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La Stampa Rassegna Stampa
23.01.2008 Ostaggi dei terroristi palestinesi
a Sderot, e anche a Gaza

Testata: La Stampa
Data: 23 gennaio 2008
Pagina: 13
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Mamma uccisa in cucina - Per paura dormiamo con i vestiti»

Correttamente, La STAMPA del 23 gennaio 2008 pubblica 2 articoli sulla situazione israelo-palestinese: uno su Gaza e uno su Sderot.
La cronaca da Gaza fa ben comprendere che la popolazione palestinese è ostaggio dei lanciatori  di razzi kassam. Il titolo
“Mamma uccisa in cucina” non corrisponde ai fatti raccontati nel testo: secondo quest'ultimo infatti  la donna in questione "era uscita dalla cucina per allontanare due giovani appostati e pronti al lancio quando un missile israeliano ha colpito la casa uccidendo lei e un nipote di 15 anni".

Entrambi gli articoli sono di Francesca Paci.


L'articolo su Gaza:

«Sento dall'altra parte gli israeliani quando ci urlano di smetterla, potessi farlo io e potessero loro interrompere i raid». Muhammad Wahadan, 40 anni, abita in una fattoria vicino a Beit Hanun, tra le palme s'intravedono i tetti delle case di Sderot. I militanti di Hamas e della Jihad Islamica vengono a nascondersi tra le sue piante per tirare razzi Qassam: «Non li vogliamo, ci stanno rovinando la vita, li cacciamo ma tornano col buio». L'ultima volta, una decina di giorni fa, la madre Khandra era uscita dalla cucina per allontanare due giovani appostati e pronti al lancio quando un missile israeliano ha colpito la casa uccidendo lei e un nipote di 15 anni. I due invece sono riusciti a fuggire.
Gaza governata dalle forze dell'ordine di Hamas, Gaza con un milione e mezzo di abitanti isolati dal mondo, Gaza mai tanto divisa. Da un lato la generazione Quassam e suoi profeti, irriducibili contro il nemico Israele, dall'altra la famiglia Wahadan e Samira Sarur, 49 anni, insegnante elementare, madre di sei ragazzi che non le obbediscono più, che sognano solo di diventare shahid, martiri.
La guerra di Samira è in prima linea ma disarmata: «Quando mi alzo mi chiedo se c'è la luce, se ci sono state bombe, se i miei figli sono vivi, quanto costerà oggi il pane e se c'è ancora la strada per andare a scuola». I bambini si muovono a piedi, percorsi di tre o quattro chilometri, l'autobus è troppo caro e la macchina di famiglia a secco di benzina.
Muoversi dentro Gaza City è difficile, fuori impossibile. «Il mio primogenito ha avuto un incidente stradale in Malesia, è grave ma non posso raggiungerlo» racconta Yussuf Abdulkarim. La frontiera con Israele oggi è invalicalibe, passano solo malati molto gravi e i Qassam.

L'articolo su Sderot:

La piccola Judy se n’è andata una settimana fa. Natan e Amar, partiranno il mese prossimo. Alla scuola elementare Gil, un prefabbricato giallo tra le case popolari di Sderot, i bambini imparano la matematica contando quanti di loro restano tra i banchi: 200 all'inizio dell’anno, ora una cinquantina.
«Quando è arrivato il missile le finestre sono saltate e la porta della mia camera è sparita», racconta Shir sulle ginocchia dello zio Daud, muratore esule dal Marocco dopo la guerra del ‘67. Shir Safi ha 6 anni: giovedì, 56 razzi Qassam in meno di 12 ore, guardava la tv e non ha sentito l’allarme, «il colore rosso». L’esplosione del palazzo vicino l’ha resa quasi sorda: «Ho paura dei rumori, ho paura del silenzio».
Sderot è una città fantasma. I vialetti della zona borghese, dove vive l’ex ministro della Difesa Amir Peretz, sono deserti. Dei 25 mila abitanti di questa fortezza a due chilometri da Gaza sono rimasti i poveri, operai, immigrati magrebini. Chi poteva, è andato via. Chi non può cerca almeno di far partire i bambini. «Sarit va a dormire vestita. Cosa dovremmo fare?», chiede Haim Ben-Hamo. Non vorrebbe, ma d’intesa con la moglie Miri ha deciso di mandare la figlia 14enne in America. Secondo Bataya Katar, presidente della Sderot Parents Association, c’è già una lista di 150 famiglie.
Negli ultimi giorni i razzi sono diminuiti, lunedì 8, 15 ieri, niente rispetto ai 160 del weekend. Una ventina di fedeli, metà dei quali badanti nepalesi, prega con poca convinzione nella sinagoga. «Oggi sono passate dieci persone», chiosa amara Daniel Suissa, titolare dello spaccio Super Dahan, dietro al municipio. «Escono gli uomini, spuntano la lista della spesa essenziale compilata dalla moglie e via». Caramelle, snacks, chewingum, invecchiano nel vaso che ha conosciuto tempi migliori.

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