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La Stampa - La Repubblica - L'Opinione - L'Unità - Il Manifesto - Il Gazzettino Rassegna Stampa
13.02.2008 Israele alla Fiera del libro
ventiseiesima puntata

Testata:La Stampa - La Repubblica - L'Opinione - L'Unità - Il Manifesto - Il Gazzettino
Autore: Giovanna Favro - Paolo Griseri - Michael Sfaradi - Gianni Vattimo - Furio Colombo - Ivo Rossi
Titolo: «Napolitano prova a seminare la pace - Così ho risolto il caso Israele - Ancora scritte sui muri - Israele, il Salone, il boicottaggio - Non aiuta la pace il boicottaggio contro Israele»
La Fiera del libro di Torino, che avrà Israele come opsite d'onore, nel sessantesimo anniversario della sua fondazione, sarà aperta dal presidente della Repubblica Napolitano. Insieme a lui ci sarà presente Abraham B. Yehoshua, tra gli scrittori israeliani presenti alla manifestazione.

L'inaugurazione avverrà l'8 maggio 2008, alle 10,30

Da La STAMPA del 13 febbraio 2008, la cronaca di Giovanna Favro sulla presenza di Napolitano:

Più forte di così, il segnale della politica, delle istituzioni e dello Stato non poteva essere. Dopo giorni di bufera e di polemiche, dopo gli inviti al boicottaggio, le offese gridate sui muri di Torino, gli appelli e i contro-appelli piovuti da ogni parte, ora scende in campo il Quirinale, nella tempesta che ha investito la Fiera del Libro, «rea» d’aver invitato Israele come Paese ospite della prossima edizione. Il presidente della Repubblica Napolitano ha accettato l’invito degli organizzatori: inaugurerà la XXI edizione, l’8 maggio al Lingotto di Torino.
E’ la prima volta, nella storia della Fiera, che si vedrà tagliare il nastro da un Capo dello Stato. In passato, a rappresentare le istituzioni nazionali s’erano visti al massimo i ministri della Cultura. Questa volta, però, non si tratta solo di aprire le porte della più importante manifestazione italiana dedicata ai libri e all’editoria, perché da giorni è soltanto della presenza di Israele che si discute, dopo la black list di professori ebrei diffusa on line e dopo i ripetuti inviti al boicottaggio della Fiera da parte di scrittori arabi e palestinesi, compreso l’intellettuale islamico Tariq Ramadan.
Il sì di Napolitano è arrivato ieri mattina, quando Mercedes Bresso, la presidente del Piemonte, l’ha incontrato, con il sindaco di Torino Chiamparino e il presidente della Provincia Saitta, per presentargli le iniziative sui 150 anni dell’Unità d’Italia. Nell’occasione Bresso gli ha consegnato la lettera d’invito firmata, con le tre istituzioni, dal presidente della Fiera Rolando Picchioni. «La manifestazione è luogo di libero confronto tra culture anche assai distanti tra loro», e dunque invita con questo spirito gli scrittori, «non certo per presa di parte nel conflitto tra lo Stato di Israele e l’Autorità palestinese». Così, «la preghiamo di intervenire per sottolineare il messaggio di pace e tolleranza che è dovere della cultura e della letteratura».
Pochi giorni fa era giunto sul Colle un altro appello per la presenza di Napolitano alla Fiera, firmato da una quarantina di artisti, politici e intellettuali, da Riccardo Muti a Massimo Cacciari, a Piero Ostellino, Magdi Allam, Bruna Ingrao, Pierluigi Battista, Stefano Menichini. Scrivono che la violenta polemica volta a boicottare la Fiera altro non è che «antisemitismo mascherato da antisionismo», perché rappresenta «il tentativo di negare agli ebrei d'Israele il diritto d'essere nazione, e di portare nel mondo con la dignità di cittadini la lingua e la cultura ebraica».
Non si sa se l’appello abbia pesato nella decisione di Napolitano, ma certo il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) Renzo Gattegna l’ha subito ringraziato: il suo sì «è una ferma presa di posizione contro il coinvolgimento della cultura nelle vicende politiche, ribadendo invece la sua funzione di creare occasioni di dialogo». Per Mercedes Bresso la scelta di Napolitano «è un bellissimo segnale per la Fiera e per la democrazia italiana. Spero che la sua presenza ponga fine alle discussioni e alle polemiche, perché sottolinea l’importanza dell’evento culturale e invita al rispetto e alla tolleranza». Per Chiamparino, la partecipazione di Napolitano «rafforza la scelta di invitare Israele e la sua letteratura. La Fiera sarà luogo di dialogo con le altre culture, comprese quelle arabe e palestinesi». Grande soddisfazione hanno espresso il presidente e il direttore della Fiera, Rolando Picchioni ed Ernesto Ferrero. Picchioni parla di «segnale della considerazione per la Fiera come luogo d'incontro, di dibattito, di cultura», oltre che «garanzia che la Fiera continuerà a essere al livello più alto un esercizio di civiltà». Per Ferrero, Napolitano «esprime anche un forte segno d’attenzione alla cultura e al libro, mondi troppo spesso guardati dai governi come un optional: spero d’assistere a un’inversione di tendenza, e che il segnale sia colto dal governo che verrà».

