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La Repubblica Rassegna Stampa
25.01.2008 Walter Laqueur spiega come, con un nuovo volto, può risorgere il fascismo
e lo storico Sturmer analizza l'ascesa di Hitler

Testata: La Repubblica
Data: 25 gennaio 2008
Pagina: 0
Autore: Walter Laqueur - Andrea Tarquini
Titolo: «Se il fascismo rinasce con un volto nuovo - Così vinse Hitler»
Da pagina 27 de La REPUBBLICA, un articolo di Walter Laqueur sui rischi di un risorgente fascismo o di "movimenti barbarici di tal fatta"

Però la gente è nel complesso troppo matura per credere che il neofascismo possa offrire soluzioni alternative. Pur essendo l´Europa in declino, i suoi cittadini non crederanno facilmente che i partiti che fanno appello al nazionalismo estremista siano in grado di salvarli.
In certi paesi europei, lo sviluppo di società parallele popolate da recenti immigrati sembra fornire terreno fertile alle ambizioni fasciste. In Scandinavia, Belgio e Olanda sono nati partiti antimmigrazione, ma sarebbe impreciso definirli fascisti o perfino di estrema destra: sono nazionalisti nella misura in cui vogliono tenere lontani gli stranieri indisponibili a integrarsi, ad accettare i valori tradizionali del paese.
Il destino di queste società parallele potrebbe rivelarsi una delle questioni politiche di rilievo dell´Europa dei prossimi anni. In certe nazioni questi ghetti sono piccoli e non sembrano costituire una minaccia per l´ordine esistente, specie se si ignora l´elevato tasso di nascite tra gli immigrati. In tal caso, è presto per mobilitare partiti antimmigrazione. Altrove, per esempio in Francia, l´elemento straniero è cresciuto in modo tale che non appare più praticabile uno scontro a livello politico: perfino chi è più ostile agli immigrati deve trovare la maniera di coesistere pacificamente, facendo dolorose concessioni. Ciò che rende ancor più arduo il compito dei sedicenti partiti fascisti europei è il fatto che essi non hanno più l´esclusiva delle rivendicazioni antimmigrazione. Nessun governo e nessun partito sono a favore di un´immigrazione illimitata: tutti sono consapevoli dell´urgenza e della gravità della questione. Questo non significa negare che il problema abbia prodotto un effetto notevole sulla politica europea, effetto che probabilmente crescerà negli anni a venire.

Parimenti difficile è presagire con convinzione il futuro del fascismo in Russia e in Europa orientale. La situazione economica e l ´influenza politica della Russia di Putin sono migliorate sensibilmente grazie al notevole aumento del prezzo di petrolio e gas naturale. Il paese è più stabile di quanto sia mai stato dalla caduta dell´Unione Sovietica. Ma se ne è pagato lo scotto sotto forma di erosione, e talora scomparsa, delle libertà concesse al tempo di Gorbacev. Alcuni osservatori occidentali sostengono che la Russia ha imboccato la strada verso il fascismo; tale giudizio appare prematuro ma un pericolo esiste realmente, visto che i partiti politici sembrano impotenti, mentre la maggioranza dei media e del potere giudiziario è strumento nelle mani del governo. Quindici anni fa vi era un grande sostegno alla democrazia, oggi pochi la appoggiano, anzi lo stato d´animo prevalente è nazionalista. I guru dell´estrema destra come Aleksandr Dugin, che una decina di anni fa erano al massimo considerati eccentrici e non venivano presi sul serio, sono diventati personaggi rispettabili, perfino sulla cresta dell´onda, ascoltati da ampi settori dell´intellighenzia e sostenuti dai militari.
Una rassegna della destra estremista dovrebbe includere il Partito comunista all´opposizione, che in questo senso non ha conti in sospeso con la destra ("La Russia ai russi"). La temperie prevalente sembra quella della situazione di Italia e Germania dopo la Prima guerra mondiale: una sensazione di umiliazione, di un paese che ha perso il suo status di potenza internazionale. Di qui la voglia di rivincita, l´impulso a punire gli ingrati, ovvero le repubbliche che hanno scelto di separarsi, e soprattutto il nemico tradizionale, l´America, col codazzo dei paesi occidentali che ne accettano l´influsso.
Finora i successi e le offensive dei neofascisti russi sono stati impediti dalla difficoltà di attaccare Putin da destra, vista la sua politica estera di affermazione nazionale. Inoltre, i gruppi destrorsi sono divisi in innumerevoli sette e fazioni. Né è facile stabilire quali siano superpatriottici in buona fede e quali vengono sponsorizzati o assistiti dall´Fsb, il successore del Kgb. Come accadde nell´ultimo decennio di regime zarista, la polizia segreta si è infiltrata nei gruppi estremisti e ne dirige in larga parte le operazioni.

