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La Stampa Rassegna Stampa
13.02.2008 Liste nere di ebrei: nella storia sono state il preludio della persecuzione
un editoriale di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 13 febbraio 2008
Pagina: 35
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Da una lista nacque il ghetto»
Da La STAMPA del 13 febbraio 2008:

«Fare il nome di qualcuno» non è di per sé un atto di usurpazione, di violenza foss’anche soltanto verbale. Nella tradizione ebraica e prima ancora nella Bibbia il nome è la voce della memoria. La collina di Gerusalemme divenuta monumento alla Shoah si chiama Yad wa-Shem, alla lettera «mano e nome», una sorta di formula per dire «ricordo». Quassù, dentro una sala buia dove un’unica fiammella si riflette miriadi di volte, una voce ininterrotta scandisce i nomi del milione e mezzo di bambini morti dentro lo sterminio. Il nome che portiamo in vita è insomma la tessera di un mosaico futuro in cui non ci saremo più, se non nei ricordi e nella nostalgia.
Ma non sempre «fare il nome di qualcuno» significa onorarne la memoria. Anzi. Lo è decisamente meno, se questo qualcuno è vivo e vegeto. Certo non si saranno sentiti «onorati» nella memoria i centosessantadue docenti finiti nella prontamente battezzata black list di ebrei che è stata pubblicata su un blog, con tanto di esegesi storica e motivazione politica. Accusati di essere, oltre che ebrei, anche sionisti e lobbisti, questi docenti sono rimasti così, listati sul web, per quasi un mese. Poi, dall’ormai lontano 16 gennaio scorso, qualcuno se n’è accorto, molti hanno protestato, il sito è stato oscurato. E infine ieri gli investigatori sono risaliti al presunto responsabile, di cui per contrappasso non resta che fare il nome: tal Paolo Munzi, paladino dei negazionisti della Shoah.
Questo episodio ha suscitato diverse reazioni. In un certo senso, una lista di professori ebrei è persino tautologica. Ovvia, nella sua banalità. Il fatto di essere insegnanti universitari ed ebrei potrebbe rappresentare semplicemente un’evidenza. Per chi scrive è così, e non si sognerebbe mai di negarlo. Ma questo elenco in rete è tutt’altro che tautologico, tutt’altro che innocuo. Ha alle sue spalle una lunga e nefasta storia. La «conta degli ebrei» è stata infatti per secoli e millenni l’inevitabile premessa di eventi tragici. Il preludio a una fantasiosa gamma di emarginazioni e violenze - verbali ma soprattutto fisiche.
Nell’estate del 1938, mentre stavano facendo gli ultimi ritocchi alle leggi razziali, il regime fascista e il sovrano, che puntuale e preciso firmava in calce ogni provvedimento, organizzarono un meticoloso censimento degli ebrei nel Regno. Questa mappatura divenne fondamentale al momento di mettere in pratica, cioè di far rispettare, la legislazione razziale. Così fu molto più facile, dopo averne «fatto i nomi», rintracciare gli ebrei dentro la vita.
Ma il censimento fascista non è affatto un unicum: la storia ebraica, e nello specifico quella dell’emarginazione e del pregiudizio, delle cacciate e delle persecuzioni, è disseminata di conte degli ebrei. Tanto è vero che, quasi a mo’ di triste presagio, la Bibbia considera quasi un tabù quello di censire i figli d’Israele, perché quest’opera spetta a Dio più che agli uomini. E invece, sbattere in faccia alla storia o anche soltanto alla cronaca, i nomi degli ebrei, è stato tante volte il modo per delimitare la loro esistenza. Per costruire un ghetto di parole, subito prima di quello vero.
Fare i nomi degli ebrei non è, pertanto, affatto innocuo. È piuttosto un velenoso surrogato, nonché il prologo, dell’emarginazione. Anche quando è neutrale, senza intenzioni politiche o delatorie, l’inventario degli ebrei (così come dei gay, dei neri, delle donne) lascia in bocca il gusto insopportabilmente amaro di una storia insidiosa.
Se poi, come sul blog oscurato, porta pure con sé la solita carica di invettive campate per aria e inossidabili pregiudizi, torna lo sconforto. E viene da pensare che invece di urlare allo scandalo e dichiarare la vergogna, prima di denunciare i responsabili e trovare uno slogan efficace all’indignazione, sarebbe forse ora di preoccuparsi davvero.
elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it

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