Dalle pagine torinesi di REPUBBLICA, un'intervista a Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il Libro

Ha messo d´accordo quasi tutti i contestatori della Fiera e, da ieri, ha la certezza che l´edizione 2008 sarà inaugurata dal Presidente della Repubblica. Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il Libro, sembra aver realizzato in pochi giorni una specie di capolavoro diplomatico.
Presidente Picchioni, che cosa è successo?
«Abbiamo dimostrato che si può discutere anche animatamente ma che alla fine la Fiera è il luogo giusto per trovare una mediazione e una composizione di idee diverse».
Dica la verità, senza la polemica su Israele non avreste avuto tanta visibilità..
«Mi sembra una considerazione un po´ cinica, ma non posso negare che sia così».
È un fatto che per la prima volta il Presidente della Repubblica ha accettato di aprire la manifestazione del Lingotto. Era necessario questo putiferio?
«Non so se fosse necessario. La Fiera di Torino è la prima manifestazione culturale, per importanza, in Italia e una delle prime al mondo. Certo dopo questa bufera la nostra notorietà è ulteriormente aumentata. Ma la decisione del Presidente della Repubblica è dovuta, credo, all´appello che gli hanno rivolto gli intellettuali e all´opera di sensibilizzazione che hanno svolto i rappresentanti delle istituzioni torinesi e piemontesi».
Alla Fiera saranno invitati anche alcuni scrittori palestinesi di nazionalità israeliana. Una mediazione?
«Nessuna mediazione. Una decisione che avevamo già preso tempo fa, non certo un cedimento di fronte alle polemiche. La Fiera è sempre stata un luogo di discussione con tutti gli interlocutori. Nell´edizione del 2007 abbiamo organizzato 769 dibattiti. Come si sa non abbiamo preclusioni nei confronti di nessuno che sia disponibile a mettere in discussione il suo punto di vista confrontandolo con quello degli altri»,
Che cosa vuol dire che Israele è ospite d´onore dell´edizione 2008?
«Vuol dire che la cultura di quel popolo sarà al centro della Fiera com´è accaduto negli anni scorsi quando altre nazioni, che non avevano avuto una storia meno travagliata, sono state elette ospiti d´onore. Ogni stato e ogni popolo, com´è giusto che sia, si presenta con il suo passato, il suo presente e le sue speranze. Senza che nessuno abbia il diritto di fare esami del dna».
Picchioni, qual è la differenza tra il dialogo e il cedimento?
«Risponderei con una frase che ebbe a dire anni fa a Torino l´allora cardinale Joseph Ratzinger: ‘La vera immoralità in politica - spiegò - è l´assenza di ogni compromesso´. Ecco, io penso che quella frase sia profondamente vera».
Pensa che in questo apprezzamento giochi la sua lunga militanza nella Dc, l´abitudine a trovare sempre e comunque un compromesso?
«Può darsi. Penso che sia un errore rappresentare la realtà in bianco e nero. Compito della politica è piuttosto operare in mezzo alle mille sfumature intermedie».
Serve questa attitudine quando si manovra nella stanza dei bottoni della Fiera?
«La Fiera ha nel suo dna la tempesta e lo scontro».
Una dna romantico?
«È sempre stato così, fin dalle prime edizioni. Ma nello stesso dna c´è sempre stata la capacità di ricomporre, di rappresentare tutte le sfumature e tutte le posizioni da un estremo all´altro. A patto che siano posizioni rappresentabili, che non comprendano l´intolleranza o l´odio di razza».
Quest´anno arriverà il Presidente della Repubblica. A quando la visita dell´ex cardinale Ratzinger?
«Chi lo sa. Vedremo il prossimo anno».

