Un cartomante astrologa -chiaroveggente tra gli "esperti" di islam italiano: è quanto è riuscita a garantirsi la trasmissione Anno Zero, andata in onda il 29 marzo scorso su Rai2.
Un programma di attualità molto seguito perché "di sinistra" e, in genere, ben costruito. Tuttavia, nonostante i requisiti doc, per discutere di islam gli autori non sono riusciti a far di meglio che invitare le signore Souad Sbai e Adriana Bolchini, alias Maga Lisistrata, nella veste di improbabile direttrice dell’Osservatorio sul Diritto Internazionale e Italiano. L"’esperta di diritti delle donne musulmane" è autrice, nientepopodimeno, che de "La guida pratica alla magia bianca" e "Il manuale del perfetto cartomante". La puntata ha fatto emergere un islam pericoloso, ignorante, tribale, dove al-Qa’ida è di casa, cioè, in moschea, in una Torino trasformatasi da aristocratica e schiva città del nord Italia in un regno-ghetto dei talebani.
la trasmissione ha usato mezzi un po’ troppo spiccioli e forzati pur di fare audience e garantirsi lo scoop dell’anno, mandando in pezzi il lavoro che amministratori locali, esperti e immigrati avevano svolto per anni.
Alla fine, tanto rumore per nulla: parte di "Anno Zero" sembra essere stata costruita su una bufala architettata da un gruppetto di marocchini collegati alla signora Sbai di Roma, ai danni di connazionali torinesi. Una trama noir frutto di una lotta "all’ultimo sangue" per il potere e per la rappresentanza del Marocco in Italia. Quanto alla "predicazione dell’Odio" e alla presenza di volantini di al-Qa’ida, le indagini sono state aperte contro "ignoti".
Tutta questa storia, in realtà, impone interrogativi seri sul giornalismo italiano: se a parlare di islam vengono autorizzate quasi sempre veline, attricette, maghe, calciatori o cronisti d’assalto, che tipo di informazione viene veicolata e perché?
Servirà per caso a costruire il "consenso alle guerre del petrolio, alias, per la "democrazia di esportazione", come scrive Noam Chomsky in "Manufacturing Consent"?
Del caso Maga Lisistrata-Islam con relativa bufala, l’unico giornale che ne ha parlato, è stato "il Manifesto" con un articolo di Sherif Sebaie.
Torino, 6 aprile. Sono le 13 e i fedeli musulmani si preparano per la preghiera del jumu’a, del venerdì. Il cortile della moschea della Pace di corso Giulio Cesare 6 si sta riempiendo di tappeti e di ombrelloni per schermarsi dal sole di una bella giornata primaverile.
Il responsabile dell’Istituto islamico, Abdelaziz Khounati, commerciante iscritto alla facoltà di Fisica, ci accoglie in ufficio insieme ad altri membri del direttivo della moschea.
Sono ancora frastornati dal clamore suscitato dalla puntata di Anno Zero: "La giornalista (Maria Grazia Mazzola, ndr) mi ha teso una trappola - spiega Khounati - Si è presentata con la troupe all’improvviso al Centro culturale Dar Al-Hikma, dove mi trovavo per una conferenza, e mi ha convinto a rilasciarle un’intervista in cui avrei presentato le attività del nostro Istituto. Invece, mentre registrava, mi ha domandato dei matrimoni in moschea e di altro.. Mi ha incalzato con una domanda dietro l’altra, voleva che cadessi nella sua trappola. E pensare che, nei giorni precedenti, eravamo riusciti a bloccare l’ingresso delle sue telecamere in moschea, durante la preghiera. Avevamo fatto un muro umano. Non oso immaginare cosa sarebbe successo anche qui se fosse riuscita a entrare".
Khounati si riferisce ai misteriosi volantini di AlQa’ida, che una telecamera nascosta - affidata dalla redazione di Anno Zero a un marocchino torinese- avrebbe scoperto nell’altra moschea di Porta Palazzo, quella di via Cottolengo, appoggiati su un termosifone, e in quella di Umar Ibn al-Khattab di via Saluzzo. E alla khoutba, predica, "jihadista" che il responsabile, Mohammad Kuhaila, avrebbe diretto ai suoi fedeli, inneggiando all’odio verso i non musulmani.
