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Il Foglio Rassegna Stampa
19.02.2008 La notte dei lunghi coltelli di Damasco
l'analisi di Carlo Panella sulla morte di Imad Mughniyeh

Testata: Il Foglio
Data: 19 febbraio 2008
Pagina: 5
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La notte dei lunghi turbanti»

Da pagina 3 dell'inserto del FOGLIO del 19 febbraio 2008:

Il governo israeliano si è lungamente occupato domenica scorsa delle possibili conseguenze dell’uccisione a Damasco di Imad Mughniyeh, “il Camaleonte” avvenuta il 12 febbraio. Il ministro della Difesa Ehud Barak ha illustrato i report di intelligence che rappresentano una realtà per molti versi sconcertante: “La leadership di Hezbollah ancora non è riuscita ad appurare l’identità degli attentatori”. I ministri israeliani lo hanno seguito con attenzione, ben sapendo bene che questi non sono affatto israeliani, come subito dichiarato dagli uffici del premier Olmert, nonostante le roboanti accuse di Hassan Nasrallah e dello stesso ayatollah Khamenei (ma non del regime di Damasco che mai ha accusato Israele dell’attentato). Barak ha concluso il suo intervento comunicando di avere dato istruzioni alla forze armate israeliane di tenersi in uno stato di allerta “elevato”, a fronte di possibili iniziative militari di Hezbollah dal Sud libano (e non solo quindi di attentati terroristi contro obiettivi israeliani nel mondo). Con questa riunione l’ipotesi dell’inizio di una “notte dei lunghi coltelli” nella dirigenza iraniana è dunque passata dal campo delle analisi giornalistiche a quello della più drammatica politica mediorientale, in un quadro in cui è ormai lecito paragonare l’eliminazione fratricida di Mughniyeh con quella del capo delle Sa Ernst Röhm, ad opera di Hitler nel giugno del 1934.
Nelle stesse ore, a Beirut, l’esercito libanese riusciva a stento a sedare la battaglia a colpi di armi da fuoco tra seguaci di Hezbollah e del “movimento 14 marzo” del presidente Fuad Siniora nelle strade dei quartieri di Ras al Nabaa, Becharara al Kury, Barbour, Nweiri e Tariq Jedideh; bilancio: una quarantina di feriti. Gli scontri sono iniziati poco dopo che lo stesso ex presidente Siniora aveva preso una posizione fermissima di contrasto alle minacce di guerra contro Israele pronunciate da Hassan Nasrallah ai funerali di Mughniyeh: “La dichiarazione di guerra aperta ad Israele pronunciata dal leader di Hezbollah sarà nociva per lo stesso Hezbollah così come per la causa islamica e araba”. Nella stessa occasione Siniora ha preannunciato l’intenzione dei gruppi parlamentari del “movimento 14 marzo” di eleggere il generale Michel Suleiman presidente della Repubblica a maggioranza semplice –quindi contro la volontà di Hezbollah- entro il 26 febbraio prossimo. Una vera e propria emarginazione del movimento di Nasrallah dal quadro istituzionale libanese, a cui Hezbollah sicuramente reagirà con forza.
Sempre nelle stesse ore, giungeva da Teheran la notizia della improvvisa quanto strana morte dell’ayatollah Mohammad Reza Tavassoli, 77 anni, già capo
dell’ufficio della famiglia di Khomeini, che si è accasciato –pare per un infarto esiziale- mentre parlava al Consiglio per il Discernimento degli Interessi
dello Stato per contrastare le purghe di candidati avversi al capo dei pasdaran Mohammed Ali Jafari dalle prossime liste elettorali (nello specifico stava difendendo la candidatura del nipote di Khomeini, Hassan).
Queste notizie, nel loro insieme, potrebbero sembrare simili, né più, né meno a quelle che giungono dal Medio Oriente in una giornata qualsiasi.
Tranne la prima, che è assolutamente fuori dall’ordinario tanto da dare a tutte le altre un senso più che preoccupante.
Se nemmeno Hezbollah sa bene oggi –come sostiene l’informatissimo Barak- chi ha eliminato Mughniyeh, questo significa che all’interno del blocco di potere sciita, ai vertici della “Internazionale Islamica”, sta accadendo qualcosa di grave, di gravissimo. Significa che si è aperta una lotta fratricida e sanguinaria che ha fatto una vittima di primissimo piano. Tesi autorevolmente avallata anche dall’uomo al vertice della più importante rete di servizi segreti del mondo: Mike McConnell direttore del servizio nazionale di Intelligence degli Usa. Intervistato dalla televisione Fox News, Mc Connel, dopo avere negato qualsiasi responsabilità degli Usa nell’attentato, ha infatti affermato: “Hezbollah ha accusato Israele, ma esistono prove che indicano che potrebbe essere una faccenda interna a Hezbollah. Potrebbe essere la Siria... Noi cerchiamo di risolvere questo quesito”.
