le ore contate, almeno per quanto riguarda l'islam. Quando si parla di questioni islamiche e di jihad la tendenza a chiudere un occhio va ben oltre qualsiasi propaganda faziosa. Capita sempre più spesso che l'establishment politicamente corretto consideri «colpevoli di fomentare l'odio» quelle che in realtà sono indagini irreprensibili sulle cause del terrorismo islamico. Il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche, ndr ) ha intentato numerose cause contro chiunque dica dell'islam qualcosa che i suoi membri non gradiscono - terrorizzando chi dice la verità sulla religione. «Senza dubbio il Cair ne è perfettamente consapevole», osserva John Derbyshire del "National Review". «Ha le spalle coperte dal petrolio saudita, e il denaro è l'ultimo dei suoi problemi. I suoi fondi sono praticamente inesauribili. Metterà tutti a tacere. Per quanto riguarda l'islam, addio libertà di espressione» (...). "24" è una serie tivù sul terrorismo prodotta dalla 20th Century Fox Television. Gli episodi hanno avuto come protagonisti terroristi bosniaci e terroristi tedeschi, terroristi sudamericani e terroristi provenienti da imprese tipo Halliburton (un'azienda multinazionale specializzata in lavori pubblici e nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, la cui sede si trova a Houston in Texas, ndt ). E naturalmente terroristi musulmani - o per lo meno con un vago aspetto mediorientale. Ma mentre nessun cittadino bosniaco, tedesco o sudamericano e nessun dirigente della Halliburton ha mai contattato l'emittente per denunciare l'offensivo contenuto del programma, è stato sufficiente spingersi in territorio islamico per suscitare immediatamente le ire del Cair. I produttori si inchinano

Sabihah Khan del Cair di Anaheim si è detta preoccupata che i terroristi musulmani di "24" potessero «contribuire a creare un'atmosfera sfavorevole agli islamici e alla loro integrazione, influendo negativamente sulla vita reale di molti cittadini». Il Cair fissò quindi un incontro con l'esecutivo della Fox a Los Angeles per esprimere le proprie preoccupazioni. Nel frattempo IslamOnLine, popolare portale d'informazio ne musulmano con sede in Qatar, si era fatto un'opinione ben precisa di cosa vi fosse dietro l'immagine dei terroristi islamici proposta da "24": il Fox Entertainment Group - dichiarava il sito - «fa parte della News Corporation di proprietà del miliardario ebreo Rupert Murdoch». Benché, una volta informato dell'errore, IslamOnLine avesse eliminato l'aggettivo «ebreo» dalla descrizione del «miliardario Rupert Murdoch», le implicazioni dell'articolo non erano meno chiare: la scelta di "24" di portare in scena i terroristi musulmani faceva parte della lunga serie di cospirazioni orchestrare dagli ebrei. Il fatto che chi li osteggia debba per forza appartenere a questa comunità è una paranoia che turba di frequente e in maniera quasi automatica i sostenitori del jihad islamico(...). Ma evidentemente le misteriose "lobby ebraiche" dovevano avere perso molto del loro potere all'interno della Fox. Prima ancora che i dirigenti del network incontrassero i membri del Cair, i produttori di "24" eliminarono dal programma ciò che temevano potesse stereotipare i musulmani. La Fox accettò anche di distribuire ai suoi soci un comunicato di servizio pubblico che riguardava gli americani musulmani, benché i soci non fossero tenuti a mandarlo in onda. La protesta guidata dai fondamentalisti

Ma in primo luogo, perché la Fox aveva accettato di scendere a patti con il Cair? E i dirigenti che incontrarono i rappresentanti del gruppo sapevano che tre dei suoi pezzi grossi erano stati arrestati per attività legate AL QAEDA 24 ORE Kiefer Sutherland, protagonista di "24", tra Bin Laden e un talebano. La serie tivù ha suscitato polemiche per aver parlato di terroristi islamici al terrorismo? Sì, spiegò un portavoce della Fox, ma è una questione archiviata. Erano anche a conoscenza di come Nihan Awwad, fondatore del Cair, avesse in precedenza collaborato con l'Associazione Islamica per la Palestina (Iap), dove era responsabile delle pubbliche relazioni - e di come l'ex capo del controterrorismo dell'Fbi Oliver Revell avesse chiamato lo Iap «un'organizzazione paravento di Hamas che promuove la causa dei militanti islamici»? E infine, sapevano che lo stesso Awwad aveva dichiarato di essere un sostenitore di Hamas? Sì, rispose il portavoce dell'emit tente, ma benché conoscessero le accuse secondo cui il Cair avrebbe intrattenuto qualche legame, sia pure debole, con Hamas, era loro intenzione giudicare con obiettività le richieste dell'organizzazione. (...) Spesso ad andare di pari passo con l'accusa di «islamofobia » è un'ambigua mancanza di sincerità da parte dei riformatori musulmani. Nell'aprile del 2005 il "Toronto Star" presentò uno stucchevole ritratto della femminista indonesiana di reli-gione islamica Musdah Mulya, la quale dichiarava di «accusare i musulmani, e non l'islam delle ingiustizie che gravavano sulle donne» nel mondo islamico. E questo non era che un singolo esempio di una lunga serie di articoli apparsi su quotidiani e riviste occidentali, articoli che descrivono il "vero" islam come una religione di tolleranza, libertà e pluralismo. Ma l'idea che il "vero" islam sia più simile al pacifismo quacchero che alla religione di Osama bin Laden è falsa e pericolosamente fuorviante. E tiene gli americani all'oscuro circa le reali motivazioni e i veri obiettivi dei jihadisti.
Robert Spencer

da LIBERO del 28 febbraio 2008:


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