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Il Sole 24 Ore - Il Riformista - Agi - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.02.2008 Una nuova barriera difensiva, operazioni militari a Hebron e a Gaza
Israele si difende, ma i media presentano troppo spesso una falsa versione dei fatti

Testata:Il Sole 24 Ore - Il Riformista - Agi - Il Manifesto
Autore: Roberto Bongiorni - Paola Caridi - la redazione - Michele Giorgio
Titolo: «Israele, barriera con l'Egitto - Scende la neva su Hebron e sulla pace - RAID A GAZA, UCCISI 6 MILIZIANI E UN INSEGNANTE - Gaza, ancora tagli alla luce Israele inasprisce l'embargo»
Il SOLE 24 ORE del 7 febbraio 2008 pubblica a pagina 12 una cronaca di Roberto Bongiorni sulla volontà del governo israeliano di costruire una barriera di sicurezza tra Gaza ed Egitto.

Sostanzialmente corretta, salvo che per l'abituale trasformazione dei terroristi in "miliziani" e  per la strana idea secondo la quale la barriera in Cisgiordania sarebbe chiamata "muro" dai più critici.

Siccome la barriera difensiva non è, per la maggior parte del suo tracciato, un "muro", chi la chiama così non è un "critico", ma un disinformatore 

Nel reportage di Paola Caridi da Hebron l'attentato a Dimona è solo l'accidentale causa della repressione israeliana, sulla quale devono sempre essere puntati i riflettori.

Ecco il testo:

Hebron. La neve è ancora ammucchiata ai lati delle strade. Ne è scesa mezzo metro, la scorsa settimana. Più che a Gerusalemme. Hebron è sempre stata più fredda e più umida, di quel freddo che entra nelle ossa. Nonostante, anche nella percezione palestinese, Hebron sia a tutti gli effetti una città del sud: il capoluogo della Cisgiordania meridionale, il posto che - storicamente - ha sempre subito l'influenza di Gaza. La Striscia, d'altro canto, è a poche decine di chilometri da Hebron, anche se per arrivarci, dicono sconsolati gli abitanti di quella che in arabo è conosciuta come Al Khalil, bisognerebbe fare il periplo di mezza regione, e sperare di entrare da Rafah.
Gaza, adesso, sembra ancora più vicina. Quel muro fatto esplodere a Rafah è stata una cesura nella storia di questi ultimi mesi, per tutta la Cisgiordania. E poi l'attentato a Dimona, il primo dentro i confini di Israele che Hamas ha rivendicato da tre anni a questa parte. Quello sì che ha reso la Striscia sempre meno lontana dalla West Bank. E ha riportato lo scontro tra gruppi armati palestinesi e Israele fuori dai confini di Gaza. Prima tappa, non casuale, Hebron.
In Palestina si dice che se qualcosa deve cominciare, inizia a Hebron. Chissà perché. Certo è che la città, da tempo considerata la principale roccaforte di Hamas in Csigiordania, è risalita al centro della cronaca quando si è diradata la nebbia sulle rivendicazioni dell'attentato al mall di Dimona. Prima considerato nato, preparato, gestito da Gaza, come mostrava il video di uno degli attentatori. Poi, rivendicato dal braccio armato di Hamas, le brigate Ezzedin al Qassam, che ha parlato di due attentatori provenienti da Hebron.
E che la pista di Hebron fosse la principale, lo conferma quello che è successo in città proprio nelle ore in cui arrivavano le breaking news in diretta da Dimona, il centro del reattore nucleare israeliano. Mentre tutte le agenzie battevano le notizie sugli attentatori di Gaza che avrebbero raggiunto il Negev da Rafah e poi dal Sinai, Hebron veniva sigillata dall'esercito israeliano. Traffico in tilt, in una sorta di formicaio impazzito in cui la gente andava avanti e indietro per le strade della città, alla ricerca di un varco, di una via uscita.
Niente da fare. Tutto chiuso. Ci sono gli israeliani. È per Dimona. Gli attentatori sono di Hebron. Le voci per la strada si rincorrevano, tre giorni fa. E in effetti i soldati israeliani in almeno un caso - sotto i nostri occhi - hanno chiuso strade e rastrellato, alla ricerca di qualcuno. Spari, un'esplosione, le sirene delle camionette, e la ormai classica, rischiosa partita al gatto e al topo tra i giovani soldati di Tsahal e i bambini palestinesi, sempre al limite dello scontro.
In quelle ore, si facevano già i cognomi degli attentatori. Nomi di famiglie di Hebron. Come gli Herbawi, il clan da cui proveniva Mohammed, 20 anni, impiegato in una fabbrica di carta. Un clan dei più numerosi, tremila uomini (donne e bambini non vengono messi nel computo) tra Gerusalemme e Hebron. Qualche mese fa, il mukhtar, il capo del clan, Abed Motti al Herbawi, ci aveva detto che era sempre più difficile controllare i giovani della famiglia, e che con la seconda intifada erano girate troppe armi.
La domanda che tutti si pongono, però, è perché ora, e perché a Hebron. Adesso, perché forse si deve far vedere che Gaza a Cisgiordania non sono più così separate. Soprattutto in giorni particolari come questi, in cui alcuni esponenti di Hamas, per esempio a Nablus dove la pressione militare israeliana e della polizia di Salam Fayyad è molto forte, hanno cominciato a dire che il colpo di mano a Gaza è stato un errore del movimento islamista.
Perché a Hebron? La pressione dell'Autorità Nazionale è molto dura anche in un posto dove Hamas ha stravinto alle elezioni del 2006. E si mescola, in una città conservatrice e tradizionale, con gli equilibri dei clan, divisi tra la crescita del movimento del califfato, Hizb al Tahrir, e la spaccatura tra seguaci di Fatah e Hamas che divide anche le famiglie. Il movimento islamista accusa l'Anp di violazioni dei diritti umani, umiliazioni come il taglio della barba dei militanti di Hamas arrestati, fino a notizie (non verificate) di interrogatori pesanti e torture. L'Autorità di Abu Mazen e di Fayyad, dal canto suo, ha deciso di mostrare anche visivamente che le cose sono cambiate. Prima del coup di giugno, Hebron era pavesata di verde, il colore di Hamas. Ora, per i viali, ci sono solo due bandiere: una gialla, il colore di Fatah, e una palestinese. La tensione, però, è evidente. E la calma, come dimostra Dimona, è solo di facciata. In attesa del prossimo capitolo.

