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La Repubblica Rassegna Stampa
02.02.2008 Intervista con diagnosi psichiatrica
senza concedergli la possibilità di replicare, Johann Hari stabilisce che Martin Amis soffre di "dissonanza cognitiva"

Testata: La Repubblica
Data: 02 febbraio 2008
Pagina: 36
Autore: Johann Hari
Titolo: «Martin Amis, i musulmani, i terroristi e l'Occidente in pericolo»

La REPUBBLICA del 2 febbraio 2008 pubblica quella che dovrebbe essere un'intervista al Martin Amis e che è invece un atto d'accusa, senza possibilità di replica alla presunta confusione mentale di Martin Amis e alla sua adesione a tesi che sarebbero razziste.

In realtà, tra l'opposizione al razzismo  e alla discriminazione contro arabi e musulmani  e la constatazione che esiste un rischio demografico di islamizzazione dell'Europa non esiste contraddizione, se non nella mente dei custodi dei dogmi politicamente corretti. Dogmi che quasi sempre si risolvono nell'ingiunzione di voltarsi dall'altra parte di fronte alle realtà più evidenti.

Ecco l'articolo:

L´esile bambina bionda di Martin Amis, raggiante e sorridente, mi apre la porta della loro grande casa di Primrose Hill e un attimo dopo, dietro di lei, compare lo scrittore cinquantottenne, con la sua tetra faccia semi corrucciata. Ha tra le labbra una sigaretta che si è preparato lui stesso. Mi guida nella sua stanza sul davanti della casa, un enorme nido straripante di libri: rilegati, economici, fiction, romanzi. Qui è dove sono stati partoriti i romanzi che da giovane mi entusiasmarono - il genio amaro di Money e Territori londinesi, i romanzi che hanno incarnato gli anni Ottanta. Qui è dove parleremo della "polemica sulla razza".
Mi sembra nervoso mentre gli scattano le foto per questa intervista, la prima che concede da quando è diventata prassi usuale dargli del razzista dalle prime pagine dei giornali nazionali. (...) Nel suo nuovo libro, The Second Plane (in uscita in questi giorni, n.d.r.) Amis scrive che l´11 settembre 2001 fu «un giorno di de-illuminismo», «l´inizio di un crollo morale globale», un giorno che ancora adesso ci ferisce e ci colpisce. Le schiere di suoi denigratori credono che questa sia una inconsapevole descrizione dell´autore stesso, il ritratto di un artista, un uomo che invecchia. Quando le Torri Gemelle bruciarono e caddero, credono che Amis si sia radicalmente de-illuminato, si sia imbarcato in un "tracollo morale" da dove ha suggerito una punizione collettiva per tutti i musulmani.
Cerco di rompere il ghiaccio facendo qualche domanda per far conoscenza, gli chiedo che cosa gli mancasse della Gran Bretagna quando ha vissuto all´estero in Uruguay per due anni e mezzo. Lui, insofferente, entra immediatamente in argomento, affronta di petto il tema verso il quale avevo intenzione di avvicinarmi a piccoli passi. «Sono rimasto molto colpito quando, appena tornato, mi sono reso conto di quanto Londra fosse - non dirò multiculturale - ma multirazziale» dice. «Multirazziale in modo esaltante. A venti anni ho vissuto per un anno a Queensway, ma quell´intera zona adesso è a tutt´altro livello. È molto emozionante». A lui il multirazzismo è sempre piaciuto, dice. «A quei tempi ho avuto una ragazza pachistana, una ragazza iraniana, una ragazza sudafricana. Erano tutte musulmane». (...)
Mi chiedo come un uomo che ha corteggiato ragazze musulmane, che dice di amare la Londra multietnica, possa arrivare a dire come ha fatto nel corso di un´intervista dell´estate 2006: «C´è un´impellenza precisa - non la sentite? - di affermare che la comunità dei musulmani deve soffrire finché non rimetterà le cose in ordine a casa propria». Che tipo di sofferenze? «Le deve essere impedito di viaggiare. Metterla alla porta, in un secondo tempo. Toglierle le libertà. Sottoporre a perquisizioni intime tutti coloro che paiono essere di origine mediorientale o pakistana. Insomma, sottoporli a discriminazione, fino a quando tutto ciò non recherà danno alla loro comunità nel suo complesso e allora inizieranno a essere inflessibili con i loro figli».
