La nuova preghiera in latino del Venerdì Santo rappresenta un’involuzione
Concordo con l’articolo del rabbino Laras (se "La Chiesa chiude il dialogo" – Corriere della Sera del 9 febbraio) e dissento da quanto scritto da Giorgio Israel ("Una fede sicura e libera non deve arroccarsi"). La novità rappresentata dalla preghiera del Venerdì Santo in latino, in fondo, non mi stupisce: era già stata notata l’involuzione dell’ultimo Catechismo della Chiesa cattolica rispetto a varie altre dichiarazioni ufficiali della stessa Chiesa cattolica a proposito dell’ebraismo, catechismo la cui stesura era stata diretta dall’allora Cardinale Ratzinger, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II.
Mi permetto di fare le seguenti osservazioni:
- Si può naturalmente esprimere la propria preferenza per la propria fede, senza per questo provare il bisogno di pregare perché altri l’abbraccino, sottintendendo che la mancanza della suddetta fede rappresenterebbe un grave impedimento al conseguimento della "salvezza".
- Se la fede in Cristo rappresenta l’indispensabile qualità per conseguire la salvezza e se questa qualità è auspicabile per l’intera umanità, non si capisce perché una preghiera che auspica questo raggiungimento debba essere riservata ai soli ebrei. Si provi d’altronde a immaginare quale sarebbe la reazione se si introducesse una preghiera affinché, ad esempio, tutti i musulmani raggiungano la salvezza attraverso la fede in Cristo. La selezione che viene fatta sembra proprio voler mettere nella mente dei fedeli cattolici il fatto che gli ebrei sono particolarmente (e unicamente) carenti rispetto a tutto il resto dell’umanità non cristiana.
- Del tutto pertinente è l’osservazione del rabbino Laras, messa educatamente tra parentesi e con un punto interrogativo, là dove, alludendo al fatto che ci si sia riferiti a un passo di Paolo per giustificare la reintroduzione dell’augurio di una conversione ebraica alla fede in Cristo Salvatore, egli avanza l’ipotesi che si tratti invece di "una sua particolare interpretazione?" Questa sottile domanda, fatta in modo delicato dimostra che Laras sa di cosa parla. Si tratta dei versi 26-27 di Romani 11, dove si legge (La Bibbia di Gerusalemme): Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà il peccato da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati. (citazioni di Is. 59,20-21 e Is. 27,9). Parecchi studiosi cristiani hanno notato che in questo brano Paolo non indica esplicitamente Gesù Cristo, e il fatto è insolito: letto da un ebreo il passo si riferisce alla venuta del Messia. (in merito si veda ad esempio Stanley K. Stowers, A Rereading of Romans, Yale University 1994, o il mio Fariseo quanto alla Legge…, in QOL, n.79 – Gen-Mar. 1999). So benissimo che vari cattolici non hanno dubbi e che per loro il "Liberatore" altri non è che Gesù Cristo, ma ciò non toglie che si tratta di una interpretazione di un brano, scelto spesso da vari studiosi cristiani impegnati nel dialogo con l’ebraismo come esempio particolare della delicatezza con cui Paolo stesso ha trattato il tema. D’altronde è evidente che tutte le dichiarazioni della Chiesa cattolica che inauguravano un nuovo corso nelle sue relazioni con l’ebraismo partivano da una rilettura di Paolo, Romani 11,11-32: l’ultimo utilizzo dello stesso brano sembra indicare una netta inversione di marcia.
- La Chiesa cattolica ha negli ultimi decenni fatto numerosi passi avanti nel dialogo con l’ebraismo, dimostrando spesso nelle sue dichiarazioni il desiderio di eliminare quelle nefaste tracce di un passato in cui gli ebrei e l’ebraismo venivano (particolarmente) additati come colpevoli. C’era un rapporto particolare tra Chiesa ed ebraismo, dovuto al fatto che la Chiesa si poneva come l’unica erede dell’antico Israele, come il Verus Israel, per cui gli ebrei, fuori dal cristianesimo non avevano più nessuna ragion d’essere. Oltre alle nuove dichiarazioni specifiche, citerò anche il recente scritto su La lettura della Bibbia nella Chiesa cattolica, in cui si dichiarava che l’adozione del metodo storico-critico non solo è autorizzato, ma è anche necessario. A proposito dei rapporti con l’ebraismo si cercava di contestualizzare i vari scritti del Nuovo Testamento: le stesse dichiarazioni fatte apparentemente da Gesù non andavano sempre necessariamente attribuite a Gesù stesso, ma invece alle varie comunità cristiane in un periodo di aspra polemica con gli ebrei. Si pensi a cosa verrebbe fuori se le Chiese nell’impostare i loro rapporti con l’ebraismo si ispirassero ad alcune parti del Vangelo di Giovanni, al capitolo 8, per fare un esempio, dove Gesù, rivolgendosi agli ebrei che non hanno creduto in lui afferma (Giov. 8,43-44 – Bibbia di Gerusalemme): Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro…Si tratta di un capitolo molto istruttivo per conoscere il tenore della polemica tra la comunità di Giovanni e gli ebrei intorno all’anno 100 d.C. Si immagini però quale potrebbe essere l’effetto di una simile lettura intesa in senso letterale ed attuale, da parte di qualche chiesa fondamentalista o da qualche parroco rimasto indietro coi tempi!
Ecco perché, a parer mio, in questo momento, la formula scelta nella preghiera del Venerdì santo in latino, più che l’espressione di un pietoso sentimento nei confronti dell’intera umanità, privata della fede in Cristo, assume i contorni di una ripresa di un rapporto PARTICOLARMENTE antagonista del cattolicesimo nei confronti dell’ebraismo e sono certo che non tutti i cristiani e non tutti i cattolici, in particolare tutti coloro (e sono numerosi) che ci hanno dimostrato la loro sincera fratellanza, la approvano Elia Boccara
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