Segnaliamo anche un articolo dell'AGI(Agenzia Giornalistica Italia)presente a questa pagina: http://www.agi.it/estero/notizie/200802070915-est-rt11011-art.html.

Sei miliziani e un civile palestinesi sono rimasti uccisi nel corso di un raid israeliano nella parte settentrionale della Striscia di Gaza. Tra le vittime, cinque erano membri del 'braccio armato' di Hamas e un altro, un attivista della Jihad Islamica. Nella citta' di Bei Hanun, invece, un insegnante e' morto e due alunni sono rimasti feriti quando un missile sparato da terra ha colpito l'edificio di una scuola agraria. Secondo un portavoce dell'esercito con la 'stella di David', l'operazione era diretta contro un'area da cui di solito i miliziani lanciano razzi Qassam contro il territorio israeliano. Anche stamane, tra l'altro, i palestinesi avevano lanciato quattro Qassam, uno dei quali ha colpito un edificio della citta' di Sderot, nel deserto del Negev. (AGI) - Gaza, 7 febbraio -

L'articolo usa il termine miliziani per indicare i terroristi, parla di "attivisti" della Jihad islamica. Per indicare l'esercito israeliano scrive esercito con la "stella di David). Per indicare i terroristi di Hamas che lanciano Qassam contro Israele ha scritto "i palestinesi" invece di "un gruppo di terroristi di Hamas".

Michele Giorgio sul MANIFESTO lamenta il taglio non ancora avvenuto dell'elettricità a Gaza. Poiche righe sui razzi kassam, che sono stati realmente lanciati e hanno fatto feriti

Benedetto da una sentenza dell'Alta Corte di Giustizia, l'embargo israeliano contro la Striscia di Gaza oggi s'inasprirà ulteriormente, a cominciare dal taglio delle forniture di energia elettrica. A nulla sono perciò valse le proteste di una decina di centri per i diritti umani, israeliani e palestinesi, verso misure punitive che colpiscono la popolazione civile e sfiorano appena le organizzazioni armate che Israele sostiene di voler combattere per impedire il lancio di razzi verso il suo territorio (ieri un Qassam sparato da Gaza ha ferito due bimbi israeliani, di quattro e due anni, in un kibbutz). Il Jerusalem Post ieri dava per certa una riduzione, a partire da questa mattina, del flusso di corrente in tre delle dieci linee usate per rifornire il nord e il sud di Gaza. La prima riduzione riguarderà il 5% del flusso in una delle tre linee, mentre nelle prossime due settimane sarà diminuito dello stesso ammontare nelle altre linee. Gaza quindi perderà altri 1,5 megawatt di elettricità.
A farne le spese saranno ospedali, scuole e uffici pubblici che hanno già forti difficoltà a rifornire i loro generatori autonomi, visto che Israele ha ridotto al minimo le forniture di gasolio a Gaza. Finiti i giorni di relativo sollievo coincisi con l'apertura della frontiera con l'Egitto - nella Striscia sono entrati generi di prima necessità e merci varie ma ben poco carburante - la crisi umanitaria è di nuovo sul punto di riesplodere sotto la pressione di Israele convinto che la «soluzione» stia solo nell'uso della forza. I centri per i diritti umani, in particolare Adalah e Gisha, sottolineano che la Striscia ha già perduto 25 megawatt di energia elettrica nelle ultime settimane, poiché che la centrale elettrica palestinese non ha gasolio sufficiente per le sue turbine e lavora al 60% delle sue capacità (produce 55 megawatt invece di 80).
Decine di migliaia di palestinesi non hanno accesso regolare all'acqua potabile perché le pompe del sistema di distribuzione spesso sono ferme mentre il funzionamento intermittente degli impianti di depurazione ha già costretto le autorità responsabili a versare in mare milioni di litri di acque fognarie non trattate. Ma i vertici dell'establishment politico israeliano continuano a ispirarsi alla «dottrina Weisglass», ovvero del consigliere dell'ex premier Ariel Sharon che suggerì una «robusta dieta» per gli abitanti di Gaza «senza farli morire di fame». Dottrina che evidentemente ispira anche i giudici dell'Alta Corte i quali hanno spiegato nella loro sentenza favorevole al taglio di carburante ed elettricità, che «la Striscia è controllata da un gruppo terroristico che agisce costantemente per colpire lo Stato di Israele e i suoi cittadini». La popolazione di Gaza - inclusi anziani, bambini e ammalati - paga perché al potere c'è Hamas. E che attacchi militari e punizioni collettive siano inutili, oltre che una violazione di diritti, lo dicono anche i sondaggi d'opinione. Il movimento islamico, secondo il Centro per le Ricerche e Studi di Ramallah, a dicembre godeva del sostegno del 33% dei palestinesi mentre ora tocca il 39% grazie alle brecce aperte dai suoi uomini nel valico di Rafah.



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