Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il velo come arma politica un'analisi sulla Turchia
Testata: Corriere della Sera Data: 20 febbraio 2008 Pagina: 38 Autore: HALIT REFIG Titolo: «Turchia, i nuovi ceti usano l'arma del velo»
Dal CORRIERE della SERA del 20 febbraio 2008:
La controversia sul velo islamico infiamma la vita politica della Turchia molto più della minaccia del separatismo curdo e del Pkk. La disobbedienza civile sta prendendo il posto del terrorismo. I nuovi militanti contro l'ordine costituito non sono guerriglieri armati, bensì giovani donne coperte dal velo islamico che, rivendicando la loro fede religiosa, si rifiutano di sottostare alle regole del sistema universitario. Il bersaglio, tuttavia, è sempre lo stesso: il potere centrale dello Stato turco, fondato sotto Mustafa Kemal Atatürk. Le giovani ribelli non hanno scelto come copricapo il tradizionale foulard turco. La loro è una sorta di uniforme. Che, in quanto tale, ha un nome apposito: turban. In Turchia, il problema del turban non si era mai posto sino agli anni Ottanta del secolo scorso. In realtà, persino la questione del velo islamico era sconosciuta prima della rivoluzione khomeinista in Iran. L'ispirazione venne dalle donne che, in abito nero, affollavano le piazze di Teheran e costrinsero lo scià all'esilio. Qualche mente sagace decise di applicare la stessa tattica, sfruttando donne e studentesse per colpire lo Stato con il pretesto della democrazia e dei diritti individuali. Nel 1982, l'Università di Istanbul vietò per la prima volta le lezioni alle studentesse velate. Da allora, l'uso del turban non ha mai smesso di accendere polemiche. Furono le elezioni del 1999 a segnare una pietra miliare. Una candidata coperta dal turban e residente negli Stati Uniti, Merve Kavakci, vinse le elezioni parlamentari. La maggioranza dei deputati, tuttavia, non le consentì di entrare in Parlamento con indosso il copricapo. Merve Kavakci tornò dunque in America, dove tuttora vive e si atteggia a Giovanna d'Arco dell'Islam. È tutto merito suo, se la teoria per cui la questione del turban nasconde un complotto americano teso a scardinare il potere dei turchi è così diffusa. In realtà, il problema è assai più complesso e intricato. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso, la Turchia era un Paese agricolo. L'industrializzazione, tuttavia, ha stimolato una migrazione verso i centri urbani. Oggi, la Turchia è un Paese industrializzato con il 70% della popolazione residente nelle città e impiegata nel settore industriale, pur essendo nata nelle campagne. La democrazia ha fornito a queste persone la possibilità di diventare il gruppo sociale dominante. Così, indossare il turban è un modo per esprimere il loro nuovo potere. Il velo è diventato una sorta di uniforme di solidarietà verso i giovani delle campagne intenti a sfidare le regole della vita «urbana», anziché adattarsi allo stile di vita delle metropoli. Sebbene i paladini del turban rivendichino quest'ultimo quale espressione della fede islamica, numerosi teologi e intellettuali musulmani non politicizzati ribadiscono che l'Islam non prescrive in modo vincolante la copertura del capo. Un costume che, in realtà, s'iscrive nella teologia cristiana, come si legge in San Paolo, Prima Lettera ai Corinzi. Il Corano, libro sacro dell'Islam, non è così rigido circa la copertura del capo femminile. A differenza del cristianesimo, l'Islam non ha una Chiesa né un clero né suore. Per potersi dire musulmani è sufficiente accettare che Dio è Uno e Maometto è il suo Messaggero. Tutto il resto ricade nel rapporto tra il credente e Dio. Non esiste un'autorità che stabilisca chi è un buon musulmano e chi non lo è. Poiché Dio ha donato l'intelligenza agli esseri umani, i musulmani sono direttamente responsabili dinanzi a Dio. È questo, in generale, il senso dell'essere musulmani in Turchia. Coprire il capo di una donna con un velo da suora, dunque, non significa tornare ai fondamenti dell'Islam, bensì imitare senza alcuna ragione le religiose cristiane. Nessuno dovrebbe avere alcunché da ridire sulle personali scelte di vita nella sfera privata. Lo stesso vale per quel che le donne scelgono di indossare. Tutto ciò può essere considerato una sorta di modus vivendi. Quando tale scelta, tuttavia, si trasforma in un gesto politico a scapito delle leggi di uno Stato, diventa anche un tradimento dell'essenza dell'Islam. In tal caso, non un atto di fede islamica, bensì un paravento all'intento politico di scardinare lo Stato turco. Attualmente, il potere politico del partito Akp si basa sul consenso dei nuovi gruppi sociali nelle città. Coprire le donne col turban non è che una strategia per consolidare il dominio politico. Il premier Recep Tayyip Erdogan e il presidente Abdullah Gül sono i primi rappresentanti, assieme alle rispettive mogli velate, della ribellione contro la Repubblica di Atatürk fondata sull'autorità statale. Ecco il frutto della democrazia. Regista e sceneggiatore turco 5 Global Viewpoint, distribuito da Tribune Media Syndicate Traduzione di Enrico Del Sero
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