A yaan Hirsi Ali è quella giovane donna, ex deputata olandese, di origine somala, che poco più di tre anni fa è stata condannata a morte da gruppi di fondamentalisti islamici di Amsterdam. Questa donna ammirevole, da quando, un giorno del 2004, fu trovata una lettera infilzata nel petto senza vita del regista Theo Van Gogh che la designava come prossimo bersaglio degli assassini, vive come ha vissuto per molto tempo Salman Rushdie: braccata, perseguitata, costretta a dormire tutte le sere in un luogo diverso, mai nella quiete. E questo perché? E questo calvario, questa vita in sospeso, per quale colpa? Perché, quando era deputata, Ali ha fatto votare una legge contro l'escissione delle bambine. Perché, all'epoca, si è battuta contro la tentazione comunitarista che, per lei come per tanti altri, è una delle minacce più insidiose che pesano sulle democrazie. Perché ha rifiutato con voce alta e forte, senza preoccuparsi delle precauzioni che la «cultura della scusa» impone, la nuova versione del fascismo chiamata islamismo radicale. E perché, sull'Islam stesso o, più esattamente, sull'«Islam attuale» e sulla sua compatibilità o meno con «i presupposti dello Stato di diritto», ha tenuto discorsi che avrebbero potuto sollevare polemiche, dibattiti, critiche, ma che i fanatici hanno inteso come una bestemmia e in più — supremo crimine! — come un invito all'apostasia… Ayaan Hirsi Ali, in realtà, non ha fatto altro che invitare a riflettere liberamente sui rapporti fra religioni e Stato. In ogni caso, ha difeso i principi di laicità — Ali dice laicità «alla francese» — che per lei sono una delle conquiste non negoziabili delle lotte democratiche. Si è limitata a ricordare che per qualsiasi cittadino d'Europa è diritto inalienabile — iscritto nella Carta dei diritti fondamentali — il diritto alla miscredenza. Solo che, nel mondo dell'Islam, la cosa continua, purtroppo, a essere un problema. Solo che, nel mondo dell'Islam, ripeto, la cosa è ancora assimilata, talvolta, al più imperdonabile dei misfatti. Solo che una buona parte dell'opinione pubblica, occidentale in generale e olandese in particolare, ha reagito alla vicenda nel modo più strano. Con dichiarazioni imbarazzate che insinuavano come fra la «provocatrice» e il suo eventuale assassino «offeso» nella propria identità non ci fosse una gran differenza. Come dire: se non è zuppa è pan bagnato. Ha reagito come i vicini di casa che la fecero espellere dal suo alloggio; come i colleghi, in Parlamento, che la spinsero alle dimissioni; come l'amministrazione olandese che tentò di rimettere in causa la regolarità delle procedure che nel 1997 portarono alla sua naturalizzazione. E ora che, stanca di tante contrarietà e umiliazioni, preoccupata anche di confondere le piste e di complicare il compito degli assassini, Ali cerca di muoversi, di viaggiare, di svolgere il proprio lavoro d'intellettuale in Europa, negli Usa e altrove per difendere la causa delle donne nell'Islam, ora dunque la stessa amministrazione olandese fa sapere che — a differenza di Scotland Yard, che si faceva un punto d'onore di proteggere Rushdie ovunque si trovasse — la sua polizia smetterà di garantire la sicurezza di Ali appena uscirà dal Paese. Domani Ayaan Hirsi Ali sarà a Parigi, alla Scuola normale superiore di rue d'Ulm, invitata da pubblicazioni e associazioni ( Charlie Hebdo, Libération, ProChoix, la Régle du Jeu, Sos Racisme) che non si sono mai lasciate intimidire dalle provocazioni degli islamismi o dalle messe in guardia di chi imita i cedimenti degli accordi di Monaco. Nei giorni seguenti le saranno consegnati, da Julia Kristeva e da me, due Premi per ricompensare la sua lotta e la sua resistenza a tutte le oppressioni (il primo premio in omaggio a Simone de Beauvoir; il secondo proposto da una giuria di giornalisti dei più importanti media francesi). Il 14 febbraio Ali sarà a Bruxelles, su iniziativa di deputati europei decisi a mettere insieme una maggioranza di loro colleghi per una risoluzione che faccia di questo simbolo vivente dell'Europa una cittadina europea per eccellenza, protetta come tale dalle istituzioni europee. La Francia, che presto assicurerà la presidenza dell'Unione, ha un ruolo decisivo in questa partita. Nicolas Sarkozy, che durante la campagna presidenziale dichiarò: «Ogni volta che una donna è martirizzata nel mondo, la Francia deve essere al suo fianco», non può non sentirsi chiamato in causa da questa eroina della lotta per i diritti dell'uomo e per i Lumi. Ayaan è stata ricevuta, in un precedente passaggio a Parigi, dalla Guardasigilli, Rachida Dati. So che, stavolta, incontrerà Rama Yade e Fadela Amara, segretari di Stato per i diritti dell'uomo. Possa, il Presidente della Repubblica, ascoltare la voce dei propri ministri, ricevere a sua volta questa gran donna martirizzata e servirsi dell'autorità che è la sua affinché le sia pienamente riconosciuto, come a tutti i cittadini d'Europa, l'imprescrittibile diritto di andare, venire ed esprimersi in tutta sicurezza. Traduzione di Daniela Maggioni
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