La sua dichiarazione era passata pressoché inosservata fino a quando il professor Terry Eagleton non l´ha ripescata per usarla come introduzione a un libro uscito nell´autunno scorso. È allora che ha avuto inizio la Polemica Razziale. «Io non sono razzista e non sento di esserlo», dice Amis inalando un po´ più di nicotina. «Occorre considerare il momento preciso in cui dissi quelle cose. Era appena stata resa nota la terza cospirazione jihadista in 13 mesi (far saltare in aria una serie di aerei jumbo sopra l´Atlantico, n.d.r.). I miei figli quell´estate presero parecchi voli transcontinentali. E inoltre - lo so, quanto sto per dirle è sublime e ridicolo al tempo stesso - a casa mia era appena arrivato qualcuno da Londra che mi aveva detto di non aver potuto portare con sé nemmeno un libro in un volo transatlantico. Così mi ritrovai a pensare che quello era il trionfo delle forze della stupidità, del prendere le cose alla lettera, dell´ignoranza, della mancanza di umorismo». Aggiunge che non sta negando di essersi sentito tale, per un solo momento, ma che la sua non era una proposta, solo "un esperimento ponderato", e che non si tratta di "razzismo" bensì soltanto di "ritorsione".
Ma sarà vero? Il suo impulso non è stato quello di applicare una ritorsione contro le persone che avevano commesso quel crimine orrendo. No, il suo impulso è stato quello di suggerire di punire persone assolutamente innocenti. Risponde a scatti, in modo incerto. «Sulla base di fatti evidenti ed effettivi pare che loro, i musulmani, hanno maggiori probabilità di essere interessati al terrorismo. Ho calcolato che almeno il 95 per cento dei musulmani desidera riportare l´ordine nelle loro case e odia l´estremismo. L´ho detto all´ex islamista Ed Husain e lui me lo ha confermato». (...)
I denigratori di Martin Amis affermano che egli sta vivendo un´involuzione e sta trasfigurandosi in suo padre, il misantropo accigliato e sputacchioso che in qualche modo ha concentrato lo spirito degli anni Cinquanta nel suo romanzo Jim il fortunato. Verso la fine della sua vita Kingsley è stato uno strenuo difensore militante della guerra del Vietnam, un nemico acerrimo del femminismo, e dell´apartheid in Sudafrica diceva: «Bisognerebbe far fuori quanti più neri è possibile». Non credo che questa immagine di Martin sia corretta, ma quando ritorna con una birra in mano gli chiedo in che modo secondo lui Kingsley avrebbe reagito all´11 settembre. Mi risponde descrivendo inconsapevolmente l´immagine di sé stesso che ha in mente. «Credo che sarebbe stato molto determinato. Penso che l´avrebbe considerato una minaccia nei confronti di tutto ciò che gli era caro, il che ovviamente è vero. Non credo che sarebbe stato razzista». Si accende un´altra sigaretta che si è appena preparato. «Del resto non credo ci voglia molto per capire che questa è una manifestazione del male che dovremmo essere abbastanza bravi a riconoscere, mentre non lo siamo». (...)
Nel suo libro The Second Plane (Il secondo aeroplano) riporta in modo sbagliato una frase del sindaco di Londra, Ken Livingstone, facendogli dire, in sostanza, che egli giustificava gli attentatori suicidi londinesi del 7 luglio, cosa che non ha assolutamente fatto. Talvolta, pare aver frainteso la natura dell´Islam sciita. Non si è recato da alcun islamista esperto per verificare le proprie teorie, per quanto se ne possano trovare moltissimi a Finsbury Park, a poche fermate di distanza da qui in metropolitana.
Martin si è addentrato a fatica nei territori di Kingsley quando ha optato di farsi promotore degli scritti di un ex disc jockey canadese di nome Mark Steyn, il cui libro appena pubblicato, America Alone, è una sorta di guida per un viaggio nell´anno 2020 in un continente chiamato Eurabia. A prima vista l´Europa è la stessa, appare familiare. La "maggior parte" delle cattedrali e dei boulevard «sono ancora in piedi al loro posto» a Roma, Londra e Parigi. Ma la Coalizione repubblicana islamica nazionale ha appena vinto le elezioni in Francia - ultimo di tutta una serie di Paesi nei quali ha trionfato, ultima tessera di un domino che soccombe agli islamisti. L´alcool è messo al bando nei Paesi Bassi e in Danimarca. Le donne del continente portano tutte il velo. I locali per gay sono chiusi da tempo, «delocalizzati a San Francisco». Nel libro di Steyn le "espulsioni di massa" di gente bianca hanno avuto inizio almeno cinque anni prima che la "presunta Grande Francia" iniziasse «senza rimorsi, a evolversi di mese in mese nella Grande Bosnia».
