Picchiati, torturati, sottoposti a ispezioni anali per provare la loro omosessualità e tenuti ammanettati ai letti. È questo il trattamento riservato dalle autorità egiziane alle persone sieropositive. Human Rights Watch, l'organizzazione per la difesa dei diritti umani, ha denunciato, in un comunicato, la situazione di palese «ingiustizia» in cui si trovano otto persone, detenute da mesi in condizioni «atroci». «Fino al 2006 — spiega al Corriere Gasser Abdel Razek, direttore dell'organizzazione in Medio Oriente e Nord Africa — sembrava che la situazione fosse un po' migliorata. Non c'erano stati casi eclatanti di arresti. Poi siamo ripiombati nel baratro. Questi uomini hanno subito dei trattamenti indicibili. Dovrebbero essere rilasciati subito. Ci siamo rivolti al governo ma senza successo». Tutto è cominciato lo scorso ottobre quando la polizia ha fermato due persone che stavano litigando per la strada nel centro del Cairo. Uno di loro ha rivelato agli agenti di essere sieropositivo e i due sono stati immediatamente portati negli uffici della polizia morale. Lì, secondo la denuncia di Human Rights Watch, sono volati schiaffi, pugni e calci. I malcapitati sono stati anche sottoposti a ispezione anale per provare la loro omosessualità. «Una pratica — dice Razek — che equivale alla tortura. E poi da un punto di vista medico è assurdo pensare che una "visita" del genere possa provare le tendenze sessuali di una persona». Dopo aver passato quattro giorni ammanettati alle scrivanie della polizia, dormendo sui pavimenti, i due sono stati trasferiti in un ospedale del Cairo dove sono ancora tenuti sotto custodia. «Da allora passano circa 23 ore al giorno legati al letto — racconta ancora Razek —. Noi non abbiamo potuto incontrarli perché non ce l'hanno permesso ». Ma la storia non finisce qui. Anzi. Nei portafogli degli arrestati la polizia trova le foto e i numeri di telefono di due persone. Anche loro finiscono in carcere. Scatta una sorta di «caccia al gay». L'appartamento di uno dei detenuti viene posto sotto sorveglianza e, un mese dopo, vengono fermati altri quattro individui che vi si erano trasferiti. Anche a questi ultimi viene riservato il solito trattamento: botte, ispezioni corporali e test dell'Hiv. Uno di loro racconta di aver ricevuto da un agente la notizia di essere sieropositivo con queste parole: «Le persone come te dovrebbero essere bruciate vive. Non meritano di stare al mondo». A differenza dei primi quattro arrestati, che sono ancora in attesa di giudizio, per questo gruppetto il processo è più rapido. Il 13 gennaio vengono condannati a un anno di reclusione per «ripetuta condotta dissoluta», uno dei capi d'accusa usati solitamente contro gli omosessuali. La sentenza viene confermata il 2 febbraio da una corte d'appello. Secondo gli avvocati della difesa il pubblico ministero non ha prodotto alcuna prova contro gli accusati. «Questi casi — dice Scott Long responsabile del programma per i diritti di gay, lesbiche e transgender di Human Rights Watch — dimostrano che la polizia egiziana agisce pensando che l'Hiv non sia una malattia da curare ma un crimine da perseguire. I test fatti senza il consenso, il maltrattamento dei detenuti, i processi guidati dai pregiudizi e le condanne senza prove violano tutte le leggi internazionali». Il governo egiziano, per ora, preferisce non commentare. «Non rispondono mai alle nostre denunce — spiega ancora Razek al Corriere —, però a volte rilasciano le persone coinvolte. Invece questa volta non è stato fatto nulla. Almeno fino ad oggi (ieri ndr) ». Il clima è un po' quello del 2001 quando la polizia fece irruzione in un ristorante galleggiante sul Nilo e arrestò 52 omosessuali. Venticinque furono condannati a pene dai 2 ai 5 anni. Il codice penale egiziano non considera esplicitamente un reato l'omosessualità ma la punisce di fatto grazie alle leggi che perseguono oscenità, prostituzione e perversione.
La protesta I gay scendono in piazza coprendosi il volto
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