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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Naomi Alderman Disobbedienza 18/02/2008

Disobbedienza                                Naomi Alderman

 

Nottetempo                                     Euro 18

 

 

“Ma porco mondo, ho avuto un’educazione da ebrea ortodossa, e di tanto in tanto ho bisogno di un segno visibile di trasgressione”. Ribellioni finte, vere, sognate o realizzate solo a metà: per Ronit, protagonista di Disobbedienza, romanzo di esordio di Naomi Alderman, ogni occasione è buona per opporsi a qualcosa e a qualcuno.

 

La sua eroina è la luna, non quella paziente e silenziosa dell’eclissi, ma l’astro polemico e saccente della leggenda ebraica. Si narra che, quando il Signore, al quarto giorno, creò il sole e la luna, li fece di grandezza uguale. Ma la luna si lamentò, dicendo “Due re non possono portare la stessa corona”. Ed ecco che Dio, per punizione, la rimpicciolì. Poi, forse un po’ pentito, le offrì le stelle come compagne e le promise di renderla di nuovo grande come il sole, alla fine dei tempi.

 

Come la luna, Ronit vuol sempre dire la sua, e anche se in fondo ha ragione, il suo modo di fare le provoca parecchie scorticature. Come ogni ribelle che si rispetti, ha cominciato scappando di casa e rifacendosi una vita mille miglia lontano. Ma lontano dove? Visto da New York, in cui Ronit interpreta il ruolo di donna in carriera, il sobborgo londinese della sua infanzia è una gabbia, e nemmeno dorata. Sarà – dice – per “una qualche emanazione di gas, dovuta a un deposito minerario sotterraneo”, fatto sta che “vivere a Hendon alla fine ti fa uscire pazzo”. Hendon è soffocante, con le orribili villette in finto stile Tudor e il Kitsch borghese, anche se, a dire il vero, il gas irrespirabile per Ronit è quello dell’ortodossia, coi suoi rituali senza tempo, le ipocrisie e il ruolo ancillare in cui non mettere mai più piede, insomma.

 

Ma si sa che ogni ribelle ha il sacrosanto diritto di contraddirsi. Quando muore il padre, “super rabbino” della comunità, Ronit prende il primo volo, la testa confusa tra rifiuto e nostalgia, e le valigie piene di improponibili abiti sexy. Va col preciso intento di seminare zizzania, e ci riesce benissimo, non solo per la sua immagine di donna emancipata ma anche per una vecchia storia, di cui per anni si è solo sussurrato.

 

Nella scena migliore dell’intero romanzo, una Ronit sottilmente perversa si esibisce un outing lesbico vero falso, tra “gli occhi sbarrati e l’aria terrorizzata” dei notabili della comunità, il volto sempre più grigio di alcuni amici, e un senso di frattura insanabile tra vecchio e nuovo. Ce n’è abbastanza per non poterne più di questa figliola prodiga, non desiderata e non pentita. Eppure gli scandali non sono finiti. Prima che Ronit torni finalmente alla New York del peccato, si trova tempo per un altro disastro morale.

 

“C’è qualcosa di feroce, e di antico e di tenero” nell’essere un’ebrea ortodossa, annuncia la Alderman , per bocca della sua protagonista. E, in effetti, nonostante il moltiplicarsi delle provocazioni, il libro cerca una pace, o per lo meno una tregua, con la tradizione. Solo qualche anno fa, si pensi ai romanzi di Pearl Abraham, la rivolta di una ragazza contro l’opprimente conformismo dell’ortodossia ebraica bastava a far notizia letteraria. Adesso, per la Alderman , il grimaldello espressivo è la marginalità di una marginalità: ex ortodossa e lesbica (o ex lesbica?), Ronit è un’ebrea così estrema da risultare di tanto in tanto inverosimile. L’opera è ancora un po’ acerba, la qualità della scrittura stenta a reggere il ritmo e il paradosso è a tratti troppo palese. Ma, tutto sommato, quella maliziosa rompiscatole di Ronit conquista un suo posto tra i caratteri femminili dell’ebraismo in cerca di se stesso.

 

Giulio Busi

 

Il Sole 24 ore

 


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