L'asse Damasco-Teheran dietro agli omicidi in Libano intervista a Nayla Moawad ministro degli Affari Sociali nel governo di Fouad Siniora
Testata: Avvenire Data: 26 gennaio 2008 Pagina: 5 Autore: Camille Eid Titolo: ««C’è la regia di Damasco e Teheran»»
Camille Eid intervista Nayla Moawad, ministro libanese degli Affari Sociali, sull'omicidio di Wissam Eid, 31 anni, capitano dei servizi d’informazione delle Forze di sicurezza interne, impegnato nelle indagini sull'omicidio dell'ex premier libanese Rafik Hariri:
« C hi commette queste azioni cerca la destabilizzazione per dire che i libanesi non sono in grado di governarsi da soli». Nayla Moawad è ministro degli Affari Sociali nel governo di Fouad Siniora e deputato di Zghorta, un bastione maronita del Nord. Suo marito, René Moawad, è stato nel 1989 presidente del Libano per 17 giorni prima di essere assassinato in circostanze che anco oggi restano misteriose. Ministro, dove sta andando il Libano? Non sarebbe possibile capire dove stia andando il Libano se non si rispondesse prima a una domanda cruciale: quale Libano vogliamo? C’è una tendenza internazionale a semplificare l’attuale crisi politica nel Paese, dipingendola come uno scontro tra maggioranza e opposizione. Ma la verità è un’altra. Qui siamo di fronte a una lotta tra due progetti antagonisti: tra chi vuole un Libano sovrano e indipendente e chi invece cerca di trascinare il Libano tra le braccia dell’asse Teheran-Damasco che non lesina alcun mezzo per destabilizzare il Paese, compresi gli attentati e gli inauditi attacchi verbali contro il Patriarca maronita. Ha quindi individuato i responsabili dell’ultimo attentato nella capitale? Ho le idee ben chiare. Dietro questo attentato e tutti quelli che l’hanno preceduto in questi ultimi tre anni c’è una sola regia che si trova nell’asse Damasco-Teheran. C’è chi invece stabilisce un legame tra l’ultimo assassinio e Fatah al-islam... La stessa analisi era stata fornita dopo l’assassinio del generale François Hajj, due mesi fa. È naturale che i veri mandanti cerchino di deviare i sospetti e convogliarli verso gruppi integralisti assassinando ufficiali che hanno stroncato il potere proprio degli integralisti. Cambia, insomma, la strategia ma l’obiettivo rimane lo stesso: colpire le istituzioni in grado di preservare l’unità e l’indipendenza del Paese per renderlo facile preda dei loro progetti regionali. Non è strano che vengano prese di mira le forze dell’ordine? Chi può stare al sicuro oggi in Libano? Nessuno. I ministri e i deputati della maggioranza hanno adottato misure di sicurezza dopo la catena di attentati. Forse per questo i mandanti hanno scelto di prendersela con l’esercito, l’Unifil, il corpo diplomatico o semplicemente con la gente inerme, come è successo più volte. L’importante è seminare paura e sfiducia nell’avvenire del Paese. Mi spiace che alcuni partiti libanesi si facciano promotori di questa politica occupando il centro città da oltre un anno o impedendo ai veri rappresentanti del popolo di riunirsi. Intende al Parlamento? Esattamente. Se il governo è illegittimo, come dicono, deve essere il Parlamento a deciderlo. Invece noi assistiamo alla chiusura di questo luogo naturale di dibattito per una decisione arbitraria del suo presidente. Tutti i progetti e i finanziamenti previsti dalla Conferenza di Parigi dei Paesi donatori sono così bloccati da oltre un anno perché il signor Nabih Berri tiene la chiave del Parlamento. Fra tre settimane ricorre il terzo anniversario dell’assassinio di Hariri. Avremo un presidente prima di allora? Noi delle “Forze del 14 marzo” continuiamo ad appoggiare la candidatura del generale Suleiman. Aspetteremo l’esito della riunione questa domenica (domani, ndr) dei ministri degli Esteri arabi, ma siamo anche pronti a tutte le eventualità. Il ministro degli Affari sociali Nayla Moawad accusa i due regimi: è in atto uno scontro tra chi difende la sovranità del Paese e chi vuole invece trascinarci in altri scenari d’influenza
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