Da L'OPINIONE, un intervento di Michael Sfaradi

Prendendo spunto da un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 10/02/2007, a firma Vera Schivazzi, sugli slogan apparsi a Torino sui muri del Lingotto, e della vernice nera (lo stesso colore usato per le scritte) con la quale è stata imbrattata, in un giardino di Mirafiori alla periferia sud della città una lapide che ricorda l’entrata in vigore delle leggi razziali, faccio alcune riflessioni.
Forse nell’imbrattare la lapide gli autori del gesto vorrebbero cancellare dalla loro memoria che l’Italia fascista si macchiò, al pari della Germania nazista, della vergogna di leggi emanate al fine di discriminare suoi cittadini in persone di serie A e serie B. Leggi che, con la loro entrata in vigore aprirono il triste periodo delle persecuzioni razziali. Queste persone dovrebbero sapere che non basta un po’ di vernice per cancellare la memoria storica.

Vedendo poi il “can can” che certi personaggi stanno facendo, al fine di boicottare la presenza israeliana alla fiera del libro di Torino, la sensazione che si stiano aprendo scenari inquietanti diventa sempre più forte. Troppo spesso, in questi anni, sui giornali ed in diverse trasmissioni televisive, si sono ripetuti fino alla nausea i nuovi “Luoghi Comuni” all’indirizzo d’Israele e del suo governo, cercando di far diventare gli ebrei di oggi come i nazisti di allora e i palestinesi i nuovi perseguitati. Queste assurde ingiurie sono replicate all’infinito da troppo tempo, tanto che sono entrate nelle discussioni al punto che c’è chi le afferma, e non sono in pochi, dandole per scontate. La giornalista riporta nel suo articolo anche le scritte al Lingotto: “No olocausto palestinese” e “Israele 60 anni di genocidio palestinese”, scritte che sono un’offesa alla memoria della Shoà e ai suoi sopravvissuti ed anche una negazione della verità.

Né il governo dello stato d’Israele, né il popolo ebraico, hanno mai montato o fatto montare camere a gas in Cisgiordania o nella striscia di Gaza, e nessun palestinese è finito nei forni crematori per mano ebraica. Non pensiate che sia inutile dirlo, perché a questo punto è necessario mettere le cose in chiaro; la menzogna ripetuta ha già fatto troppi danni. Le cose sono due, o questi soggetti sanno come stanno veramente le cose e mentono sapendo di mentire, oppure il loro comportamento mette in luce ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, la profonda ignoranza di cui sono vittime. Vorrei consigliare ai nuovi contestatori e tutti coloro che si sono fatti influenzare dalla loro propaganda tambureggiante, che vuole far diventare la vittima del passato nel carnefice del presente, d’informarsi. Certo, informarsi, presso fonti indipendenti, capire il perché e il come certe cose sono accadute e soprattutto capire chi, fino ad oggi, ha avuto interesse a lasciare il popolo palestinese e quello israeliano a combattersi e a soffrire per una guerra che non porterà mai a nessuna soluzione.

Prima di contestare a senso unico qualche cosa che sicuramente non conoscono, dovrebbero studiare la storia mediorientale degli ultimi anni. Facendolo, capirebbero che sono due i popoli vittime del presente, e che sono due i popoli che avrebbero un’esistenza migliore se solo si potesse raggiungere un accordo che preveda una convivenza pacifica. Posso dirvi, anche per esperienza personale, che ho maturato la certezza che i palestinesi non hanno bisogno di amici di questo tipo, gente di basso livello che altro non fa che istigare, oggi come allora, un popolo intero, illudendolo con false prospettive di dominio e trascinandolo in un’altra guerra che non ha alcuna speranza o possibilità di vincere. Noi, israeliani e palestinesi, abbiamo bisogno di amici della pace, che senza denigrare gli uni o gli altri facciano da ponte fra due popolazioni e fra i governi che li rappresentano. Due popoli che tanto hanno in comune e che alla fine vivranno uno accanto all’altro, nonostante Hamas, Hetzbolla o il farneticante presidente iraniano dal nome impronunciabile. Abbiamo bisogno di amici comuni che, anziché alzare la tensione fino allo scontro, aiutino a creare un’atmosfera nuova di fiducia nel futuro e fra le genti che porti tutti i popoli mediorientali a trovare il rispetto reciproco prima che si distruggano a vicenda.