In seguito al fallimento dei nazionalismi laici, nel mondo arabo è venuto il turno dei fondamentalismi religiosi. Fino a che punto può essere utile la definizione di "fascismo islamico" per far riferimento ai musulmani più radicali, siano essi al potere o all´opposizione? Alcune somiglianze col fascismo sono eccezionali: populismo, convinzione di possedere la verità assoluta ("La risposta è l´islam"), contrapposizione alla democrazia e al liberalismo, antisemitismo e carattere aggressivo, espansionista. Per questi estremisti, l´islam non è solo una religione, ma anche un sistema sociale e politico onnicomprensivo, da cui è vietato deviare e che non è possibile cambiare o riformare. Pur non avendo un Duce o Führer unico, esiste un leader spirituale (o una leadership collettiva), coi suoi aiutanti designati che svolgono ruoli simili. Non c´è un partito politico che abbia il monopolio del potere, ma la moschea incarna la medesima funzione per quanto attiene alla mobilitazione e all´indottrinamento ideologico delle masse. Allo stesso tempo ci sono però differenze che non vanno sottovalutate. Il fascismo era un fenomeno europeo e le moderne dittature extraeuropee si sviluppano secondo linee alquanto diverse, cioè obbedendo alle tradizioni storico-culturali e alle particolari condizioni locali.

Riassumiamo: il fascismo era il figlio bastardo di un determinato periodo storico e, siccome tale periodo appartiene al passato, le possibilità di un secondo avvento del movimento, o di movimenti analoghi, sono scarse, più che altro in Europa ma anche in altre parti del pianeta. Esso era però soltanto una forma moderna di dittatura aggressiva, che si serviva efficacemente del terrore e della propaganda; e possiamo certificare che le dittature non scompariranno dalla faccia della terra. Nel linguaggio popolare, il termine fascismo è diventato sinonimo di tirannia brutale e disumana, il nec plus ultra della barbarie.
Dire che il fascismo storico è una cosa del passato non significa sfortunatamente che regimi e movimenti barbarici di tal fatta, ma diversi per motivazione, ispirazione o apparenza, non possano ricomparire, né vuol dire che è prevalso il regno della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Anzi, è del tutto possibile che forze micidiali, perfino peggiori e più pericolose del fascismo, possano sfidare l´umanità nel Ventunesimo secolo, magari usando armi di distruzione di massa. Per stanare e liquidare le loro vittime, i carnefici del nazismo dovevano spostarsi di villaggio in villaggio, di casa in casa. Nell´epoca delle armi di sterminio cadute in mano ai fanatici l´assassinio integrale è diventato molto più facile e, in futuro, il numero delle vittime potrebbe essere più consistente. La sopravvivenza della libertà e delle istituzioni democratiche in questa nuova era è in equilibrio precario come non mai.
Traduzione
di Daniele Ballarini

A pagina 41, Andrea Tarquini intervista lo storico tedesco Michael Sturmer sulla cecità che aiuto l'ascesa al potere di Adolf Hitler:

«Hitler non era inevitabile, ma la caduta della Repubblica di Weimar sì. Il nazionalsocialismo non tornerà. Con le crisi attuali però le democrazie europee appaiono esposte al rischio populismo». E´ la diagnosi del professor Michael Stürmer, ex consigliere del cancelliere Helmut Kohl e tra i massimi storici tedeschi. Con lui facciamo il punto, mentre stanno per cadere i 75 anni dell´avvento di Hitler.
Professor Stürmer, al contrario del terrore bolscevico, il nazionalsocialismo vinse in un paese civile ed evoluto. Era davvero impossibile evitarlo?
«Guardiamo all´orizzonte storico di allora. Negli anni di crisi dal 1929 Hitler era evitabile, la caduta della repubblica di Weimar no. Infatti mutò in un sistema di dittatura presidenziale. Che avrebbe potuto sopravvivere».
Perché non fu così?
«Tra il 1932 e il ‘33 tutti i giornali borghesi, centristi, commentavano con ottimismo: Hitler e il suo movimento sono finiti.
Hitler era a un passo dal suicidio, nei suoi diari Göbbels narrò della disperazione del capo. Poi venne la svolta. Vinsero le elezioni, e valse da quel momento la parola di Göbbels stesso: "da qui nessuno ci farà più uscire vivi"».
Ma dove furono, nella civile Germania, le radici del nazionalsocialismo?
«Molti fattori furono necessari ma non sufficienti. Primo, il trauma della modernizzazione e quindi industrializzazione, urbanizzazione accelerata. Un processo con molti vincitori ma anche molti perdenti. Si smarrirono le cognizioni di limiti, confini e radici. La Germania del 1914 era ben diversa dalla Germania di Bismarck. Fu creativa in ogni campo, anche poi sotto Weimar: dall´arte, all´architettura, dal nuovo mondo dell´anima con Freud alle scienze sociali con Max Weber alle scienze con Einstein e Max Planck, alla tecnica. Ma fu innovativa anche nella Kriegsfuehrung, l´arte di fare la guerra».
In che senso?
«Cominciò a pensare la guerra a livello industriale, una dimensione inimmaginabile prima. Una condotta della guerra senza regole. Cadde un´altra frontiera. In un momento storico in cui i Lenin, gli Hitler, i Mussolini erano già presenti, ma ancora incatenati dalle strutture del passato, la prima guerra mondiale fu una rivoluzione. Lo Stato divenne un tiranno collettivo, espropriò, eliminò élites intere, distrusse ceto medio e piccole aziende, si comportò con un cinismo mai visto. Quello che oggi gli americani chiamano "post-battle trauma" per i reduci dal Vietnam o dall´Iraq allora colpì l´intera nazione».
Una rivoluzione non identificata come tale?
«Sì. Poi venne il trattato di pace, che fu una brutale messa in ginocchio e una spoliazione dell´economia tedesca, con la premessa che la Germania fosse l´unica colpevole della guerra. Le riparazioni di guerra fecero volare l´inflazione, mandarono in rovina milioni di persone. L´inflazione galoppante distrusse non solo i risparmi ma anche ogni idea di giustizia, responsabilità, rigore finanziario. E l´immagine della democrazia».
Poi la crisi del ‘29. La dittatura divenne allora inevitabile?
«Nel ‘29 la Germania, dovendo ancora riparazioni di guerra, non ebbe la forza di sganciarsi dall´oro e svalutare, a differenza di quanto fecero Usa e Regno Unito. Allora crebbe un piccolo partito marginale. Nessuno capì quanto fosse profonda la disperazione nella gente. La paura del crollo sociale univa borghesia e lavoratori, c´era la paura del bolscevismo, anche nella Spd, e arrivò Hitler: promise tutto e il contrario di tutto, era l´ambivalenza in persona. La disoccupazione era a 6 milioni, senza il welfare di oggi, più i figli dei contadini: quasi un terzo della forza lavoro. La borghesia e le sue espressioni politiche - rileggiamo Fest - erano sempre più deboli, lui non aveva antagonisti. Hindenburg era un vecchio scemo, non aveva capito il pericolo».
Solo lui non lo aveva capito?
