Testata: Il Manifesto Data: 22 gennaio 2008 Pagina: 11 Autore: Michelangelo Cocco Titolo: ««Sinistra, ti ricordi della battaglia contro l'apartheid?»»
Con un'intervista a Omar Barghouti, fondatore della Campagna palestinese per il boicottaggio di Israele, Il MANIFESTO inserisce la campagna contro la presenza di Israele alla Fiera del libro di Torino del 2008, come ospite d'onore, all'interno della più vasta campagna mondiale di delegittimazione dello Stato ebraico, dipinto come stato "di apartheid" e razzista.
Ecco il testo:
Hanno preparato una locandina che recita: «60 anni di espropriazione dei Palestinesi! Non c'è nessuna ragione per celebrare "i 60 anni di Israele"!». Proveranno a pubblicarla sulle pagine interne del New York Times e dell'International Herald Tribune. Intanto dalla Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale d'Israele (Pacbi, www.pacbi.org) arriva ai pacifisti italiani un messaggio senza se e senza ma: boicottate la Fiera internazionale del libro di Torino (in programma dall'8 al 12 maggio prossimi). Omar Barghouti, fondatore della Campagna palestinese per il boicottaggio, al telefono da Gerusalemme respinge le critiche della sinistra istituzionale e rilancia: chi non boicotta, afferma, è «complice del razzismo». «Liberazione» ha scritto che «il boicottaggio culturale è una risposta pericolosa, perché porta alla radicalizzazione delle posizioni». Cosa ne pensa? Sembra che i comunisti italiani abbiano la memoria molto corta: dimenticano che, per abbattere l'apartheid, contro il Sudafrica fu adottato un boicottaggio totale, che colpiva sia gli individui sia le sue istituzioni. Noi chiediamo che Tel Aviv venga colpita solo nelle sue istituzioni. Quando un paese commette crimini, viola costantemente il diritto internazionale e le sue istituzioni culturali sono complici, se non le boicotti, diventi tu stesso complice. Gli scrittori non sono responsabili delle politiche dei loro governi, argomentano altri oppositori del boicottaggio. La base ideologica di ogni società è costituita da figure intellettuali e culturali, inclusi gli scrittori che sono sempre, almeno in parte, responsabili. Questo non significa che debbano essere puniti per qualsiasi azione del governo. Ma quando c'è un legame diretto, quando cioè quello che scrivono è propaganda in favore di uno stato che commette crimini internazionali, allora sono da considerare colpevoli. Cosa contesta ad autori come Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman, tutti invitati alla Fiera internazionale del libro? Io credo che Yehoshua, Oz e Grossman siano razzisti, perché giustificano la pulizia etnica dei palestinesi durante il conflitto del 1948 e non credono che la pace debba basarsi sul diritto internazionale. Vogliono che la frontiera tra Israele e la Palestina sia tracciata in base alla «realtà demografica», come Oz ha perfino scritto. Yeoshua, Oz e Grossman sono stati tra i primi - durante questa intifada - a pubblicare in tutta Israele annunci in cui affermavano: non possiamo accettare in alcun modo il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, perché ciò danneggerebbe Israele da un punto di vista demografico. Sostengono che, in quanto non ebrei, i rifugiati non hanno il diritto a tornare. Ritengo che questo sia razzismo. In un commento sul manifesto, il ricercatore Simon Levis Sullam ha scritto che «i boicottaggi contraddicono i principi stessi della cultura, che sono quelli del dialogo e del confronto». Che ne pensa? Penso che noi viviamo sotto occupazione da quarant'anni e dire che ciò ha a che fare col razzismo provoca grandi levate di scudi soltanto perché si ha paura delle lobbies filo-israeliane, dello stigma dell'antisemitismo. Un consigliere regionale del Pdci ha chiesto che alla Fiera sia «aggiunta» la presenza dei palestinesi. Nemmeno questo vi basta? Non esistono vie di mezzo tra oppressore e oppresso. Cercarle significa appoggiare l'oppressore. Tra il primo e il secondo non c'è alcun equivalente morale. Negli anni '70 non sarebbe mai stata accettata la proposta di invitare i razzisti afrikaner assieme all'African national congress. Mai. Equiparazioni morali di questo tipo sono inaccettabili. Cosa suggerirebbe ai gruppi filo palestinesi che stanno studiando le iniziative contro la Fiera? Di tenere duro, perché il boicottaggio è l'unico modo morale di affrontare Israele nell'arena internazionale. Bisogna battersi per isolare Israele, anche nel campo accademico e culturale, perché le istituzioni accademiche e culturali in Israele sono complici dei crimini dello stato. Non esiste una torre d'avorio in cui gli intellettuali sono al di sopra della legge internazionale: se prendono una posizione morale, bene, se ne adottano una complice, giustificando omicidi e violazioni del diritto internazionale, devono essere puniti. Ci sono degli intellettuali che le piacerebbe vedere in una fiera del libro alternativa? Certamente. Si potrebbero invitare palestinesi e israeliani che si oppongono all'oppressione, allora avrebbe davvero senso: persone come Ilan Pappe, Haim Bresheet, Oren Ben-Dor... Ce ne sono tanti che sarebbe troppo lungo nominarli tutti ora.
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