"Chissà cosa avrebbero "trovato" anche qui o cosa ci avrebbero fatto dire - sottolinea Rhounati - . Per fortuna, da noi il danno è stato limitato. Per due settimane le telecamere di Anno Zero si sono insediate a far riprese nel cortile e nelle case. Il vero obiettivo di tutta questa operazione mediatica ero io: volevano far cadere in trappola me, non Kuhaila".
Lotta per il potere.
Quella per la leadership dell’islam italiano è una vera lotta, senza esclusione di colpi: denunce, calunnie, insinuazioni, alleanze tattiche con questo o quel partito politico o giornalista potente. Va per la maggiore l’accusa di "terrorismo" o di contiguità con al-Qa’ida. Mentre un noto giornalista italo-egiziano da anni strilla nei suoi pezzi pubblicati dal "Corriere della sera" che certe organizzazioni islamiche in Italia sono il "megafono di Bin Laden", altre, loro concorrenti, sono felici come una pasqua che i loro "colleghi" siano finiti nell’occhio del ciclone, e soffiano benzina sul fuoco.
Si tratta, in generale, di una competizione fra associazioni musulmane italiane per la "rappresentanza" dei fedeli nelle relazioni con lo Stato: l’obiettivo è quello di diventare "l’interlocutore privilegiato" e, eventualmente, siglare l’Intesa. Con tutti gli annessi e connessi, 8 per mille compreso.
Parallelamente, è in corso da diversi anni una lotta all’interno della comunità marocchina immigrata per la rappresentanza rispetto al paese d’origine. In ambedue i casi, il "fine giustifica i mezzi", e il politically correct non esiste.
A Torino, lo scontro tra le moschee, e la conseguente leadership locale, e nazionale, è vecchio di anni: risale infatti alla seconda metà degli anni ‘90, per culminare, nel 1998, con l’apertura nel cortile di corso Giulio Cesare 6 di un secondo luogo di culto, la moschea At-Tawhid guidata da Bouriqui Bouchta, a fianco di quello già esistente, l’Istituto islamico della Pace. Per la comunità era un segno di finta divisione, tra credenti, che creava ulteriori conflitti anziché placarli ponendo fine ai takfir, accuse di miscredenza, diffuse su volantini appesi ai muri di Porta Palazzo.
Una fatwa, consulto giuridico, di uno sheikh piuttosto seguito dai musulmani praticanti europei, Yusuf alQaradawi, risolve la questione delle due moschee coabitanti nello stesso edificio: At-Tawhid viene spostata in via Cottolengo, dove si trova tuttora.
I leader dei due luoghi di culto hanno continuato a farsi la "guerra" dalle pagine dei giornali e tra i fedeli fino al giorno dell’espulsione dall’Italia di Bouriqui Bouchta, il 5 settembre del 2005. Gli succede Mohammad Kuhaila, dalla lunga barba, amico di Khounati.
Tuttavia, se si allentano le tensioni all’interno della comunità islamica torinese, si rinfocolano quelle dentro la comunità marocchina: nel luglio del 2006, Khounati viene invitato dal re del Marocco alla Festa del Trono, trasformandosi così "ufficialmente" in uno dei candidati papabili a rappresentare i suoi connazionali in Italia, in competizione con Souad Sbai, "rappresentante delle donne maghrebine", e molto ben introdotta all’interno del mondo politico e giornalistico italiano. E le invidie risorgono. Nel gennaio dell’anno scorso, il centro di corso Giulio Cesare è accusato dalle pagine dì un giornale in lingua araba, "L’Unione socialista", diffuso tra gli immigrati arabi, di utilizzare le offerte dei fedeli per finanziare il partito. Khounati risponde rimandando al mittente gli attacchi.
La mappa delle moschee torinesi.
L’Istituto di corso Giulio Cesare 6 è legato da anni al movimento Adala wa Tanmiya (Giustizia e sviluppo, l’unico partito islamico ammesso nel parlamento marocchino). Il centro islamico promuove da anni attività sociali e culturali: la scuola domenicale di arabo e di islam per i ragazzini immigrati, quella di italiano per le donne maghrebine, incontri interreligiosi, visite in moschea e, esperimento pilota in tutta Italia, una mostra di arte islamica svoltasi l’anno scorso (e curata dal ceramista sufi Elvio Arancio).
Da questa moschea èarrivata, tre anni fa, la proposta di istituire una "scuola" per gli "imam", guide del culto e responsabili dei centri religiosi musulmani, sul modello inglese.
