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Panorama Rassegna Stampa
18.02.2008 Prima il boicottaggio degli scrittori israeliani, poi la lista nera dei professori ebrei
in Italia si moltiplicano gli episodi di antisemitismo

Testata: Panorama
Data: 18 febbraio 2008
Pagina: 82
Autore: Valeria Gandus
Titolo: «Com’è ancora difficile e ssere ebreo»
Da PANORAMA del 18 febbraio 2008:

Prima il boicottaggio degli scrittori israeliani a Torino, poi la lista nera contro i professori a Roma. In Italia ci si vergogna sempre meno di manifestare ostilità. Colpa dell’ignoranza, ma non solo.

Mi è successo quando ho trovato in internet la lista di tutti gli ebrei italiani, me compresa. Ma anche quando, al corteo del 25 aprile, ho visto i combattenti delle Brigate ebraiche fischiati da ragazzi in kefiah al grido di «Palestina libera!». Per non parlare di quella volta, tanti anni fa, in treno, quando un passeggero tenne una specie di conferenza sulle malefatte dei perfidi giudei assassini di Gesù che sacrificavano i bambini (devo dire che lo sconcerto più grande fu per i passeggeri muti più che per l’osceno oratore).

Quando succede, la prima sensazione è come di un pugno nello stomaco. Poi, almeno per me, sopravviene l’insofferenza, quasi la noia per una storia che si ripete sempre uguale. Ieri la violazione del cimitero ebraico di Milano (la tomba di mio padre è a pochi metri da quelle scoperchiate e imbrattate di svastiche), oggi l’ennesima lista di proscrizione di un’inesistente lobby di docenti ebrei: se solo li conoscessero un po’, gli ebrei, scoprirebbero quanto litighino fra loro, altro che lobby. Apppena prima, la richiesta di boicottaggio del Salone del libro di Torino, reo di avere quest’anno Israele come paese ospite, o meglio i suoi maggiori scrittori: per chi non lo sapesse quasi tutti critici verso la politica israeliana nei confronti dei palestinesi.

Non penso spesso al mio essere ebrea (non sono religiosa), ma c’è sempre qualcuno che prima o poi si prodiga per ricordarmelo. Capita a tutti gli ebrei, prima o poi. A quelli in qualche modo «pubblici» più spesso che agli altri.

Clara Sereni, scrittrice e autrice fra gli altri del bellissimo romanzo Il gioco dei regni (storia della sua famiglia, ebrea e comunista), dice per esempio che l’ultimo «cazzotto nello stomaco» l’ha ricevuto proprio pochi giorni fa: «Sul Corriere nazionale, edizione umbra, c’era un lodevole articolo sulla famigerata lista di professori ebrei» racconta. «Peccato che fosse intitolato: “La lista nera dei professori giudei”. Incredibile come anche quando c’è buona volontà saltino fuori vecchi stereotipi, anche linguistici».

Vero. Io, per esempio, ho una personale fobia per la parola razza: non posso sentirla, mi vengono i brividi. Ed è difficile spiegare a persone anche colte che le razze non esistono, che gli uomini sono tutti geneticamente uguali, siano essi «bianchi, neri o giallini», come recita una filastrocca di Gianni Rodari. Ma vallo a spiegare a quegli italiani che il sociologo Enrico Finzi interroga periodicamente da oltre vent’anni sui loro rapporti con gli «altri gruppi umani».

Li chiama proprio così Finzi, che ha orrore non solo della parola razza ma di ogni altro termine che definisca minoranze etniche, religiose o quant’altro. «Più di quei quattro imbecilli ignoranti che mettono in rete liste di proscrizione, mi preoccupa la crescente ostilità di tanti bravi italiani nei confronti di arabi ed ebrei, omosessuali, zingari e immigrati. La gente non si vergogna più a dichiarare questa avversione. C’è una crescente legittimazione dell’odio che è l’anticamera della legittimazione della violenza».

Una violenza che per ora, tuttavia, non c’è. O c’è in minima parte: «Fortunatamente alle parole non seguono ancora i fatti. Non condivido la paura di tanti ebrei che a ogni scemenza messa in rete, a ogni muro imbrattato, a ogni delirio di qualche cretino che straparla di Palestina, senza sapere nulla della storia di quell’angolo di mondo, tirano in ballo la Shoah. Non credo che Auschwitz sia di nuovo alle porte. Credo invece che siamo arrivati a un intollerabile grado di ignoranza e che la battaglia da combattere sia quella per l’educazione. Contro le semplificazioni di chi vede in ogni arabo un terrorista e in ogni israeliano un persecutore, in ogni rom un ladro, in ogni omosessuale un pervertito».

Condivido, però continuo a pensare che, quando arrivano, i cazzotti fanno male: poco importa se siano frutto dell’ignoranza o addirittura inconsapevoli. Dice Clara Sereni che per lei i più dolorosi sono stati quelli inferti da persone ideologicamente vicine. «A un congresso della Cgil mi hanno presentata come “ebrea e scrittrice” e nessuno ha capito perché mi sia tanto inalberata. A una manifestazione per la pace in Medio Oriente un ragazzetto in kefiah mi ha spiegato che bisognava “schierarsi contro i carnefici”».

Ma peggio è stato quella volta che suo figlio è tornato a casa con un pallone decorato da tante belle svastiche. Gliel’aveva regalato un amico che l’aveva ricevuto dai tifosi di una curva controllata da gruppi dell’estrema destra. «Il ragazzo ignorava che cosa fossero quei segni, i tifosi lo sapevano, eccome» dice Clara.

Anche lei fa molta attenzione a non cadere nel vittimismo. «Pure noi ebrei abbiamo le nostre responsabilità: siamo sempre concentrati sul male che ci fanno gli altri e spesso dimentichi di quello che fanno altri ebrei in Israele con l’occupazione dei territori palestinesi. Anche noi, poi, abbiamo i nostri estremisti che mettono sotto accusa gli ebrei che criticano Israele».

Vero anche questo. La lista di proscrizione dei professori ebrei convive su internet con un’altra black list messa in rete da un gruppo di ebrei ultrasionisti che additano come traditori altri ebrei (fra loro l’ideologa dell’antiglobalizzazione Naomi Klein) molto critici verso la politica di Israele (perfino troppo, penso io, ma hanno tutto il diritto di esserlo e di manifestarlo). La notizia di questa nuova lista è stata diffusa dal Forum Palestina, in prima linea nel boicottaggio di Israele al Salone del libro.

C’è di che perdere la testa. O lo stomaco, a furia di cazzotti. L’antidoto può essere allora ascoltare una vecchia e saggia signora. Si chiama Liliana Segre, ha 77 anni ed è sopravvissuta ad Auschwitz, dove fu deportata a soli 13 anni. Da tempo Liliana parla nelle scuole raccontando la sua storia. Anche lei, naturalmente, è rimasta scossa da queste polemiche. «La prima reazione è stata pensare che, al solito, la mamma dei cretini è sempre incinta» dice. «E poi che sono stanca di vedere ancora croci uncinate e sentire parole insensate: già vissuto, già dato, già sofferto, già pianto i morti. Basta».

Ma è lei la prima a ricacciare indietro il dolore ogni volta che davanti a una scolaresca rievoca gli orrori dello sterminio. «Riesco a raccontarlo perché ho avuto una grande fortuna: quella di essere la vittima e non il carnefice. Lo dico ogni volta di fronte a centinaia di studenti. Anche se in realtà io parlo a uno solo di loro: quello, almeno uno mi dico, che nella sua vita si ricorderà delle mie parole. E le ricorderà ad altri».

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