Ragazzi in guerra e nell’Olocausto, i loro diari segreti
A cura di Laurel Holliday
Marco Tropea Editore Euro 16,90
“Ragazzi in guerra e nell’Olocausto” è una raccolta di diari tenuti da ragazzi d’Europa. Dai ghetti della Polonia, della Lituania, della Lettonia e dell’Ungheria ai campi di concentramento di Terezin, Stutthof e Janowska queste pagine, conservate in poche copie superstiti, raccontano cosa significhi per un adolescente vivere ogni giorno con la consapevolezza che può essere l’ultimo. Ma è proprio in queste situazioni drammatiche che la scrittura – come nel diario di Anna Frank- testimonia un’irriducibile voglia di vivere. Guidate dalla spontaneità dei loro anni, le penne di questi ragazzi narrano l’incubo del quotidiano con una schiettezza sorprendente e una grande maturità.
I diari, fatti di pensieri e sentimenti intimi dei ragazzi mescolati alla realtà esterna della guerra, diventano l’unico sostegno, il miglior amico a cui confessare la paura e con cui condividere la rabbia. E, allo stesso tempo, sono una forma di resistenza alla follia dei tempi, un modo per esprimersi sulla realtà di un mondo impazzito e di sopravvivere nella memoria: per salvaguardare la propria identità, la propria umanità e quella degli altri.
Eva Heyman, una ragazzina ebrea di 13 anni, rinchiusa in un ghetto ungherese, si serve del diario per trovare il coraggio per continuare a vivere nonostante tutto: chiama il proprio diario segreto “il mio miglior amico”. Mary Berg, 15 anni, che vive a Varsavia ai tempi dell’occupazione nazista, scrive: “Dirò tutto delle nostre sofferenze, della nostra lotta e del massacro dei nostri cari”. Moshe Flinker, 16 anni, tiene un diario perché ha scoperto “il bisogno di aprire il proprio cuore a un amico”.
Werner Galnik, 12 anni, deportato nel ghetto di Riga, scrive disperato: “vorrei avere qui i miei genitori e mia sorella e vorrei vivere ancora con loro…La mia sorellina aveva sette anni quando fu portata via nella retata dei bambini. Era una bella bambina, aveva dei bei capelli biondi”.
I capelli biondi della sorella perduta di Werner sono l’espressione di un profondo dolore e della volontà di condividere una sofferenza , ma anche un grido di speranza. La storia degli uomini è fatta di banalità del male, ma anche di esseri umani di ogni età, straordinari e tenaci, che entrarono nella morte a occhi aperti e consapevoli. Frequentarli nel ricordo è come raccogliere la loro testimonianza e scrivere un romanzo: quello che il “secolo dei lager” ha portato via con sé ma non ha cancellato. “Vedi come tutto balza su vivo – scrisse Paul Celan – proprio dove c’è la morte”.
Come dire che le scarpine dei neonati di Auschwitz e il piccolo pianoforte che fece compagnia a un bambino ebreo nel suo ultimo viaggio non sono solo frammenti della pellicola impazzita del passato. Vivono. E parlano a un mondo che sembra incapace di andare al di là delle emozioni brevi, dicendogli che la consapevolezza di un Olocausto può, forse, evitarne un altro.
Marco Innocenti
Il Sole 24 Ore
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