Botta e risposta tra Gianni Vattimo e Furio Colombo sull' UNITA'


Caro Furio,
Vinco la tentazione di lasciar perdere, arrendendomi al prevalere del Washington e Jerusalem consensus che ormai domina ovunque in Italia, per reagire alla vergognosa, anche se spesso in perfetta buona fede, identificazione del boicottaggio della Fiera del libro di Torino con l’antisemitismo puro e semplice. Identificazione a cui non sfugge evidentemente anche Furio Colombo nel suo articolo del 6 febbraio, che finora avevo rinunciato a leggere per prudenza amicale. Ma non riesco a tacere dopo il titolo che vedo su Repubblica del 9 febbraio (pag 11: «Svastiche, profanazioni e boicottaggi: così in Italia rinasce l’antisemitismo»), che ovviamente considera i boicottatori alla stregua dei profanatori di tombe e cimiteri. Possiamo tentare di sfuggire alla logica propria del presidente Bush per la quale chi non è “con noi”, cioè con la guerra americana contro il “terrorismo internazionale” è semplicemente un terrorista? La logica di questa polemica è la stessa: chiunque obietta alla politica di Israele nei confronti dei palestinesi è bollato come antisemita, e dunque complice dello sterminio nazista.
A questa semplificazione se ne accompagna un’altra: chi si dichiara contrario alla decisone POLITICA di invitare Israele come ospite d’onore alla Fiera di quest’anno, e ne stigmatizza il significato propagandistico legato alla celebrazione dei sessant’anni dello Stato ebraico che sono anche sessant’anni dalla cacciata di tanti palestinesi dalle loro terre, è immediatamente identificato come qualcuno che vuol far tacere i grandi scrittori israeliani che parteciperanno all'evento. Grossmann, Oz, Yehoshua, non avrebbero diritto di parola, con grave danno del significato culturale dell’evento torinese. Come è facile vedere, non c’è alcuna connessione tra il boicottaggio e il tacitamente degli scrittori; hanno diritto di parola come tutti gli altri e i torinesi, anche i boicottatori, saranno lieti di ascoltarli e discutere con loro. La ragionevolezza del boicottaggio è una faccenda di scelta politica, e ha dalla sua parte anche la scelta di altri autori israeliani, come Aron Shabtai, che per le stesse ragioni hanno rifiutato l’invito alla Fiera di Parigi e a quella di Torino. Non mi risulta che i tanti colleghi e amici scandalizzati del boicottaggio (Colombo, ma anche Eco e Magris) abbiano preso in esame seriamente le ragioni di Shabtai o altre simili: si sono tutti lanciati subito nel coro di condanna (Magris del resto dichiarando che non valeva nemmeno la pena di discutere: ma chi è che boicotta, allora?). Non sarà qui all’opera una specie di razzismo a rovescio? Quello che un altro scrittore israeliano, poeta, romanziere e autorevole critico del giornale Haaretz, chiama «il nuovo filosemitismo europeo» (il suo libro è edito in francese, ed. La Fabrique, Parigi); non risulta che la Fiera lo abbia invitato ovviamente, certo per puro caso. I boicottatori - del resto pochissimi; anche questo sarà un segno che l’antisemitismo “dilaga” minacciosamente? - non mettono in discussione l’esistenza di Israele. Obiettano al suo diritto di occupare sempre nuovi pezzi di Palestina, contro esplicite decisioni dell’Onu; di affamare gli abitanti di Gaza fino al limite della pulizia etica; di pretendere che si consideri “Stato palestinese” l’insieme dei bantustan in cui i palestinesi di Palestina sono ora ridotti come indiani nelle loro riserve... Furio Colombo ha mai discusso le tante ragioni avanzate da gruppi come quello degli “ebrei contro l’occupazione”, o considera anche costoro alla stregua di vergognosi antisemiti? Molti ebrei, dentro e fuori Israele, ritengono ormai che sarebbe ora di lavorare in Palestina per uno stato laico dove tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro razza e dal loro credo religioso. Ma chiunque si auguri un esito simile è equiparato a chi vuole la “distruzione di Israele” - il quale, contro tutte le pretese modernizzatrici dei suoi sostenitori, continua a voler essere “Stato ebraico”. Non varrebbe la pena di discutere, laicamente, anche di questo?

