Criticare un governo è una cosa, negare a uno stato il diritto di esistere un'altra a proposito del boicottaggio antisraeliano alla Fiera del libro, Sergio Romano ignora la differenza
Testata: Corriere della Sera Data: 15 febbraio 2008 Pagina: 53 Autore: Sergio Romano Titolo: «Il Papa alla Sapienza, Israele al Salone del libro»
Rispondendo a un lettore sul boicottaggio antisraeliano alla Fiera del libro di Torino Sergio Romano confonde (deliberatamente ?) la critica alla politica di un governo, certamente legittima, con l'ostilità a uno Stato in quanto tale. Che è quanto viene espresso con chiarezza dai fautori del boicottaggio. Ecco il testo:
Circa l'invocato boicottaggio di Israele al Salone del Libro di Torino non le sfuggirà il paragone con Babelplatz a Berlino: lì nei primi anni del regime nazista vennero bruciati i libri degli autori ebrei. Oggi che, salvo che per il presidente iraniano, per quello venezuelano e per Maradona, non è più possibile criticare e demonizzare gli ebrei in quanto tali, si ripete l'operazione Babelplatz nei confronti di Israele. Ho letto con soddisfazione i commenti di Pierluigi Battista, di Aldo Grasso, di Claudio Magris. Sarei lieto di leggere il suo parere in proposito. Andrea Jarach andrea.jarach@proedi.it Caro Jarach, N elle scorse settimane alcuni lettori mi hanno chiesto che cosa pensassi della polemica suscitata dall'invito che l'università di Roma ha indirizzato a Benedetto XVI per l'inaugurazione dell'anno accademico; e non hanno ricevuto risposta. Oggi lei mi chiede perché non abbia parlato in questa rubrica della polemica suscitata dal tentato boicottaggio di Israele al Salone del libro di Torino. Ho dunque due debiti per vicende che sono per certi aspetti somiglianti. È arrivata l'ora di pagarli. Le due vicende mi hanno messo in serio imbarazzo. Che cosa deve fare una persona di principi liberali quando alcuni docenti di una delle maggiori università italiane vorrebbero impedire a una eminente personalità religiosa di esprimersi pubblicamente? Naturalmente deve dichiarare che non è d'accordo. Che cosa deve fare la stessa persona quando apprende che alcuni gruppi politici vorrebbero rendere impossibile, di fatto, la presenza in Italia dei rappresentanti di una delle maggiori letterature contemporanee? Deve condannare il boicottaggio. Se non lo facesse tradirebbe le proprie convinzioni. Ma il liberale sa anche che certi inviti sono sempre politici. Il Papa non è soltanto una personalità eminente, nota per i suoi studi e le sue ricerche. È l'autocrate regnante della più grande istituzione religiosa mondiale. È il Pontifex Maximus, una carica che fu, sino a Graziano, prerogativa degli imperatori romani. È il sovrano di uno Stato che, benché piccolo, è l'unico erede sopravvissuto dell'impero di Augusto. È l'unica personalità mondiale che possa parlare ex cathedra e pretendere l'obbedienza di circa un miliardo e cento milioni di «sudditi ». Nessuno può invitare lo studioso Ratzinger senza invitare contemporaneamente una persona avvolta in un'aura di sacralità e regalità. È giusto chiedergli di parlare a una cerimonia accademica, soprattutto mentre la Chiesa romana è impegnata in una specie di Kulturkampf per la vittoria dei suoi principi contro quelli della modernità, senza che l'invito susciti reazioni fra quanti temono che l'evento possa essere considerato una vittoria della fede contro la società secolare? Non avrei mai sottoscritto l'appello dei 67, ma non avrei mai invitato il Papa a una solenne cerimonia accademica dell'università di Roma. Il caso di Torino è in parte diverso. Ma non è vero che il Salone, scegliendo Israele come ospite d'onore, abbia invitato una letteratura. Ha invitato uno Stato che assume da quel momento, come accade sempre in queste circostanze, il ruolo dell'interlocutore ufficiale. Così è accaduto l'anno scorso al Salone del libro di Belgrado dove l'ospite d'onore era l'Italia e toccò al governo italiano organizzare il padiglione nazionale. Così accadde a Parigi nel 2002 quando un ministro del governo socialista di Lionel Jospin fece sapere che non avrebbe gradito la presenza di Berlusconi. Sorge a questo punto un problema molto simile a quello che scoppiò in occasione dei Giochi olimpici del 1980, dopo l'invasione sovietica dell'Afghanistan, quando gli Stati Uniti rifiutarono di inviare le loro squadre in un Paese che era impegnato in una guerra di conquista. Anche Israele è in guerra. Molti sostengono che è una guerra giusta contro una forma di terrorismo. Altri pensano che i terroristi siano in realtà patrioti e che la guerra del governo israeliano sia un tragico errore. Si può sostenere l'una o l'altra di queste due posizioni. Ma la discussione concerne gli Stati e la loro po-litica, non gli scrittori e la loro libertà di parola. Il Salone di Torino aveva il diritto d'invitare Israele ed è stato giusto, di fronte ad assurde minacce di boicottaggio, confermare l'invito. Ma coloro che criticano la politica dello Stato israeliano hanno il diritto di non essere considerati antisemiti.
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