La conferma definitiva dei sospetti di Barak e Mc Connel, peraltro, è venuta proprio da Al Akhbar, giornale ufficioso di Hezbollah, stampato a Beirut, che sabato scorso ha sostenuto che “i servizi di sicurezza siriani, hanno fermato alcune persone, tra cui membri non civili con cittadinanza araba, perché sospettate di aver svolto un ruolo nell’attentato contro Mughniyeh’’. Questi “membri dei servizi di sicurezza che operano nei paesi arabi” sarebbero palestinesi, secondo altre fonti. D’altronde, chiunque abbia una pallida idea di come Damasco sia sottoposta ad un controllo militare ferreo e chiunque conosca il formidabile apparato di sicurezza che protegge i massimi vertici sciiti, non può non attribuire l’attentato ad un tradimento interno (per fare un paragone storico, l’attentato a Mughniyeh ad opera del Mossad o della Cia era impossibile come lo sarebbe stata l’uccisione di Beria a Mosca nel 1952, a meno che, naturalmente, il mandante non fosse stato Stalin in persona).
L’importanza cruciale di questo attentato, e soprattutto del fatto che mandanti e esecutori siano interni ai vertici irano-siro-libanesi, deriva dalla caratura e dal ruolo di Mughniyeh, che non era affatto solo un terrorista di primo piano, ma molto, molto di più. Mughniyeh, infatti, sin dal 1982 è stato il principale responsabile e dirigente militare di tutte le operazione estere dell’internazionale sciita che ha sede a Teheran. Non un esecutore, ma un generale, un generale a quattro stellette. Se è giusto paragonare la sua statura “tecnica” a quella di Bin Laden, come hanno fatto i media di tutto il mondo, va però tenuto conto che questo paragone è riduttivo. Mughniyeh infatti aveva ai suoi ordini non solo una formidabile rete terroristica su scala planetaria, ma anche l’appoggio e il supporto totale di tutto l’apparato militare dei Pasdaran iraniani. Mughniyeh era ben di più che l’ideatore degli attentati contro i marines e i paràs (e il responsabile della Cia per il Medio Oriente William Francis Buckley) nel 1983-84, o l’ideatore delle stragi di ebrei in Argentina negli anni novanta. E’ stato anche ed era tuttora il responsabile –per conto dell’Iran- dell’addestramento e della direzione militare delle milizie del Mahdi di Moqtada Sadr in Iraq dopo il 2003 (che infatti ora rispettano tre giorni di lutto in sua memoria). E’ stato ed era tuttora il massimo graduato che collegava l’apparato militare di Hezbollah con quello dei Pasdaran in Libano da dieci anni a questa parte (così come di quelli di Hamas nella Striscia di Gaza). Le terribili sorprese che Tshaal ha avuto nell’estate del 2006 in Libano, il perfetto addestramento dei miliziani di Hezbollah (incluso il repentino cambiamento dei codici delle loro comunicazioni interne che ha gettato nel black out il Mossad), sono stati in buona parte opera sua.
Sicuramente, Mughniyeh ha avuto anche un ruolo fondamentale nel giallo della destituzione di Hassan Nasrallah dal ruolo di comandante militare di Hezbollah, svelata il 12 dicembre scorso dall’autorevole quotidiano arabo di Londra Asharq al Awsat, che ha sostenuto che Khamenei, Guida della Rivoluzione iraniana, aveva destituito Nasrallah e aveva passato il comando militare al suo vice, Naim Qassim. Alti ufficiali dei Pasdaran iraniani –dipendenti, appunto, da Mughniyeh- avevano secondo il quotidiano effettuato una ispezione nel sud del Libano e verificato una situazione carente nel riposizionamento delle milizie di Hezbollah e gravi deficienze nella linea di comando. La notizia –come ovvio- è stata smentita da Hezbollah, ma non può non essere ripresa oggi, quando prende corpo l’ipotesi che Mughniyeh sia stato ucciso proprio da una congiura interna.
Ma proprio la sua statura di altissimo dirigente politico militare –paragonabile nella sostanza a quella del comandante in capo dei Pasdaran iraniani, di cui dirigeva tutte le operazioni estere- rende anche ben poco probabile una congiura di basso livello e rimanda obbligatoriamente ai contrasti feroci che si stanno sviluppando dentro il massimo vertice iraniano. Molti elementi infatti indicano che l’approssimarsi delle elezioni parlamentari a Teheran siano occasione di un durissimo braccio di ferro, non già tra oltranzisti e riformatori, come erroneamente si legge su molti media occidentali, ma tutto interno al blocco oltranzista. Lo stesso Mohammed Ahmadinejad ne ha apertamente parlato in pubblico, celebrando l’anniversario della rivoluzione del 1979: C’è qualcuno che incontra regolarmente i nemici e fornisce loro informazioni. Sono gli stessi che criticano costantemente le politiche del mio governo. Ora, queste persone che cooperano con il nemico vogliono che ci sediamo al tavolo con la controparte, che scendiamo a compromessi e ci ritiriamo. Ma l’Iran non indietreggerà di un passo”.