Caro Gianni,
nel rispondere alla tua dichiarazione alla Stampa (4 febbraio) io ho posto una domanda che certo non si fa a cuor leggero e certo non per amore di inscenare una bella discussione. E non con te, considerate le tante battaglie e cause perse insieme.
Ho chiesto di dirmi «se il nemico è Israele», pensando alla situazione disastrata e irreale nella stiamo vivendo: il Paese del sionismo irredentista (come Trento e Trieste), del sionismo socialista dei Kibutz, dei sopravvissuti allo sterminio (metà della famiglia Sereni era nella Resistenza, metà era impegnata nel tentativo di fondare Israele), è descritto come un carnefice mentre tenta di sopravvivere alla garrota delle grandi potenze petrolifere (Iran e Arabia Saudita), mentre la folle “guerra di civiltà” (in cui una parte dei combattenti, quando sarà cambiato il presidente americano, tornerà una parte a casa) ha esposto Israele all’estremo pericolo. Allo stesso modo, i palestinesi sono usati come carne da macello dai padroni del petrolio che li spingono a continuare a morire.
Che senso ha incitarli, da sinistra, al massacro, ripetendo ciò che i giovani del Fuan con kefiah (che all’Università di Torino abbiamo respinto insieme) dicevano negli anni Cinquanta sperando, già allora (e prima di conversioni di convenienza internazionale del loro partito che adesso si chiama An), di «liberarci dal pericolo sionista»?
E che senso ha per uomini e donne della sinistra italiana ripetere questa frase, insieme con Storace e i suoi fascisti che, proprio su questo punto, hanno rotto con Fini?
Non lo vedi anche tu che senza lo Stato di Israele non ci sarà mai uno Stato Palestinese (Gaza era già stata infeudata dall’Egitto, la West Bank dalla Giordania, il resto, se avesse potuto, dalla Siria), che senza un aiuto e una presenza internazionale (Italia e Nazioni Unite per contenere l’assalto Hezbollah alle frontiere del Libano) Israele assediato (solo Paese di cui un altro Paese - l’Iran - ha chiesto ufficialmente “la cancellazione” senza turbare i sonni di alcun governo) non può che tentare di difendersi, come farebbe qualunque Paese in procinto di scomparire, e mentre il Papa re-introduce la preghiera che consegna gli Ebrei a terra sconsacrata e non cristiana, dunque fuori dal mondo che merita protezione (esattamente come è accaduto il 16 ottobre 1943 a Roma, a pochi metri dal Vaticano)?
Non lo vedi anche tu che la fine di Israele segnerebbe l’inizio della Shoah, parte due?
Non lo vedi anche tu che boicottare Israele il giorno del suo compleanno vuol dire dichiararlo invasore e usurpatore fin dal primo giorno, una offesa mai lanciata contro alcun Paese, buono o cattivo, nato con voto unanime delle Nazioni Unite (insieme allo Stato palestinese, rifiutato non dai Palestinesi ma dai signori della guerra e del petrolio arabo)?
L’invito è per il Salone del Libro, dove si parla, si legge, si scrive, non a una parata militare. È un invito rivolto a un mondo letterario tutto (tutto) democratico e di pace. Come fa un antifascista con la tua vita e il tuo pensiero, a invocare il boicottaggio di un Paese che ha potuto nascere solo dopo che la Resistenza italiana ed europea e l’impegno di tutta la parte democratica del mondo hanno posto fine al fascismo?
furiocolombo@unita.it

Paola Cannaruto di Ebrei contro l'occupazione, sul MANIFESTO si schiera contro il boicottaggio.
Fornisce anche una buona notizia. Un libro sul conflitto israelo-palestinese, destinato alle scuole, è stato ritirato dal Comune di Torino. Il libro conteneva un contributo della stessa cannaruto, e basta leggere il suo articolo per convincersi che ciò che aveva scritto non poteva davvero essere imparziale.
Dunque, complimenti al comune di Torino per una decisione che gli fa onore.
Ecco il testo:


