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Il giusto che inventò il morbo di K Pietro Borromeo
Fermento Euro 4,90
Roma 1943, 1944. Sono gli anni bui delle frittate di Ovolina, della scomparsa delle banane e dei sorrisi; del Duce che veglia sugli italiani dal sillabario delle elementari; dei cappotti improvvisati dei nostri soldati (“senz’orlo?” ho chiesto alla mia bambinaia. “Non c’è stato tempo”); dei raid aerei; delle denunce, dei rastrellamenti. Un’epoca di vili. Ma anche di Giusti, con
E’ il padre dell’autore, il medico Giovanni Borromeo, a “scoprirla” nel ’43. Cattolico e liberale, all’allora primario del Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina non era sfuggito l’andazzo generale: “Il fascismo – diceva – finirà come le emorroidi, in un lago di sangue e di merda”. Fedele al giuramento di Ippocrate, il professore non tesserato comincia allora, complice l’amico Fra’ Maurizio, a ricoverare ebrei, polacchi, oppositori del regime: tutti affetti dal morbo di K. Una sindrome contagiosissima quanto immaginaria che, con malcelato humor nero e senso dello sfottò, prende il nome dai due “untori” tedeschi che avevano sparso l’infezione nella capitale: il Feldmaresciallo Kesselring e il colonnello delle Ss Kappler.
Lo strano ospedale, che negli scantinati cela anche una ricetrasmittente “in linea” con i partigiani, insospettisce le Ss. In un blitz si presentano con ufficiale medico al seguito. Ma di fronte agli esiti permanenti e pandemici descritti dalle finte cartelle cliniche, se la danno tutti a gambe senza neanche dare un’occhiata ai malati. Ha salvato tante vite la fantascienza donchisciottesca (e non solo questa) di Giovanni Borromeo. Per Israele è un Giusto fra le Nazioni. Lui diceva: “ E’ soltanto il mio dovere”.
Francesca Bertani
Il Sole 24 Ore
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