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Tempi Rassegna Stampa
19.01.2008 Civiltà e Barbarie
L'analisi di Giorgio Israel

Testata: Tempi
Data: 19 gennaio 2008
Pagina: 5
Autore: Giorgio Israel
Titolo: «Civiltà e Barbarie»
Spendere le belle parole non costa niente, è più difficile pronunziare quelle che costano, soprattutto per la nostra diplomazia ipocrita e doppiopesista. Per esempio, costa pronunziare parole di condanna delle esecuzioni capitali effettuate in Iran all’indomani della proposta di moratoria della pena di morte. Oppure, parole di condanna per la sorte oscura dei soldati israeliani sequestrati da un anno e mezzo. Eppure sarebbe stato un modo decente di inaugurare il 2008. I tartufi pronti a stracciarsi le vesti sulle prigioni “lager” in cui vengono detenuti terroristi palestinesi fingono di dimenticare che un conto è una prigione, per quanto orrenda come tutte le prigioni, visitabile dalla Croce Rossa, da parenti, da avvocati, e un conto è un sequestro di persone che non si sa dove siano finite e se siano ancora vive. Circolano voci orribili sulla sorte del ventunenne israeliano Gilad Shalit, sequestrato da Hamas e che si dice sia detenuto in un pozzo a dieci metri di profondità: nessuno può verificare se ciò sia vero. Anche di Ehud Goldwasser (32 anni) e Eldad Regev (26), rapiti da Hezbollah, non si sa nulla. Cosa si debbano aspettare simili “detenuti” lo dice la sorte del pilota israeliano Ron Arad, sequestrato da Hezbollah nel 1986 e che pare sia stato venduto all’Iran. Secondo la testimonianza di alcuni diplomatici iraniani fuggiti all’estero il regime degli ayatollah lo avrebbe paralizzato con un intervento al midollo spinale. Vero o no che sia, quel regime se ne infischia di allontanare i sospetti permettendo una visita.
L’anno è iniziato con l’uccisione a freddo di due soldati israeliani in licenza da parte delle forze di sicurezza di Al Fatah, ovvero del movimento del presidente di Abu Mazen, come ha confermato un membro delle Brigate Al-Aqsa al quotidiano israeliano Yedioth Aharonot; mentre i missili Qassam continuano a piovere da Gaza. In questa situazione, un governo israeliano debole è costretto a mostrare la massima disponibilità per compiacere l’alleato statunitense che cerca di tenere in piedi la traballante situazione mediorientale: Olmert parla di condividere Gerusalemme con un futuro stato palestinese e di tornare alle frontiere del 1967. In cambio di nulla. La conferenza di Annapolis ha mostrato che i dirigenti politici arabi e islamici non sono disposti neppure a salutare il ministro degli esteri israeliano. Quanto a un’eventuale stretta di mano, è da supporre che sarà oggetto di trattative. Per anni ci è stato spiegato che occorre parlare con il nemico perché è con lui che occorre fare la pace. Piero Fassino, ritenuto uno dei più aperti alle ragioni di Israele, ha avvallato con tale argomento le aperture di D’Alema a Hamas. Ma pare che simile prediche valgano soltanto per Israele.
L’ultima “trovata” del fronte arabo è quella secondo cui Israele non avrebbe il diritto di considerarsi uno stato “ebraico”, il che significa a prevalente religione e cultura ebraica, non che in Israele non si possano coltivare altre fedi, visto che non vi mancano moschee e chiese. Questa pretesa viene avanzata mentre pullulano i paesi “islamici” in cui possedere una croce o un Vangelo costa la galera e i cristiani vengono perseguitati a morte; e mentre vi sono persino immigrati musulmani in Italia che si rifiutano di essere nutriti dalla Caritas se non si toglie dal muro quel “coso” (il crocefisso). La verità è che siamo di fronte alla riproposizione sotto altre vesti della negazione del diritto di Israele a esistere. Ma nessuno – tantomeno la nostra diplomazia – si sogna di denunciare questa vergogna che addensa nubi oscure sul futuro del medioriente.

redazione@tempi.it

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