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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Emma mordechai Richler Date da mangiare ai miei amati cani 11/02/2008

 

Date da mangiare ai miei amati cani             Emma Mordechai Richler

 

Traduzione di Francesca Valente

 

Fandango                                                          Euro 22

 

 

Vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino è una fra le cose più complicate che ci siano. Per non parlare dello scriverci su: è difficilissimo non cascare quasi subito dall’altezza da cui i bambini guardano il mondo. Se poi si è figli d’arte la battaglia è, a rigore perduta in partenza. Fatte queste indebite premesse, il romanzone di Emma Richler lo si apre con la rassegnazione di chi va incontro a un abbacchiato Don Chisciotte della penna. Settecento e rotte pagine da affrontare con l’indulgenza che si riserva a uno sfizio. A una bambina viziata figlia di un grande scrittore e di cui il risvolto di copertina non ci rivela l’età: potrebbe avere quindici come sessant’anni.

 

Invece Emma Richler è nata nel 1961, cioè non proprio ieri. E’ figlia dell’autore dell’indimenticabile “Versione di Barney” e ha scritto, dal canto suo, un bellissimo romanzo che s’intitola “Date da mangiare ai miei amati cani.

 

Jem, cioè Jemima Weiss, è una bambina di nove anni stretta come una fetta di prosciutto (pardon, pastrami kasher) fra fratelli maggiori e minori. E’ la terza di cinque figli. Ha una mamma bellissima, premurosa e avveduta ma un po’ lontana, irraggiungibile ai suoi sguardi di bambina. E’ la tipica mamma da idolatrare in silenzio, la sua. Il papà, invece, “cammina piano. Fa un mucchio di pensieri quando cammina, per questo gli ci vuole un passo lento”. Jem frequenta una scuola di suore anche se è un po’ ebrea – un po’, mica tanto – e queste suore hanno dei nomi astratti assai congeniali: “suor Musica, “suor Campetto”. A scuola succedono cose buffe e cose tristi. A casa di Jem succedono quasi sempre solo cose strane. Cose che capitan soltanto a casa sua, come quando nasce Gus, il pivello buon ultimo arrivato.

 

Emma Richler segue questa bambina in cui non si fatica a riconoscerla, con un passo davvero formidabile. Jem è una di quelle giovani femmine ossessionate dalla conoscenza, curiose sino alla noia, eclettiche instancabili. Astronomia e meccanica, civiltà classica e regole della kasherut ebraica. Nulla la lascia indifferente. Il romanzo diventa così lo strepitoso stream of consciousness di questa bambina di nove anni dall’esistenza alquanto originale, fitta di momenti esilaranti. Ma anche di note commoventi.

 

E’ un romanzo profondamente realistico, malgrado l’io narrante (o forse per merito del suddetto) in erba in cui la penna dell’autrice si immedesima alla perfezione. Ne esce infatti un quadro familiare umoristico e toccante, intenso e scanzonato. Resta lo stupore di fronte alla capacità di immedesimarsi in questa bambina: sarà pure il ritratto dell’autrice nel contesto della sua vera famiglia, ma ciò nulla toglie all’ineludibile difficoltà che comporta mettersi nei panni di qualcuno che ha nove anni. Anche, e a maggior ragione, se si è figli d’arte.

 

 

Elena Loewenthal

 

Tuttolibri – La Stampa

 


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