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La Stampa Rassegna Stampa
14.02.2008 Farian Sabahi propone di invitare l'Iran alla Fiera del libro per far conoscere gli scrittori dissidenti
ma loda come moderato un uomo del regime quale Khatami

Testata: La Stampa
Data: 14 febbraio 2008
Pagina: 39
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Una Fiera per spezzare la censura a Teheran»
Da La STAMPA di giovedì 14 febbraio 2008 un articolo di Farian Sabahi, nel quale si propone di invitare a una delle prossime edizioni della Fiera del libro l'Iran per "dare voce ai tanti intellettuali della diaspora, scappati negli anni Sessanta e Settanta durante le persecuzioni della Savak (la polizia segreta dello scià) e nei decenni successivi alla Rivoluzione del 1979 che ha trasformato l’Iran in una mullahcrazia".
Nulla da dire contro questa proposta, accettabile nel caso dell'Iran come in quello di qualsiasi altro paese. Non saremmo contrari nemmeno all'invito degli scrittori cinesi, a dispetto delle violazioni dei diritti umani che avvengono nel loro paese.
Inaccettabile invece che un esponente del regime iraniano come Khatami venga ancora una volta presentato come un moderato e come un promotore del dialogo tra civiltà.

LIBERO
 del 13 febbraio pubblica la fotografia di un'impiccagione che rende molto bene l'idea della vera natura del regime di Teheran. Un regime di cui Khatami è stato ed è parte integrante. Non sarebbe stato male che anche l'articolo di Farian Sabahi fosse illustrato da questa foto, che noi riproduciamo qui a fianco:


La Fiera del Libro di Torino è luogo di ascolto e di confronto, e allora perché non invitare l’Iran in una delle prossime edizioni? Sarebbe così possibile dare voce ai tanti intellettuali della diaspora, scappati negli anni Sessanta e Settanta durante le persecuzioni della Savak (la polizia segreta dello scià) e nei decenni successivi alla Rivoluzione del 1979 che ha trasformato l’Iran in una mullahcrazia.
Invitare l’Iran sarebbe un modo per fare conoscere gli scrittori che volendo continuare a vivere in Iran - o non potendo fare altrimenti - sono obbligati a non parlare e scrivere di politica e sesso, i due temi tabù nella Repubblica islamica, oppure sono costretti a usare le metafore che da secoli permettono di sfuggire alla scure del censore. Si darebbe così l’opportunità di uscire dal Paese e di confrontarsi con altre culture, nel nome del dialogo tra civiltà promosso dall’ex presidente Khatami e dall’Unesco.
Gli intellettuali sono spesso vittime della censura. Non solo nel loro Paese ma, anche se può sembrare strano, in Italia. L’anno scorso, per esempio, la presidente del premio letterario «Lerici-Pea» aveva dapprima invitato la poetessa Tahereh Saffarzadeh. Ma, quando si erano resi conto che si trattava di una musulmana devota, per nulla eretica, la giuria e gli enti finanziatori avevano bruscamente fatto marcia indietro. Come se credere nel messaggio rivelato a Maometto fosse una colpa.
La cultura ha bisogno del dialogo e gli intellettuali del confronto per evitare il ripetersi di equivoci come questo. Non boicottiamo la Fiera che ospita Israele, ma non escludiamo di invitare l’Iran, i suoi scrittori e la sua cultura. L’anno prossimo ricorrono i trent’anni dalla Rivoluzione del 1979 e potrebbe essere una bella occasione. Gli organizzatori torinesi hanno già invitato l’Egitto e dunque non sarà possibile. Tuttavia sarebbe bene non indugiare troppo, potremmo perdere l’occasione di incontrare l’ottantasettenne Simin Daneshvar, autrice di preziosi romanzi mai tradotti in italiano.
Sono gli scambi a favorire il cambiamento, non il boicottaggio, ma nemmeno l’embargo o l’isolamento. Se nel 1936 Reza Pahlavi, il padre dell’ultimo scià deposto da Khomeini, vietò il velo, fu perché aveva visto il processo di laicizzazione della società promosso da Atatürk in Turchia. E se oggi in Iran alcuni membri del clero si aprono alla modernità e rivendicano, rischiando il carcere, il rispetto dei diritti umani, è perché hanno contatti con il resto del mondo. Per gli iraniani, il pubblico della Fiera potrebbe essere uno stimolo ad accelerare il cambiamento già in atto.

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