Il 24 gennaio, con il segretario di European Jews for a Just Peace, ho presentato all'Oms, a Ginevra, la nostra lettera contro l'assedio di Gaza. Li abbiamo ringraziati per aver condannato il taglio dell'elettricità agli ospedali, sollecitandoli a trattare anche della mancanza di acqua potabile e dello sfascio delle fognature. Poiché sono medico, ho suggerito di denunciare anche la carenza di cibo e l'impossibilità di scaldare le case (mentre Israele minaccia di far mancare, fra poco, anche il gas da cucina): anche questo nuoce alla salute. L'alto funzionario ha commentato che le loro dichiarazioni sono sempre esito di faticose mediazioni: Israele fa parte dei comitati. Tornando a casa, mi sono sentita scema: ero andata a Ginevra per dire all'Oms che la fame è nociva! Alla riunione con gli organizzatori della Fiera del Libro, il consigliere regionale Chieppa del Pdci, il Comitato di solidarietà con il popolo palestinese di Torino ed io avevamo chiesto di porre gli scritti palestinesi sullo stesso piano di quelli israeliani. La risposta è stata un No secco. Al governo israeliano, la Fiera serve da autocelebrazione, per far dimenticare le atrocità compiute. Parteciparvi, anche con spirito «critico», vuol dire stare al gioco. Non basta far credere al mondo intero che Yehoshua (che vuole il muro), Oz e Grossman siano pacifisti: ad Israele, gli oppositori servono per dimostrare la propria «democraticità». Non si finisce in carcere perché si è di B'Tselem. Halper può manifestare per i palestinesi: lui, non lo arrestano. Chi è arrestato, torturato e ucciso senza processo, sono gli abitanti dei Territori Occupati, coloni esclusi: sono quelli della «razza» e della religione «sbagliata». Ma, poiché questi non hanno la cittadinanza, Israele si proclama «democratico». Lo è persino con i cittadini non ebrei. Sempre che non mettano in causa l'ebraicità dello stato: in tal caso, se sono importanti, rischiano di finire come Bishara, accusato - con una scusa - di tradimento, onde il suo partito, il Balad, finisse allo sbando (come puntualmente è avvenuto); o, se non lo sono, come i palestinesi cittadini israeliani, uccisi dalla polizia all'inizio dell'Intifada. Per queste uccisioni, Israele ha deciso che nessun poliziotto sarà processato. Lo sterminio degli ebrei è un crimine incomparabilmente più grave della nakba. Ma Israele ne usa il ricordo, non per rifiutare alleanze con fascisti e simili (che dire dell'alleanza con il regime di Videla? del viaggio di Fini? dell'amicizia di Berlusconi, al governo con una Lega razzista?), ma per cacciare i palestinesi. A compiere lo sterminio furono tedeschi (e polacchi, italiani, etc.): non palestinesi. Responsabili della nakba, invece, furono coloro che vollero uno stato a maggioranza ebraica, e chi li sostenne (Stalin compreso). I palestinesi funsero da capro espiatorio, come dalle prescrizioni del Levitico: quello su cui scaricare i peccati, prima di mandarlo a morire nel deserto. Peccati, notare, non compiuti affatto dal capro (Lv 16, 10.21s.). La levata di scudi contro il boicottaggio della Fiera suona male: si prese una posizione analoga nel 2006, quando Israele, con gli Usa e l'Unione Europea (anche l'Italia, cioè) boicottarono i palestinesi, per il voto a Hamas? Allora, nei Territori Occupati, chiusero scuole ed ospedali: i dipendenti non erano pagati. Durante la prima Intifada, Israele aveva chiuso - per anni – scuole e università palestinesi. Il rettore dell'università di Al-Quds, Nusseibeh, è in ottimi rapporti con Israele: ha firmato un'iniziativa di pace con Ayalon, ex capo dei servizi segreti. Ciononostante, dentro l'università c'è il muro; per entrare e uscire, gli studenti devono passare un posto di blocco. Stante il muro e i checkpoint, occorrono ore per raggiungere, da Betlemme, l'università di Al-Quds; e sono pochi chilometri. Questi, va da sé, non rientrano fra i boicottaggi culturali: il mondo – diversamente da Parlato – non considera i palestinesi i nuovi ebrei. I dirigenti della Fiera hanno tenuto a dirci che questa è fortemente sostenuta dalle autorità istituzionali del Piemonte, sindaco di Torino incluso. Un paio di anni fa, il Comune di Torino aveva fatto sì che diverse organizzazioni scrivessero un testo per insegnanti («Israele/Palestina. Palestina/Israele». Sussidio Informativo, edito dalla Città di Torino e dal Coordinamento di Comuni per la Pace). Del libretto, dichiaratamente per la non violenza, avevo preparato il capitolo sui movimenti pacifisti israeliani. Quando lo presentammo, nel settembre 2006, il presidente della comunità ebraica insorse. Ad un incontro successivo, invece, non sono stata invitata. Mi dicono che è andato dal sindaco l'ambasciatore israeliano, per spiegargli l’«inopportunità» del testo, perché «non equidistante». Risultato: il librino è sparito. Nemmeno chi ha scritto il libro sa se il Comune l'ha mandato al macero, o se ne ha sepolto le copie in un ripostiglio, scelto fra quelli più abitato dai topi. Per molti, non si può chiedere ad un evento letterario, come la Fiera, di essere «equilibrata». Ma se un testo non piace all'ambasciatore israeliano, basta l'accusa di mancato equilibrio perché il Comune si faccia piccolo piccolo, chieda scusa, e nasconda il libro. È chiaro che in questo caso non si parla di «censura», di «inutilità» di un boicottaggio antidemocratico. Non s'ha da boicottare Israele: chi lo fa rischia di essere definito «antisemita», magari «nazista». Far scomparire un testo, e (più grave) impedire ai palestinesi di andare a scuola, non è boicottaggio culturale. È normale «democrazia» israeliana (esportata, almeno in un caso, anche qui da noi). E, per Parlato, gli ebrei israeliani sono diversi dai sudafricani bianchi. È vero. Sono peggiori: in Sudafrica lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli.

