MILANO - «Stanote s´è smorsada l´ebreeta, come ‘na candeleta de seriola consumà», recitava una vecchia poesia, scritta nel lager di Bolzano, per raccontare l´orrore che circondava Misha. E oggi Misha, e cioè Michael Seifert, «il boia di Bolzano», torna in Italia. Sbarca stamani a Roma, accompagnato dai funzionari dell´Interpol, e finisce nella prigione militare di Santa Maria Capua Vetere, per scontare la condanna all´ergastolo, inflitta dai tribunale militare di Verona. Per persone come Misha si usa l´espressione «nemico privato»: uomini e donne che, «coperti» dalla guerra, scatenano gli istinti più infernali. Seifert, nato nell´ormai lontano 1924, era di questi. Era un ucraino, passato nei ranghi dei nazisti, nominato Gefreiter, o Rottenführer delle SS, e cioè caporale. Tra il dicembre del 1944 e l´aprile 1945, mentre il nazifascismo era agli sgoccioli, diventò il custode del campo di concentramento di transito di Bolzano. È vero, tanto tempo è passato, ma uno dei testimoni del processo veronese raccontò di un prigioniero, un ragazzo accusato di aver rubato del pane, che venne acchiappato da Misha e dal suo complice preferito, Otto Sein: «Lo uccisero il giorno di Pasqua, sbattendolo a turno con la testa contro i muri della cella. Nessuno del blocco celle dimenticherà mai quel giorno, urlo per urlo, colpo per colpo. Altri vennero strozzati. In quelle occasioni, i due circolavano per i corridoi con i guanti di pelle nera. Erano diventati un simbolo, e quando li vedevamo in quel modo...». Dalla «giovane prigioniera ebrea non identificata», ferita «con colli di bottiglie spezzati» a Bartolo Pezzuti, che si vide squarciare il ventre da Misha, l´elenco delle nefandezze è ampio. Però è impossibile non ricordare che un giorno Misha uccise insieme mamma e figlia, le ebree Giulia e Augusta Leoni: due ore di torture, terminate con lo strangolamento. «Misha il boia» era stato rintracciato a Vancouver, dove aveva lavorato come operaio in un mulino. Era arrivato in Canada nel ‘51, s´era arrangiato, ma proprio la sua immigrazione clandestina ha rappresentato il grimaldello giuridico utile alla corte di Ottawa per rispedirlo qua, dove la sua storia criminale non è mai stata dimenticata. «Sapere che la giustizia colpisce i colpevoli anche dopo tanti anni può dare speranza a chi oggi soffre di ingiustizie», dice Federico Steinhaus, della comunità ebraica. E il procuratore capo militare di Verona, Bartolomeo Costantini, preannuncia un interrogatorio. Vuole arrestare anche il complice di Misha, Otto Sein, «coinvolto nell´uccisione di undici prigionieri nel campo di Bolzano», e mai più rintracciato.
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