Gli altri centri islamici sono: la moschea di corso Regina Margherita 192, guidata da Mohammad El-Idrisi; l’Associazione culturale islamica in Piemonte con annessa moschea "Umar ibn alKhattab", in via Saluzzo i8, diretta dal commerciante egiziano Mohammad Ibrahim (per un certo periodo indicata come vicina ai "Fratelli musulmani"); la moschea di via Piossasco, detta degli "afgani"; l’Associazione islamica delle Alpi, di via Chivasso 10, presieduta da ‘Abd er-Rahim Braidih, legata al movimento politico-religioso islamico al-Adl wal Ihsan (Giustizia e carità); il "Centro Mecca - Casa del dialogo interculturale", di via Botticelli 104, presieduto dal commerciante egiziano Ibrahim Amir Younes, dove sta svolgendo il ruolo di khatib, predicatore, di "professione" Mohamed Bahreddine (dalla moschea di corso Giulio Cesare viene segnalato, insieme allo scrittore Mohammad Lamsouni e a Souad Sbai, come il "consulente-mandante" di Anno Zero, con annessa "trappolà al-Qa’ida").
La presenza musulmana a Torino.
Risale agli anni ‘70, quando piccoli gruppi di studenti della media-alta borghesia del Mashreq, del Vicino e Medio Oriente, e di qualche stato dell’Africa sub-sahariana giunsero a Torino a studiare ingegneria, architettura, medicina. Si trattava di un’élite socialmente ed economicamente benestante, in parte di estrazione filo-marxista, in parte musulmana praticante (affiliata poi all’Usmi, Unione degli studenti musulmani in Italia e poi, successivamente, all’Ucoii, Unione delle comunità e organizzazioni islamiche italiane). Questi ex studenti sono diventati professionisti ben inseriti nel tessuto sociale locale. Alcuni hanno sposato donne italiane. Non sono pochi coloro che sono rimasti lontani dalla religione, mantenendo solo un legame di carattere culturale; altri, invece, l’hanno riscoperta successivamente, trasformandosi in musulmani osservanti.
E’ alla fine degli anni ‘8°, con le prime ondate di immigrati maghrebini, che la presenza islamica a Torino cambia connotazione: migliaia di persone iniziano ad arrivare dalle zone depresse, economicamente e culturalmente, del Marocco per cercare di migliorare la propria vita e quella dei propri familiari.
L’islam che essi portano con sé è tradizionalista, molto legato a pratiche locali e a uno scarso bagaglio di conoscenze religiose e legali.
Il primo gruppetto di musulmani praticanti, affiliati all’Usmi, apre la moschea di via Berthollet, a San Salvano, nota poi come la "moschea dei somali e delle donne", ora chiusa. Il secondo luogo di culto inaugurato aTomo è quello di corso San Martino, guidato da Idrisi (attualmente in corso Regina Margherita 192).
Tra il 1994-1995, parte della comunità islamica si trasferisce a Porta Palazzo, dove, nel 1996, in corso Giulio Cesare 6, viene aperta la moschea della Pace,, diretta inizialmente dallo psicologo Mustafa Abou Sa’ad (Abousaad), poi sostituito da Ahmed Cherkaoui e ‘Abd el-Aziz Khounati. La "tendenza" all’interno dei luoghi di culto cambia a seconda della dinigenza, dell’ambiente e della comunità di fedeli: si può passare da quelle più politicizzate e legate a partiti o a gruppi di tendenza "integralista" e/o "fondamentalista", ad altre orientate solo alla riflessione religiosa, educativa, sociale.
La percentuale di praticanti.
I dati oscillano a seconda delle ricerche: diciamo che i musulmani praticanti fluttuano da un 15 per cento per arrivare al 25-30 dei periodi delle due grandi celebrazioni islamiche: eid al-Fitr, festa di rottura del digiuno, alla fine del mese di ramadan, e eid al-Adha, festa del Montone. In questi momenti, i palazzetti dello Sport, del Lavoro, ecc... si riempiono di migliaia e migliaia di fedeli.
Tuttavia, molti degli immigrati di religione islamica non sono praticanti/osservanti o lo sono parzialmente (osservano il ramadan ma non pregano quasi mai) o pregano in casa. Non pochi sono i cosiddetti laici e i non-credenti. Infine, tra certe élite musulmane italiane piuttosto diffusa è l’appartenenza a logge massoniche che offrono potere e posizioni di prestigio.