Dal GAZZETTINO di PADOVA del 12 febbraio 2008, un intervento di Ivo Rossi  assessore al Comune di Padova

Il dovere della memoria, riaffermato recentemente con la visita ai luoghi dell’olocausto organizzata dal Comune di Padova, non può non diventare un impegno costante per impedire che ciò che è stato si possa ripetere.

Per questo la vigile attenzione è un dovere del presente.

Quest’anno la Fiera del Libro di Torino ha deciso di accogliere Israele come paese ospite e alcuni dei più importanti e sensibili scrittori come suoi rappresentanti. Questa decisione ha scatenato da parte di alcuni la decisione di boicottare la manifestazione negando così la libertà fondamentale, quella di pensiero e di libera circolazione delle idee, arrivando a giustificare tale manifestazione non ‘contro gli ebrei, ma contro Israele’. Dichiarazioni simili ci riportano alla schizofrenia di chi sostiene di non essere antisemita, ma nega agli ebrei il fatto stesso di avere uno stato, per di più uno stato democratico.

Tutti i discorsi più o meno ufficiali sulla Shoah, tutti gli appelli ‘a non dimenticare’, tutti i documentari e i film trasmessi durante la giornata della Memoria da poco commemorata, tutte le visite ai lager per ricordare ai giovani che un’orrenda pagina della nostra storia è stata scritta fra quelle misere baracche, non possono servire solo a farci commuovere per pochi minuti se noi non capiamo il dramma storico degli ebrei e non prendiamo atto che lo stato di Israele è lo stato dei figli, dei nipoti di quegli ebrei uccisi non solo dai nazisti, ma anni prima anche dai russi nei tragici pogrom, e secoli prima nei roghi dell’Inquisizione spagnola e portoghese.

L’idea di uno stato per gli ebrei senza patria, che si trovavano sparsi in quasi tutti i paesi del mondo, nasce già nell’Ottocento; lo stato di Israele fu deciso con il voto delle Nazioni Unite, lo stesso voto che aveva istituito anche uno identico Stato palestinese, che gli arabi, nel 1948, cioè otto ore dopo la proclamazione dell’indipendenza di Israele, hanno impedito ai palestinesi di accettare.

Grossman, Oz, Yehoshua sono grandi scrittori che si sono sempre dimostrati aperti al dialogo e al confronto con i palestinesi, non hanno mai negato le problematicità della realtà israeliana, ma nel contempo si sono sempre sentiti figli della loro terra.

Il cammino della pace è lungo e irto di ostacoli, arrivare al risultato auspicabile di ‘due popoli, due stati’ non è immediato né indolore; ma gli atteggiamenti di chiusura e di boicottaggio di manifestazioni culturali come quella di Torino aiutano solo coloro che incoraggiano il conflitto e inducono allo scontro.

Difendere la libera circolazione delle idee e di parola non è di destra né di sinistra, per questo, chi si riconosce nella cancellazione delle leggi razziali, nel "Giorno della Memoria", nella Costituzione, non può non difendere il Salone del Libro dedicato all’anniversario della nascita di Israele.

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