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Una terra e due popoli.
Sulla questione ebraico-araba
(testi scelti e introdotti da Paul Mendes-Flohr,
a cura di Irene Kajon e Paolo Piccolella)
Giuntina Euro 18
Martin Buber è il filosofo del dialogo. Centrale nel suo pensiero è il rapporto io-e-tu, secondo un principio dellinclusione in cui, nellincontro con laltro, lio non nega la propria realtà, ma cerca di includere la realtà dellaltro. Tale contesto è solo allapparenza astratto, e trova invece una concretezza storica e attuale nella raccolta di saggi che
Questantologia di scritti buberiani è quanto mai opportuna, e lapparato critico aiuta il lettore a districarsi fra i dati storici che sono la cornice indispensabile di queste riflessioni. Perché Buber non solo scrisse di queste cose: furono la sua vita, e una militanza mai stanca, fino allultimo.
La questione fondamentale, che è anche lo spartiacque del pensiero sionista nelle sue due correnti fondamentali, si pone in questi termini: il ritorno del popolo dIsraele alla sua terra significa conquista di una normalità nazionale, ambizione a diventare un paese come ogni altro? Oppure questo risorgimento ebraico deve avere come presupposto una vocazione particolare, in continuità con leccentrica condizione del popolo dIsraele?
Se Theodor Herzl era mosso dallurgenza di rendere gli ebrei uguali agli altri popoli, per farli sfuggire allantisemitismo e alla limitatezza esistenziale della diaspora, Buber è dellavviso opposto.
Per lui lelezione dIsraele rappresenta la base del ritorno alla terra (che considera urgente e necessario), della costruzione di un ebraismo produttivo, che il filosofo sente come unistanza di giustizia. Non solo per gli ebrei stessi, bensì per tutto lOccidente. Se in occidente scrive nel 1929 vi sono speranze di una intuizione perfetta di vita umana, allora questa fede nel futuro vive di ciò che è stato iniziato e interrotto a causa della fine della comunità ebraica.
Ma che cosa è esattamente questa elezione, che ha inventato la speranza e il futuro? Essa non intende affermare alcun sentimento di superiorità, bensì di determinazione: non deriva da alcun confronto di sé con gli altri, ma dalla necessaria dedizione al proprio compito, a quel compito ai cui primi tentativi di esecuzione il popolo crebbe come nazione.
Nel rispetto di questa vocazione, di un principio di giustizia se non dettata per filo e per segno certo suggerita dal cielo, Buber fonda la sua idea di terra promessa. In nome di quel principio di giustizia egli ritiene fondamentale il presupposto della convivenza, il confronto con quellaltro da sé, quel tu che condivide questa terra: la popolazione araba con i suoi diritti. Tutto ciò accanto alla battaglia che il filosofo ingaggia per il ritorno alla terra degli ebrei, perché sia consentita loro limmigrazione in quella terra. Per una nuova, produttiva dimensione della storia dIsraele. Le parole di Buber sono sempre ferme, lucide, a volte profetiche.
Elena Loewenthal
Tuttolibri
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