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La Repubblica Rassegna Stampa
31.01.2008 L'Egitto non vuole saperne di Gaza
e l'Iran non vuole che si sappia delle sue condanne a morte: un'intervista a Hosni Mubarak e un articolo sul regime degli ayatollah

Testata: La Repubblica
Data: 31 gennaio 2008
Pagina: 0
Autore: Nicola Lombardozzi e Alix Van Buren - Giampaolo Cadalanu
Titolo: «"Israele non ci scaricherà Gaza" - Niente esecuzioni pubbliche né foto adesso Teheran giustizierà in segreto»

Da La REPUBBLICA del 31 gennaio 2008, un'intervista al presidente egiziano Hosni Mubarak:

IL CAIRO - «Ascoltatemi bene», la voce del raìs si alza: «Gaza non è, né sarà mai parte dell´Egitto». Poi si indurisce: «Sento parlare della proposta di trasformare la Striscia in una estensione del Sinai, di scaricarne la responsabilità sull´Egitto, ma io dico a Israele che il suo è soltanto un sogno: che io non accetto i fatti compiuti». Sospira: «Oggi stesso quella frontiera verrà chiusa: proprio adesso, mentre stiamo parlando, le forze egiziane sono al lavoro».
Hosni Mubarak impugna una matita, traccia su un foglio tre linee rette che si intersecano: «Ecco, guardate, in questo punto si incontrano l´Egitto, Gaza e Israele. Qualcuno in Israele vagheggia di creare una Striscia di Gaza "allargata" includendovi parte del Sinai attraverso uno scambio di territori tra Egitto, Israele e palestinesi. Allora io gli rispondo: si scambiano le scarpe, i vestiti, però i territori no, quelli no davvero».
Nel silenzio dello studio presidenziale al primo piano del Qasr al Ittihadiya, il palazzo forse più blindato del Cairo, in un luogo fisicamente vicino poche miglia alla frontiera di Gaza, prende corpo un´ipotesi molto scomoda per le potenze regionali: a meno di una mediazione in extremis, la prosecuzione del blocco israeliano sulla Striscia, l´inconciliabile rivalità tra Fatah e Hamas impediranno un ritorno alla gestione del confine negoziato nel 2005 dopo il ritiro israeliano da Gaza e travolto dall´esodo palestinese del "martedì nero". A meno che non vi sia un margine nelle trattative iniziate proprio ieri tra le delegazioni dell´autorità palestinese e di Hamas convocate d´urgenza al Cairo dal raìs.
Presidente, finora ogni riconciliazione è naufragata. E adesso, come può sperare?
«Non illudiamoci, sarà una trattativa lunga e complessa. La frattura è davvero sconfortante: indebolisce la causa palestinese, aggrava il supplizio di un popolo ancora sotto occupazione. Però da tutto questo emerge un altro dato: lo strangolamento di Gaza voluto da Israele per fiaccare Hamas ha prodotto l´opposto risultato: Hamas ne esce rafforzato. Ecco, questo è il grande errore di Israele».
Con quali conseguenze per l´Egitto? La prossimità con un territorio controllato dagli islamisti è una minaccia per la sicurezza del suo paese?
«Quel che è avvenuto a Gaza lo scorso giugno per noi è rilevante sotto il profilo delle implicazioni per il popolo palestinese. Quanto alla sicurezza nazionale egiziana, noi siamo perfettamente capaci di difenderci. Noi conosciamo bene la profondità della sofferenza a Gaza, infatti ho chiesto a Israele di riprendere le forniture verso la Striscia, dall´Egitto inviamo cibo e medicinali. Ma non ammetterò che si fomentino nuove crisi al valico di Rafah, né sassaiole contro le forze di sicurezza egiziane. E, lo ripeto, non permetterò a Israele, potenza occupante, di scaricare le proprie responsabilità verso Gaza, che è un territorio occupato».
Il presidente Bush è venuto in Medio Oriente come mediatore di pace. Può avere un ruolo nel disinnescare la crisi?
«Mediatore di pace? Io non lo chiamerei così. Certo, è venuto a promuovere un´intesa, a valutare i risultati del summit di Annapolis nel tentativo di realizzare la sua personale visione dei due Stati. Però dall´America sento ripetere che non interverrà nei negoziati sulle questioni finali, e cioè le più delicate. Quasi non ricordasse la lezione di Camp David: il presidente Sadat e il premier Begin non sarebbero mai giunti a un accordo se Carter non li avesse incalzati».
Dopo Annapolis, presidente, che attesa c´è?
«Annapolis ha interrotto lo stallo durato sette anni nel processo di pace. Serve la spinta di Stati Uniti e Quartetto perché le due parti procedano con serietà. L´Egitto farà la sua parte, grazie ai nostri rapporti coi palestinesi e gli israeliani. Se poi mi chiedete se io creda o no in una soluzione entro l´anno, beh io lo spero, con tutto il cuore. È un traguardo raggiungibile, infatti si può costruire su quel che era già stato raggiunto a Taba nel 2001. Tuttavia la questione palestinese è una storia di mancate occasioni fin dal 1948. Mi auguro che stavolta non sfugga com´è accaduto in passato. Adesso il negoziato deve continuare. Diceva Rabin: la violenza e le trattative vanno affrontate contemporaneamente».
C´è un problema in più, che alcuni definiscono l´ingerenza dell´Iran nelle faccende del Vicino Oriente. Bush le ha chiesto di far fronte unito contro Teheran?
«Questi non sono più tempi di ricorse a minacce o all´uso della forza: servirebbero soltanto a infiammare il Golfo, il Medio Oriente e tutto il mondo. Servono invece dialogo e diplomazia. Il rapporto dell´intelligence americana sulle ambizioni nucleari dell´Iran si presta a opposte interpretazioni, ma in ogni caso spiana la strada della diplomazia. Ci vogliono più trasparenza da parte dell´Iran e una maggiore flessibilità da parte della comunità internazionale».
E tuttavia adesso l´Egitto ha scelto di imboccare la via dell´energia nucleare: è anche una reazione al programma iraniano?
«No, che non è così: si tratta di ragioni puramente economiche, scaturite dalla necessità di diversificare le fonti e di assicurare i rifornimenti. Ci muoviamo in simultanea nel campo delle energie rinnovabili, solare ed eolica, in sintonia con gli obiettivi della Ue. Attenzione, però: l´uso pacifico dell´energia nucleare è un diritto garantito a tutti i firmatari del Trattato di non proliferazione. E noi assicuriamo all´Aiea collaborazione e trasparenza totale».
Eppure in un solo anno tredici Stati arabi sunniti hanno annunciato il passaggio al nucleare. All´orizzonte c´è una corsa al riarmo?
«Non parlate, per favore, di Stati sunniti: quel qualificativo suggerisce una risposta di quei paesi al piano iraniano. E questo è falso. Si tratta, come dicevo, di un uso pacifico del nucleare».
S´è vista di recente un´apertura degli Stati arabi all´Iran. Si sente dire di una ripresa dei rapporti diplomatici tra Egitto e Teheran dopo trent´anni. Accadrà?
«I nostri contatti con l´Iran sono continui, malgrado la rottura decisa da Teheran nel ‘79, dopo la pace dell´Egitto con Israele. Sul tavolo ci sono vari argomenti, ma risolti quelli siamo pronti a ristabilire le relazioni diplomatiche».
Questo vuol dire che l´influenza iraniana oggi è una realtà con cui il mondo deve fare i conti?
«Io, più che di influenza, preferirei parlare del ruolo e del contributo degli Stati regionali alla pace, alla sicurezza e alla stabilità. L´Iran è uno dei più importanti Paesi della regione: può esercitare un ruolo positivo e costruttivo nella stabilità del Golfo e del Medio Oriente».
Prima di congedarci il raìs sorride - «arrivederci a presto in Italia» - con l´augurio di confermare la visita di Stato rinviata per la crisi di governo, tesa a suggellare un accordo strategico fra Egitto e Italia.
Fuori dall´uscio il riflesso degli specchi restituisce il profilo dei nuovi protagonisti regionali: lì staziona composta una delegazione iraniana.