L´America è sola. È l´ultimo Paese che oppone resistenza a questa "primitivizzazione di ritorno". Amis dice che Steyn è «un grande che sa dire l´indicibile». I musulmani si riproducono in effetti a ritmi molto più veloci del resto di noi - racconta - e alla fine arriveranno a sopravanzarci di numero e diventeranno la maggioranza. «Una delle bellezze matematiche della democrazia è che si può guardare alle cifre ed essere abbastanza sicuri di come andranno a finire le cose. Non è il Pc. E così saturo di disgusto che la gente non gli si può avvicinare. Ma dovremmo farlo solo perché ci sono stati abusi orrendi che hanno trovato le loro premesse in questo modo di pensare, non significa che non valga la pena prenderlo in considerazione o che sia qualcosa di così radioattivo da non potersi avvicinare. Questa è la sconfitta della ragione».
Faccio una smorfia. Io odio e detesto i fondamentalisti islamici tanto quanto Amis, ma tutto ciò significa andare ben oltre le critiche al fondamentalismo islamico. Questo modo di pensare dipinge ogni nuovo bambino musulmano come un problema. Amis ammette prontamente che Steyn «scrive come uno svitato», ed è «molto instabile», poi subito soggiunge: «Bisogna essere in grado di parlare di razza. La sensibilizzazione immediata della questione è non razionale, non salubre, è una fissazione. Steyn riferisce che i musulmani pensano che l´Europa sarà un continente islamico». (...)
* * *
Vorrei ripercorrere con lui le fasi nelle quali ha pubblicamente cambiato parere, un gesto sempre coraggioso. Mi pare difficile da ricordare, adesso, ma nella sua reazione immediata ai massacri dell´11 settembre disse che era stata la stessa politica estera americana a rivestire un ruolo preciso nel portare il jihadismo al punto di esplosione. «Sarà terribilmente difficile e doloroso per gli americani prendere atto del fatto che sono odiati, e consapevolmente odiati», disse in un brano riportato per esteso in The Second Plane. «Quanti di loro, per esempio, sanno che il loro governo ha distrutto almeno il cinque per cento della popolazione irachena (con le sanzioni, n.d.r.)?». Amis disse che la popolazione americana aveva sofferto di «un deficit di empatia per le sofferenze di popoli molto lontani» e che avrebbe dovuto operare «una rivoluzione della sua consapevolezza e di adattamento del carattere nazionale. Un lavoro che richiederà, forse, una generazione intera». (...)
La dissonanza cognitiva di Amis pare abitare abusivamente questa stanza, quasi fosse una presenza fisica. Con l´emisfero destro del suo cervello Amis mi dice di amare la nostra società multirazziale, e lo dice con vigore e rigore. Non mi viene neppure per un attimo l´idea che stia mentendo. Ma subito dopo, con l´emisfero sinistro loda appassionatamente uno scrittore che mi sembra essere un razzista dichiarato, che condanna in teoria tutti i musulmani in massa come agenti incaricati di ripristinare ovunque la Sharia e vanta il fatto che il tasso di natalità dei "bianchi" è ancora più alto negli Stati Uniti. È come se Amis fosse stato investito dall´esplosione del kerosene dell´11 settembre e si fosse spaccato in due, due persone che non dialogano tra loro. Continuano a farfugliare l´una addosso all´altra. È trascorso appena qualche minuto da quando si è chiesto se non sia stato il femminismo a prosciugare il desiderio di procreazione femminile - così che ci siamo "giocati l´Europa" - che già mi dice che il suo prossimo romanzo The Pregnant Widow (La vedova incinta) è un celebrazione della rivoluzione sessuale e del femminismo.

 Copyright The Independent -
La Repubblica
Traduzione di Anna Bissanti

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