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La Repubblica Rassegna Stampa
24.02.2008 L'Università divisa sulla polemica Volli-Vattimo
cronache e opinioni

Testata: La Repubblica
Data: 24 febbraio 2008
Pagina: 0
Autore: Tiziana Catenazzo - f.c. - Marco Travaglio
Titolo: «Israele, l'Università si divide - Il Collettivo ancora in piazza "L´invito non è solo letterario" - Vattimo sbaglia ma quello di Volli è quasi razzismo»
Da La REPUBBLICA del 23 febbraio 2008 un articolo sulle polemiche tra Gianni Vattimo e Ugo Volli, che fin dalle prime righe dimostra un'aperta simpatie per le posizioni di accademici come Angelo D'Orsi notoriamente schierati su posizioni antisraeliane.
Ecco il testo:


Su Israele alla Fiera del Libro, dopo il round Ugo Volli-Gianni Vattimo nell´atrio di Palazzo Nuovo, il mondo accademico si spacca in due: c´è chi crede nel più rigoroso impegno degli intellettuali e nel diritto-dovere di prendere posizione e schierarsi, come lo storico Angelo D´Orsi, e chi invece si chiama fuori, come il preside di scienze politiche Franco Garelli; chi vorrebbe un dibattito serio e di alto livello accademico pensando agli studenti (occasioni e convegni ce ne sono stati, ma gli studenti non sono mai gli stessi) e chi invece teme l´eventualità di passare il microfono agli "altri".
«Anziché distribuire volantini, perché non propongono incontri, per confrontarsi fra loro e con noi? Perché non se ne discute a lezione ad esempio?», sbottano alcuni iscritti di lettere e psicologia. Ma la posizione ufficiale del rappresentante degli studenti in Senato è di «incondizionata solidarietà» a Volli: «L´iniziativa dei Collettivi Universitari che hanno coperto il Palazzo di invettive contro Israele incitando all´Intifada sono quanto di più vergognoso abbia visto in questo ateneo», ha dichiarato ieri Andrea Carapellucci.
«Comprendo entrambe le posizioni - commenta la docente di letteratura americana Barbara Lanati - ma vorrei che i miei colleghi si schierassero risolutamente per la pace. Non promuoverei una fredda ed equa distanza dal problema, ma anzi un´attiva ed equilibrata partecipazione da pacifista. Stop the war, come ai tempi di Chicago e di Washington, perché non possiamo proprio andare avanti così. Contro la guerra del Vietnam, erano state proprio le dimostrazioni degli studenti e degli intellettuali a pesare più di tutto: faccio un invito corale affinché l´Università promuova la pace, nella questione israelo-palestinese. Perché dobbiamo batterci dove siamo, visto che non possiamo andar là, ma tocca anche a noi farlo».
Guido Montanari, docente di architettura al Politecnico reclutato per la realizzazione del grattacielo: «Dividerei gli ambiti, per quanto possa risultare operazione delicata: da un lato c´è la sfera culturale, e quindi l´occasione per ognuno di esprimersi e farsi conoscere, dall´altra quella politica. Rispetto a quest´ultima io personalmente ritengo Israele uno stato non laico e quindi non democratico, voluto dagli americani. Al di là di questo, esprimo il massimo rispetto e ammirazione per intellettuali e scrittori israeliani che verranno a Torino, e la mia ferma contrarietà a qualsiasi censura e boicottaggio della manifestazione culturale».
Giovanni Filoramo, docente di storia delle religioni: «Quanto accade in questi giorni è chiaramente espressione del clima preelettorale. All´università corriamo il rischio di una facile strumentalizzazione. Quando due anni fa gli accademici inglesi volevano rompere con le università israeliane, compromettendo tutta una serie di rapporti di ricerca e lo stesso principio di libertà della ricerca e degli studi, c´era il senso di un dibattito serio, fondato. Questi pretesti mi paiono un po´ gonfiati».
E se quelle di mercoledì sono parse anche a D´Orsi azioni un po´ goliardiche «ogni intellettuale è chiamato a fare il più seriamente possibile il suo mestiere - precisa - a farsi testimone di verità, in un processo continuo di critica e di svelamento della verità scientifica: contro la falsa notizia ma anche contro le mezze verità. Da un lato bisognerebbe quindi abbracciare interamente la propria epoca, e dall´altro uscire da questo opinionismo leggero, facile. Per entrare nel merito storico e politico che ci affligge, se la pace è tanto necessaria quanto impossibile (per usare parole di Bobbio), perché non fare una fiera nella fiera, dando spazio all´interno della fiera del Libro a una fiera aconfessionale e apolitica?». Forse all´interno di quella fiera tanti professori torinesi chiederebbero la cittadinanza.

Un articolo su una manifestazione antisraeliana dell'estrema sinistra a Torino:

Ancora una manifestazione ieri pomeriggio per affermare la propria contrarietà a proposito della partecipazione di Israele come stato ospite della prossima Fiera del libro. Una trentina di giovani che fanno capo al Network Antagonista e al Cua, il Collettivo universitario autonomo, si sono dati appuntamento in via Pietro Micca, davanti alla sede dell´Associazione Italia-Israele, in occasione dell´apertura di un seminario di tre giorni che ha visto ieri pomeriggio la partecipazione anche dell´ambasciatore d´Israele Gideon Meier. I manifestanti hanno sottolineato che «la presenza a Torino dell´ambasciatore, ricevuto anche ieri dal sindaco Chiamparino, dimostra che l´invito fatto a Israele per la Fiera del Libro non è solo una questione letteraria e culturale ma è stato fatto per celebrare i 60 anni di Israele».
A controllare il presidio, che si è svolto senza tensioni, era stato allestito un imponente servizio d´ordine di polizia e carabinieri. Oltre a varie bandiere della Palestina, sono stati esposti striscioni «A fianco del popolo palestinese» e «Israele = Apartheid». Sono stati inoltre distribuiti volantini ai passanti in cui si invita la popolazione alla manifestazione che si terrà il prossimo 29 marzo in piazza Castello sempre per ribadire il «no» alla Fiera. «Sessant´anni d´Israele - è scritto nei volantini - vogliono anche dire sessant´anni della nakba, la tragedia di otto milioni e mezzo di profughi causati dall´esercito israeliano, insieme a migliaia di morti e la distruzione di più di trecento villaggi. Invitare Israele al salone del libro si traduce necessariamente in un appoggio incondizionato ai crimini che questo stato perpetua con la sua politica».
Il segretario provinciale della Lega Nord, Stefano Allasia, ha commentato: «Le manifestazioni contro la partecipazione d´Israele alla Fiera del libro sono strumentali. Anche lo Stato italiano, come buona parte degli Stati nel mondo, è nato, purtroppo, dopo guerre, distruzioni e morti».

Su questo articolo, una lettera di precisazione pubblicata da La REPUBBLICA del 24 febbraio:

In merito all'articolo uscito ieri su Repubblica in Cronaca di Torino, pag. VI, titolato « Il Collettivo ancora in piazza. L'invito non è solo letterario», desideriamo che rettifichiate l'informazione data. Via Pietro Micca 15 non è la sede dell'Associazione Italia Israele, ma è la sede della Fondazione Camis de Fonseca, che studia questioni di politica internazionale, ha ospitato un seminario di tre giorni dell'Associazione Italia-Israele, con intervento di Gideon Meier, ma non è la sede dell'Associazione Italia-Israele.
Emanuela Borgnino Fondazione Camis de Fonseca

Una lettera a Marco Travaglio, e la risposta del giornalista, che sembra criticare con maggior forza e indignazione l'espressione "povero vecchio" rivolta da Volli a Vattimo che l'odio antisraeliano di Vattimo:

C aro Travaglio, premesso che sono del tutto d'accordo con la posizione di Volli a proposito di Israele, trovo che le frasi da lui usate nella polemica con Vattimo abbiano rappresentato una gravissima caduta di stile: cosa significa, in un dibattito di idee, dire che Vattimo è «un povero vecchio»? A 72 anni questa l'età di Vattimo si può essere intellettualmente molto più svegli di un trentenne e si possono avere idee giuste o, nel caso di specie, sbagliate, a qualsiasi età. Usare l'età come metro di giudizio è un po' come giudicare Vittorio Emanuele III per la bassa statura fisica anzichè per l'infima statura morale: sa tanto di razzismo.

Fabrizio Di Majo

v ia internet Caro Di Majo, come si diceva a Tribuna politica, quando ancora si facevano domande ai politici, «la ringrazio per la domanda». Nel senso che mi dà l'opportunità di esprimermi su un tema la proposta di boicottaggio del Salone del Libro contro la presenza di alcuni scrittori israeliani e il «gemellaggio» culturale con lo Stato di Israele che mi sta molto a cuore. Non pronunciarsi su una questione come questa significa rendersi complici di una deriva pericolosissima. Gianni Vattimo è uno degli intellettuali più vivaci, brillanti e geniali che abbiamo, dunque mi auguro che campi cent'anni e più, perché è rara avis. E, come tale, penso che andrebbe protetto con speciali precauzioni e cautele, anche da se stesso. Le sue idee su Israele non le condivido nemmeno nelle virgole, ma sono legittime. Invece la posizione che ha assunto sulla faccenda Salone-Israele è indifendibile. Gli scrittori sono sacri, e non solo perché i Grossmann e gli Yeoshua si sono sempre battuti sul fronte della pace, in totale autonomia dai governi di Gerusalemme. Gli scrittori sono sacri «a prescindere», e devono poter parlare sempre e dappertutto, tantopiù in una manifestazione dedicata alla cultura. Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che l'Olp e l'establishment palestinese non abbiano mai interiorizzato l'idea dell'esistenza di uno Stato ebraico. Ma non mi ha mai sfiorato il pensiero che gli scrittori palestinesi o islamici, nemmeno gli estremisti alla Ramadan, debbano essere censurati. Lo stesso deve valere per quelli israeliani, comunque la pensino in politica. Che direbbe Vattimo se qualcuno volesse tappargli la bocca solo perché è italiano, e il governo italiano ha partecipato all'occupazione illegale dell'Irak e seguita a partecipare alla scriteriata guerra in Afghanistan? Poi c'è la questione di Volli, che ha dato del «povero vecchio» a Vattimo. Mi auguro che si tratti di una frase dal sen fuggita, e, in questo caso, che se ne scusi o se ne sia già scusato con Vattimo. Se così non fosse, si tratterebbe del classico caso di uno che ha ragione e passa dalla parte del torto. Da qualche anno, vedi gli insulti ai senatori a vita e certi giudizi sprezzanti pronunciati contro vecchi saggi come Montanelli, Biagi, Bobbio e Galante Garrone, che serpeggia in Italia un fastidio fascistoide nei confronti degli anziani, che sconfina nel razzismo anagrafico, da parte di cinquanta-sessantenni che non hanno mai avuto né mai avranno niente da dire: né quando avevano vent'anni, nè quando ne avranno ottanta.

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