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La Stampa Rassegna Stampa
22.02.2008 L'organizzazione israeliana Zaka supervisionerà il restauro delle catacombe ebraiche romane
la cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 22 febbraio 2008
Pagina: 16
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Gli Zaka a Roma “Salveremo gli ebrei delle catacombe"»
Da La STAMPA del 22 febbraio 2008:

Lyubov Razdolskay è morta il 4 febbraio scorso nel mercato di Dimona, travolta dall’esplosivo di un kamikaze venuto da Hebron. Centinaia di ebrei romani della comunità siburense l’hanno preceduta di diciotto secoli e riposano a migliaia di chilometri dalla Terra Promessa. Ma a dar loro degna sepoltura tra i cubicoli sotterranei della Capitale saranno le stesse mani che hanno ricomposto il corpo di Lyubov nel piccolo cimitero ai bordi del Negev. Tre mesi fa l’Unione delle comunità ebraiche italiane ha incaricato i volontari di Zaka, l’organizzazione non governativa israeliana specializzata nel soccorso e nel riconoscimento delle vittime di attentati, di supervisionare il restauro delle catacombe ebraiche di Villa Torlonia, scoperte nel 1918 e mai aperte al pubblico per problemi «tecnici e religiosi». Le gallerie che si dipanano per oltre un chilometro a dieci metri di profondità sotto quella che fu la residenza del Duce sono disseminate di ossa e teschi del II e III secolo d.C.: gli ultimi testimoni del secondo tempio di Salomone, sostengono i rabbini, dunque inviolabili. Si tratti pure di cenere.
«La legge concordariale 101 prevede che i cimiteri ebraici vadano conservati nel rispetto delle nostre regole», spiega Sandro Di Castro, membro della giunta dell’Ucei. E non conta che dal punto di vista dei Beni Culturali le catacombe siano un monumento, l’unico nel suo genere con volte magnificamente affrescate: «La sistemazione consona delle ossa è prioritaria a qualsiasi intervento di recupero». Dal 1988 le catacombe dipendono «culturalmente» dalla sovrintendenza archeologica ma «simbolicamente» dal rabbinato italiano che, dopo anni e anni di consultazioni tra la Città Santa e quella Eterna sul trattamento dei resti umani, ha convocato gli esperti degli esperti.
La sede di Zaka è un piccolo ufficio ricavato in un garage condominiale, vicino alla stazione degli autobus di Gerusalemme. L’indirizzo originario era un vicolo di Mea She’arim, il quartiere ultraortodosso. Ma da un paio d’anni l’organizzazione è diventata internazionale e si è aperta ai non religiosi. «Tra i nostri 1500 volontari ci sono anche 150 subacquei e sono tutti laici», dice Yehuda Meshi Zahav, presidente e fondatore di Zaka, kippà in testa e lunghi riccioli ai lati. Alle sue spalle la foto autografata del premier Olmert, quella del presidente Simon Peres, l’obitorio a cielo aperto del post-tsunami. Tredici anni gomito a gomito con la morte: «Abbiamo cominciato nel 1995, l’attentato terroristico al 405, l’autobus che collega Tel Aviv a Gerusalemme». Da allora Zahav e gli altri hanno ricomposto migliaia di corpi, in Israele e all’estero, chiamati spesso a distinguere la gamba della vittima da quella del suo carnefice. La seconda intifada e la stagione dei kamikaze, l’11 settembre 2001, New Orleans devastata dall’uragano Katrina, lo tsunami. Dovunque ci siano morti ebrei c’è Zaka. A Gerusalemme, sulle coste dell’Oceano indiano, nella Roma di due millenni fa.
Quello delle catacombe capitoline per Yehuda Meshi Zahav è stato un pronto soccorso alla memoria: «Nei tunnel di Villa Torlonia ho toccato teschi di uomini che avevano avuto rapporti con il secondo tempio, un’emozione cosmica». Chiude gli occhi. Il salvaschermo del computer mostra un’immagine di lui accanto agli affreschi policromi degli antenati. La religione contro la Storia: «Il primo problema era stabilire cosa fare delle ossa sparse qua e là negli anni dalle razzie dei ladri. Con i rabbini abbiamo deciso di ripristinare le tombe ripristinabili e di spostare, di qualche metro, le altre». Una discussione sul sesso degli angeli per un profano ma dall’alto delle rovine di Gerusalemme è il compimento ciclico della vita di un ebreo.
Il restauro attende solo l’approvazione rabbinica: nel 2005 il ministero dei Beni culturali italiano ha stanziato per i lavori un milione e 440 mila euro. «È un intervento serio, le catacombe sono state saccheggiate, scavate non sempre con cura scientifica: il rischio di dissesto statico è alto», osserva l’archeologa Mariarosaria Barbera, responsabile dell’opera per la Sovrintendenza di Roma insieme all’architetto Marina Magnani. Passi per i loculi riposizionati: ma basta un soffio, ammette Zahav, per bloccare il cantiere: «La pavimentazione piena di polvere di ossa non può essere calpestata». Ci vorrebbe una passerella di vetro, se solo la scienza dell’antichità cedesse il passo alla fede senza tempo. L’ultima sfida di Sakè: mettere insieme ossa e teschi, passato e presente, sacro e profano.

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