«Il segreto del successo di Hitler fu la sua sottovalutazione da parte di tutti o quasi. I socialdemocratici dissero "vincemmo contro Bismarck, vinceremo anche contro questo guitto austriaco". Lo sottovalutarono l´esercito, la Chiesa, i governi britannico, francese, americano. Gli stessi ebrei! Un anno dopo le leggi razziali di Norimberga, vennero tutti alle Olimpiadi di Berlino come maschere di carnevale! Non avevano letto Mein Kampf, in cui i programmi erano chiari».
Perché lo sottovalutarono tutti?
«Parlava come un proletario, non sembrava un politico di successo. Non capirono che proprio l´uomo che viene dal nulla è svincolato da tutto, e può rivoluzionare il mondo. Il totale nichilismo della sua volontà di potere non fu preso sul serio. Non ci si chiese allora se il Male esiste. E poi, quanto era ancora civilizzata la Germania di allora dopo quell´erosione dei valori cominciata al Fronte nel ‘14? Lui sedusse i giovani. A 44 anni, fu e resta il più giovane tedesco eletto cancelliere. La maggioranza dei giovani era per lui; come l´architetto Albert Speer, e nelle Ss, Heydrich. I giovani subalterni passati con lui facevano paura ai loro superiori anziani: nelle forze armate - lo narra Enzensberger nella sua biografia di von Hammerstein - e in ogni campo».
Perché le voci contro di lui furono così deboli e rare?
«Ben presto divenne molto pericoloso parlarne male. La Gestapo fu creata in fretta. Il terrore era anche personale. I campi di concentramento furono aperti e pubblicizzati. Le leggi successive all´incendio del Reichstag abrogarono lo Stato borghese di diritto. E fu un misto di terrore e seduzione: la paura della polizia, e poi della polizia segreta, era reale nel quotidiano. E il regime seduceva con l´immagine di ordine, creando posti di lavoro, specie per il riarmo. Fu un totalitarismo ma non integrale. Convissero, narrò anche Sebastian Haffner, due vite, due Stati: la vita normale, il cinema, il jazz, divorzi e diritto civile in mano a magistrati ordinari. E lo Stato in mano alle Ss: arbitrio, tortura, minaccia di morte. Tutto ciò senza libera stampa, con le informazioni diffuse solo da Göbbels».
Troppo consenso, poca opposizione?
«L´opposizione era troppo debole e soprattutto divisa. I giovani non erano con lei. Il 1933 fu una rivoluzione giovanile, i vecchi difesero male una repubblica già caduta. Tutto ciò, insisto, in un paese in cui nei primi anni il Terrore coesisteva con cinema, cabaret, feste. Vita normale, diverso dalla Mosca di Stalin. Sembrava che il Terrore colpisse solo gli altri. Seduzione e violenza insieme, un totalitarismo che concedeva illusioni, furono la sua ricetta. Fino alla guerra».
La guerra sarebbe stata evitabile?
«Hitler era un astuto giocatore d´azzardo. Pensava a un´espansione, all´inizio, non al dominio d´Europa intera. Non a caso armò la Luftwaffe ma senza pensare a bombardieri a lungo raggio. Poi sottovalutò i russi e l´impatto delle forniture militari americane e britanniche a un´Urss enorme, dal gelido inverno e decisa a combattere. Fu il suo errore fatale».
Oggi il pericolo di demagoghi e populisti è di nuovo minaccioso?
«Il nazismo non tornerà. Però il potenziale di crisi, seduzione, prontezza alla violenza, mobilitazione esiste. Troppo a lungo abbiamo comprato il benessere e la pace sociale con un forte indebitamento pubblico. Una crisi è pensabile. Come negli Usa oggi, o con un altro volto. Un petrolio a 200 dollari al barile in futuro non è impensabile. S´intravvedono scenari di dure lotte sociali. Ci vogliono persone qualificate, e le nostre università ne sfornano troppo poche. Ogni anno 150mila giovani qualificati emigrano dalla Germania. Gli scenari peggiori sono una recessione e una guerra in Medio Oriente. Per non parlare della sfida della globalizzazione. I rischi esistono. Ma l´ho sentito dire solo da un politico, Helmut Kohl. Disse che bisognava rendere l´Europa unita irreversibile. Che cioè la Ue era reversibile! I populisti lo sanno. Ma riguardiamo indietro: Hitler era un giovane senza arte né parte, Himmler un allevatore di polli, Goering un ex pilota da caccia cocainomane. chi poteva temerli? Il Male è nel genere umano, solo che di solito non è scatenato».

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