CORRIERE della SERA, 10/02/2008, pag.31 - Nel rispondere ad un lettore in merito ad un possibile ingresso di Israele nell'alleanza atlantica, Sergio Romano non si lascia sfuggire alcune affermazioni, diciamo così, malevoli nel confronti dello Stato ebraico. Afferma che può benissimo difendersi da solo, dimostrando il massimo cinismo verso le intenzioni aggressive dell'Iran, ignorandole. Ci pensi Israele alla sua sicurezza, non è compito della Nato. Ne collega poi le responsabilità con le potenze < ex coloniali > accostando la definizione a Israele, così, tanto per non perdere l'abitudine. Abbiamo una curiosità, come mai nella sua rubrica non è uscita nessuna lettera sulle polemiche Fiera del Libro-Antisemitismo-Israele ? e sulle Liste Nere ? Non sarà che Romano preferisce cestinare per evitare di dire come la pensa ?
Ecco la lettera del lettore e la risposta di Romano.
|
È stato più volte proposto, in questi ultimi tempi, l'ingresso di Israele nella Nato per dare un messaggio chiaro a chi ne vorrebbe la distruzione (Siria, Iran). Se Israele venisse attaccato, gli Usa e l'Ue dovrebbero intervenire ugualmente, anche se non c'è nessun trattato che li obbliga, in quanto li obbliga la salvaguardia della democrazia e dei valori occidentali. Certo non credo che gli «Stati canaglia» modificherebbero la loro posizione sullo Stato israeliano solo perché questo fa parte della Nato. A mio avviso, l'ingresso di Israele nella Nato peggiorerebbe i processi di pace e la possibilità di dialogare con quei moderati (Egitto, Giordania e Al-Fatah) che si troverebbero a dover dar ragione agli estremisti, dato che Israele è stato ammesso in una organizzazione prettamente militare e tutte le armi del mondo— verrebbe sostenuto— sono pronte a colpire gli arabi. È sbagliata questa mia valutazione? Martino Salomoni martinosalomoni@ tiscali.it
Caro Salomoni, Credo che Israele sia perfettamente in grado di difendere se stesso. Non può vincere una guerra asimmetrica, come quella che fece in Libano nell'estate del 2006 contro le formazioni inafferrabili di Hezbollah. Ma può certamente tenere a bada i Paesi vicini e rispondere con il proprio arsenale a una eventuale minaccia atomica iraniana. È improbabile che Stati Uniti e Europa interverrebbero nella guerra con le loro forze armate, ma gli israeliani sanno di poter contare sul sostegno di Washington. Durante il suo recente viaggio in Medio Oriente il presidente Bush ha promesso all'Arabia Saudita forniture militari per 20 miliardi di dollari, ma ha assicurato gli israeliani che il valore del loro pacchetto avrebbe toccato i 30 miliardi. I sussidi e i crediti che gli Stati Uniti garantiscono ogni anno all'Egitto ammontano a un miliardo di dollari, ma quelli riservati a Israele valgono più o meno cinque miliardi. L'ingresso nella Nato, in queste circostanze, non aggiungerebbe molto alla sicurezza di Israele e non sarebbe gradito, probabilmente, neppure al suo governo. Perché dipendere dalle decisioni di una trentina di Paesi quando è possibile contare, come è accaduto in questi ultimi anni, sull'appoggio pressoché incondizionato della maggiore potenza mondiale? Aggiungo che lei non ha torto, caro Salomoni, quando osserva che l'ingresso di Israele nella Nato rafforzerebbe le convinzione di quanti, nel mondo arabo e musulmano, hanno sempre visto nello Stato ebraico una quinta colonna delle vecchie potenze coloniali, una ennesima manifestazione di imperialismo occidentale. Esiste poi un altro aspetto della questione che concerne soprattutto la Nato. Dopo la fine della guerra fredda molti si chiesero se valesse la pena di tenere in vita una organizzazione costituita per difendere le democrazie da un nemico che aveva cessato di esistere. Prevalse la convinzione che la Nato fosse ormai un simbolo dei legami euro- americani e che la sua dissoluzione avrebbe avuto spiacevoli ripercussioni politiche, soprattutto in un momento in cui gli Stati Uniti sembravano avere tentazioni unilateraliste. Ma occorreva assegnarle una nuova missione: un obiettivo che, a giudicare dai risultati, non sembra essere stato raggiunto. Gli americani se ne sono serviti quando rispondeva ai loro interessi (l'operazione Kosovo nel 1999, il continuo allargamento verso est negli anni successivi). Ma nei momenti cruciali hanno preferito agire da soli, salvo chiedere l'intervento della Nato più tardi, quando la situazione era ormai critica e Washington stava scontrandosi con difficoltà impreviste. È accaduto in Iraq e soprattutto in Afghanistan, dove Bush si è rivolto agli alleati allorché il Paese, lungamente trascurato dalla sua amministrazione, stava ricadendo nelle mani dei talebani. Il risultato non è stato positivo. Alcuni membri dell'Alleanza, fra cui l'Italia e la Germania, non sono disposti a inviare le loro truppe nelle zone del sud del Paese dove si combatte. Il Canada ha fatto sapere che intende ritirare i suoi 2.500 uomini dal sud se altri Paesi dell'Alleanza non invieranno nella regione i loro contingenti (la Francia, recentemente, avrebbe accolto l'invito). Il segretario di Stato americano alla Difesa Robert Gates ha mandato un brusco appello al governo tedesco e ha ricevuto un no altrettanto brusco. Complessivamente, dalla fine della guerra fredda, la Nato è servita soprattutto a estendere l'influenza americana in Europa orientale, con grande dispetto della Russia, ma è stata sul piano militare poco efficace. Continua a esistere perché la sua soppressione creerebbe qualche problema, ma non ha ancora trovato la sua missione.
Invitiamo i lettori a fare proprie le domande del nostro commento ed inviarle al Corriere della Sera, cliccando sulla e-mail sottostante.
|