Lo scontro politico, per ora, si concentra sull’espulsione o meno dalle liste dei candidati al Parlamento di quei “nemici” interni che “cooperano con il nemico” (proprio durante uno di questi scontri verbali è morto l’ayatollah Tavassoli), ma la morte misteriosa di Mughniyeh per mano di “fuoco amico” dimostra ora che è più che probabile che lo scontro sia scoppiato anche all’interno dei vertici militar-politici, con esiti sanguinari.
La tradizione politica sciita –va tenuto presente- è stata caratterizzata dal 1945 in poi dalla pratica dell’assassinio politico, praticato da misteriose sette, ben radicate nei massimi vertici della gerarchia religiosa. La prima vittima illustre fu l’ayatollah XXXX ucciso in un attentato, che il grande analista del New York Times Amir Taheri, sostiene sia stato ispirato, quantomeno, dallo stesso Khomeini, nella sua fase di scalata dei vertici della gerarchia sciita. Il tutto, radicato dentro la millenaria tradizione sciita-ismaelita, che inizia con la famosa setta degli Hashashyn, gli Assassini, universalmente nota. Subito dopo la rivoluzione khomeinista del 1979 il misterioso movimento clandestino Forghan uccise molti ayatollah, ma la più nota e temibile organizzazione segreta di ayatollah sciiti è la Hojatieh, oggi diretta dall’ayatollah Mohammed Reza Mandavi, in stretto raccordo con l’ayatollah Mesbah Yazdi, che è il leader degli ayatollah oltranzisti e lo sponsor ufficiale di Mohammed Ahamadinejad (che è suo genero, peraltro). Questa tradizione, va di nuovo ricordato, è riemersa anche in Libano, nel 1978, quando scomparve misteriosamente –dopo un viaggio in Libia- il fondatore del movimento sciita Amal (da cui poi si è scisso Hezbollah, ad opera anche di Mughniyeh), l’ayatollah Moussa Sadr (lontano parente di Moqtada Sadr).
Hojatieh ha fatto sempre la fronda –su posizioni oltranziste- nei confronti dello stesso ayatollah Khomeini (che secondo Ahmed Taheri le deve parte del successo della sua scalata ai vertici della gerarchia sciita), ed ha stipulato negli ultimi anni una alleanza con il corpo dei pasdaran. L’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezaii, attuale Segretario Generale del Consiglio per il discernimento di Stato, e l’attuale comandante Ali Jafari –superiore diretto di Mughniyeh- sono due alleati di ferro di Ahmadinejad e dell’ayatollah Jazdi.
Le loro posizioni di potere e le loro strategie sono oggi insidiate non tanto dal blocco riformista di Ali Rafsanjani (che è sempre stato un oltranzista e che ora si fa forte delle sparse e sconfitte schiere dei riformisti), quanto da oltranzisti più realpolitiker come Ali Lariajani, capeggiati dall’attuale sindaco di Teheran, Bagher Qalibaf. Questo gruppo di potere emergente, intende farsi interprete della profonda insoddisfazione popolare e del gruppo sociale dei bazaris nei confronti degli innegabili tonfi dei programmi economici ppulisti di Ahmadinejad e vuole sviluppare la politica nucleare e militare dell’Iran spogliandola delle grossolane rodomontate di Ahmadinejad. Una profonda divergenza tattica, non strategica, che porta gli uni e gli altri, il gruppo Ahmadinejad-Yazdi, come quello Qalibaf-Larijani ad appoggiare comunque sia il progetto nucleare iraniano –ancora domenica fermamente difeso dalla Guida della Rivoluzione Khemenei- sia l’armamento strategico missilistico sviluppato dai Pasdaran che, con l’ultimo missile intercontinentale sperimentato con successo nelle settimane scorse, impensierisce -finalmente- anche Vladimir Putin (i nuovi missili iraniani con portata superiore a 2.000 chilometri hanno senso solo se dotati di armi atomiche e questo preoccupa Mosca).
In questo contesto, qualcuno, al vertice della Internazionale sciita, ha deciso di fare fuori Mughniyeh, uomo fondamentale per sviluppare aggressioni e attacchi militari in Medio Oriente. Una uccisione cannibalica che segna una straordinaria accelerazione della crisi interna al vertice rivoluzionario, a cui Nasrallah, da parte sua, ha immediatamente reagito pigiando l’acceleratore sulle minacce militari contro Israele, proprio nel momento in cui la crisi interna libanese si incattivisce.
Questo preoccupa Barak, preoccupa Israele perché tradizionalmente questo tipo di tensioni interne ai gruppi dirigenti rivoluzionari, in particolare a quello khomeinista, tendono a scaricarsi verso l’esterno.
Il Libano, per colpa anche di una abituale stasi dell’iniziativa diplomatica europea e delle sue ambiguità crescenti nei confronti della Siria (confortate anche da un irresponsabile acquiescenza da parte dei democratici americani, di cui è stata paladina Nancy Pelosi col suo incosciente viaggio in Siria di un anno fa), dà tutti i segni di essere una polveriera sul punto di esplodere.
Non pochi temono che l’uccisione di Mughniyeh, da parte dei suoi compagni d’arme, possa essere stata proprio la scintilla che ha innescato la lunga miccia.

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