le argomentazioni di Vattimo ( e di quanti la pensano come lui) sono tutte comprensibili (anche se discutibili) soltanto a partire dal postulato che Israele sia colpevole del conflitto e sia colpevole del fatto che i Palestinesi non hanno un proprio stato.
Il lungo conflitto arabo-palestinese è invece un tragico braccio di ferro tra due popoli e due nazionalismi, frutto di vicende intricate, prodotto di diverse culture politiche, che non trova soluzione a causa dell'intervento costante di altre potenze regionali che alimentano il conflitto dall'esterno, ogni volta che si apre uno spiraglio di pacificazione. L'occupazione dei territori palestinesi è una necessità di difesa, finchè non si raggiunge un accordo di pace. Il fatto che Israele vivesse pacificamente nei 'confini' del 67 (che non erano confini ma linee d'armistizio) non impedì ai paesi arabi di attaccarla nel '73. Soltanto la pace con l'Egitto e la Giordania portò alla restituzione dei territori e alla cessazione duratura delle ostilità con quei paesi. Soltanto la pace con i Palestinesi potrà portare alla definizione di confini e alla collaborazione regionale. Ma ogni giorno si leggono dichiarazioni di uomini politici, capi di milizie e persino capi di stato che vogliono cancellare Israele dalle carte geografiche, e ogni giorno da Gaza si bombardano le città israeliane di confine.
In questa situazione considerare Israele colpevole del conflitto e colpevole dell'occupazione e delle sofferenze dei Palestinesi significa negare totalmente le ragioni di Israele, interpretare la realtà alla luce di un pregiudizio anti-israeliano, che purtroppo anche nelle parole e nelle rappresentazioni si ispira costantemente all'antisemitismo storico europeo.
Se Israele è uno stato come gli altri, anche se coinvolto in un lungo conflitto, non si capisce perchè invitarlo a presentare la sua cultura in un consesso internazionale faccia scandalo per alcuni. L'attenzione per la cultura d'Israele non nega nessun diritto ai Palestinesi, non disconosce i loro patimenti (largamente auto-inflitti). Riconosce soltanto l'esistenza di Israele e della sua cultura.
Boicottare Israele e la sua cultura per motivi politici significa invece condannarla a priori come colpevole del conflitto, e per questo non degna di essere trattata come qualunque altro stato, come qualunque altra cultura.
Chiedere uno spazio pari e pari dignità durante la Fiera anche per l'Autorità Palestinese (come alcuni propongono) significherebbe trasformare un evento culturale in un confronto-scontro politico, e sarebbe la soluzione peggiore, porterebbe la guerra all'interno di un evento di cultura internazionale.
Se le istituzioni locali cedessero al ricatto di chi promuove il boicottaggio di Israele sarebbe una ben triste prova di cedimento alla faziosità, che sperabilmente sapranno evitare.
Laura Camis de Fonseca