Condannato a tre anni di carcere per aver pubblicato le vignette danesi su Maometto nella Bielorussia di Lukashenko
Testata: Libero Data: 22 gennaio 2008 Pagina: 21 Autore: Maurizio Stefanini - Andrea Morigi Titolo: «Pubblicò le vignette anti-Allah Condannato a 3 anni di carcere - L'ultimo regime sovietico vassallo degli ayatollah»
Da LIBERO del 22 gennaio 2008, la cronaca di Maurizio Stefanini:
MINSK Tre anni di carcere per aver pubblicato sul suo giornale le famose vignette danesi su Maometto: non è accaduto in un Paese islamico ma in Bielorussia. Paese però che, governato da quell'Aleksandr Lukashenko altrimenti noto come "l'ultimo dittatore d'Europa". «Che Dio e la santa croce siano con noi», ha commentato il giornalista Alexander Sdvizhkov nell'apprendere venerdì scorso della sentenza, contro cui la sua avvocatessa ha già presentato ricorso. Accusa: «incitamento all'odio religioso e nazionale». Motivazione per lo meno curiosa, in un Paese il cui presidente nel novembre del 1995 arrivò a dire che «la Germania fu risollevata dalle rovine grazie a una mano ferma, e non tutto quel che fece quella ben nota figura di Hitler è negativo. L'ordine tedesco si è evoluto nel corso di secoli, e sotto Hitler ha raggiunto il suo apogeo». Lukashenko è però anche un personaggio che definisce i mass media «le armi di distruzione di massa di oggi» e che promette all'opposizione di «torcerle il collo come si fa con le anatre». E Zgoda, il giornale di cui Sdvizhkov era il direttore, era appunto uno degli ultimi fogli indipendenti rimasti. Finchè nel marzo del 2006 è stato chiuso, proprio approfittando delle lamentele che per la pubblicazione delle vignette danesi erano arrivate da una comunità islamica che ammonta a circa il 2-3% della popolazione: non indigeni e neanche immigrati, ma discendenti di musulmani "sovietici" stabilitisi nell'allora repubblica federata al tempo dell'Urss. Nel criticare la sentenza Miklos Haraszti, rappresentante per la libertà di stampa dell'Ocse, ha affermato senza mezzi termini che le autorità bielorusse hanno approfittato della storia per «eliminare una voce critica». Oltre a ciò, Lukashenko ha però anche una relazione speciale col mondo islamico: cliente privilegiato per quell'export di armi che è alla base dell'economia bielorussa, stabilmente ai primi 10 posti mondiali. Aggirando gli embarghi e i divieti Onu Lukashenko ha inviato munizioni, fucili, caccia e carri armati in Libano, Iraq e Darfur. C'è addirittura la voce, non controllabile, secondo cui l'arsenale batteriologico di Saddam Hussein non sarebbe stato trovato in Iraq proprio perché prelevato con una serie di voli segreti e trasportato nel complesso militare di Sterie Dorogi, a 150 km da Minsk. È invece certo che la gran parte delle armi vendute da Lukashenko al regime di Saddam sono poi finite ai gruppi armati che insanguinano l'Iraq di oggi. Altri clienti affezionati sono la Costa d'Avo rio, la Libia, la Siria, il Sudan, Hezbollah e soprattutto l'Iran, con cui il traffico è cresciuto tra il 1993 e il 2005 dagli 89.000 ai 30 milioni di dollari. Le vendite di Minsk a Teheran riguardano carri armati, camion, aerei da trasporto, e forse anche materiale per la guerra chimica, sebbene ufficialmente si tratti di cooperazione in campo "far maceutico". E un rapporto della Casa Bianca nel marzo del 2006 sosteneva anche che il traffico di armi avesse consentito a Lukashenko di mettere da parte un miliardo di dollari su un conto segreto, bypassando il bilancio ufficiale dello Stato.
Un intervento di Andrea Morigi:
Da satellite sovietico a vassallo iraniano, la Bielorussia si candida a diventare un caso da manuale per la storia politica. Uno Stato in cui comanda ancora la vecchia nomenklatura comunista, passata più o meno indenne attraverso il crollo del Muro di Berlino, punta a saldare il vecchio totalitarismo della falce e martello con il fondamentalismo islamico, creando un sistema istituzionale tanto nuovo quanto disumano. Si può interpretare con il luogo comune "tutta una questione di interessi" il corso del presidente Aleksandr Lukashenko, che non disdegna nemmeno Adolf Hitler. Una spiegazione che forse piacerebbe anche al dittatore di antica formazione marxista: l'economia prima di tutto. Ma c'è un elemento imprevisto, non preso in considerazione dagli ideologi ottocenteschi della lotta di classe. Anziché ottenere la dittatura del proletariato, seguendo la ricetta del materialismo dialettico e dell'ateismo di Stato si contribuisce all'affermazione della teocrazia iraniana. Visto da Teheran, il fenomeno è meno sorprendente. Tra le dottrine dell'iraniano Ali Shariati, che avevano ispirato l'ayatollah Ruhollah Khomeini, e la teologia della liberazione passava un filo consapevolmente rosso. Il vero nemico da abbattere, per entrambi, era l'odiato capitalismo americano. Il caudillo venezuelano Hugo Chavez è soltanto la versione aggiornata e perfezionata di quell'alleanza rosso-verde, con l'aggiunta letale dei terroristi sciiti di Hezbollah e della bomba nucleare prossima ventura progettata da Mahmoud Ahmadinejad. Una costante di ortodossia obbliga, nel rapporto con gli infedeli, a tenerli in posizione di sottomissione. Lo sanno anche i giudici nominati dal regime di Lukashenko, che si candidano volontari, con la condanna a tre anni di reclusione inflitta al giornalista Alexander Sdvizhkov, come esecutori delle sentenze emesse in forza del Corano. Dove non erano riuscite né le proteste di piazza danesi, arabe e pakistane, né la Conferenza islamica, né il "politica mente corretto" occidentale, riescono gli ultimi epigoni della Stella rossa. A dar manforte alla censura che colpì il quotidiano danese Jyllands Posten, che alla fine del 2005 aveva pubblicato le vignette satiriche su Maometto, arriva ora un Paese che ha solo il 3 per cento di cittadini musulmani. Per Sdvizhkov si è mossa per ora soltanto l'Ocse, l'Orga nizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, con una protesta di cui si è smorzata immediatamente l'eco. Per Reporters sans frontières, si tratta appena di una notiziola tutta da scovare sul sito Internet, nascosta nella sezione sull'ex-Urss. Quell'avanzo di galera del giornalista ha osato persino un'invocazione-provocazio ne: «Dio e il potere della croce sono con noi». Così ha ottenuto la garanzia che, in Occidente, non lo difenderanno. Sono tutti occupati a infittire le relazioni commerciali e diplomatiche con i Paesi islamici e, di conseguenza, a diminuire la libertà di stampa.
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