E un articolo sulla nuova politica iraniana in materia di pena di morte:

La pena di morte va bene, ma esibirla troppo può creare imbarazzo: è la scelta politica dell´Iran, annunciata dall´ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, responsabile della Giustizia per la repubblica islamica. Le esecuzioni pubbliche verranno «ridotte al minimo»: è una decisione che arriva alla fine di un anno dedicato a una campagna sulla "sicurezza pubblica" e denso di impiccagioni in piazza (poco meno di 300 nel 2007). Un periodo di pugno di ferro, servito forse a sgombrare il campo da ogni ipotesi di "ammorbidimento" da parte di Teheran, ma che ha anche contribuito a rendere il regime ancora più isolato, in uno stillicidio di proteste di altri paesi e organizzazioni per i diritti umani.
Naturalmente il lavoro del boia proseguirà, anche se discosto dagli occhi delle folle: le esecuzioni avverranno nelle carceri. I condannati saranno giustiziati in pubblico «solo nei casi approvati dal capo dell´apparato giudiziario, sulla base di esigenze di carattere sociale», ha sottolineato Shahrudi, insistendo sull´idea che le impiccagioni pubbliche abbiano un ruolo «educativo». Fino ad adesso la decisione di giustiziare in pubblico i condannati era lasciata al presidente del tribunale giudicante. L´esecuzione pubblica resterà dunque per i casi in cui l´apparato giudiziario ritenga sia necessaria per rassicurare le comunità scosse da crimini di particolare natura, omicidi o stupri in serie. Nella stessa logica rientra anche il divieto per giornali e tv, sottolineato dall´ayatollah, di pubblicare immagini e fotografie delle esecuzioni. «Le esecuzioni non devono creare tensioni psicologiche per la società», ha detto l´ayatollah, senza approfondire il concetto. Non è ben chiaro che cosa avverrà nel caso di condanna alla lapidazione, ancora prevista per il reato di adulterio, e che ovviamente prevede la partecipazione della folla.
Nel solo 2008 sono state 28 le persone giustiziate in Iran: la maggior parte pubblicamente. La procedura, esercitata ancora il 28 gennaio ad Arak su due uomini condannati per stupro e omicidio, prevede che ai condannati venga messo un cappio e che poi siano sollevati da una gru. La legge islamica adottata in Iran impone la pena capitale a reati come l´omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza sessuale, l´apostasia, l´adulterio e la "sodomia". In quest´ultima categoria sono compresi i rapporti fra omosessuali consenzienti.
Intanto il regime di Teheran sembra sempre meno disponibile ad «aperture» sul tema del nucleare: secondo il presidente Mahmud Ahmadinejad l´Iran «sta raggiungendo la vetta della tecnologia nucleare» e «non arretrerà nemmeno di un passo» di fronte alle pressioni della comunità internazionale, che gli chiede di sospendere l´arricchimento dell´uranio. Il presidente ha anche rinnovato i suoi moniti allo Stato ebraico, chiedendo che l´Occidente riconosca «il collasso imminente» di Israele. «Smettete di sostenere i sionisti, quel regime ha raggiunto la sua fase finale e il suo collasso è imminente», ha detto Ahmadinejad.

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