Miracolo a REPUBBLICA ! Oggi, 19/01/2008, a pag.1-17, Bernardo Valli scrive una corrispondenza dell'Iraq accurata ed equilibrata. Ne prendiamo atto con soddisfazione. Speriamo continui. Il titolo è " Iraq, così la guerra cambia volto".
Per la grande ricorrenza musulmana shiita dell´Ashura (durante la quale si commemora con imponenti pellegrinaggi l´assassinio, nel Settimo secolo, dell´imam Hussein, figura centrale, venerata, della corrente dell´Islam maggioritaria in Iraq) nelle più tormentate province del Paese è stato proibito il traffico automobilistico. Una misura preventiva che non ha impedito gli attentati dei kamikaze motorizzati e gli scontri armati. Un bilancio provvisorio annuncia una ventina di morti e un numero imprecisato di feriti.
Negli anni scorsi le imponenti processioni dell´Ashura furono molto più insanguinate. Nel 2007 ci furono trecento morti. La cronaca sommaria serve a dare un´idea (credo) abbastanza esatta di quel che sta accadendo tra il Tigri e l´Eufrate, mentre si avvicina il quinto anniversario dell´intervento degli Stati Uniti. In Iraq si muore ancora ma si muore meno.
Negli ultimi sei mesi la violenza è nettamente diminuita, ma non sono diminuiti i morti americani. Anzi i soldati uccisi (899) sono stati più numerosi nel 2007 che negli anni precedenti. In quanto alle vittime civili irachene si può ricorrere a quella che è forse la contabilità più attendibile: il governo di Bagdad, coadiuvato dagli specialisti della Organizzazione mondiale della Sanità (l´OMS di Ginevra) ne ha contate 151.000 dal 2003. La minore intensità della violenza ha comunque ridotto negli ultimi mesi il numero delle vittime innocenti degli attentati.
L´aumento degli americani uccisi (circa 4.000 dall´inizio del conflitto) è con tutta evidenza dovuto al maggior impegno militare degli Stati Uniti. È una conseguenza del piano (noto come "troop surge") promosso dodici mesi fa da George W. Bush. Un piano basato su un aumento delle truppe dispiegate a Bagdad e nella vicina provincia di Al Anbar, al fine di garantire una certa sicurezza in una zona decisiva. Gli effettivi sono passati da 130.000 a 160.000 uomini, vale a dire da quindici a venti brigate.
Il brusco incremento dell´impegno militare americano ha dato risultati visibili. Un tempo deserte al tramonto, la strade della capitale sono animate fino a tarda sera. Molti ristoranti e negozi hanno ripreso l´attività. Ma anche i più ottimisti si interrogano sulla durata di questi evidenti miglioramenti. Gli stessi responsabili americani temono che essi siano dovuti alla più capillare presenza militare delle loro truppe e che una volta attenuata quella presenza la violenza riprenda tutta la sua forza devastatrice. Il generale David Petraeus si è impegnato a ridurre da venti a quindici le brigate americane entro la metà del 2008, vale a dire a riportare a 130.000 uomini gli effettivi. Tanti erano prima dell´incremento deciso da Bush dodici mesi or sono. Poi si vedrà.
Quando, nel giorni scorsi, convocato da Bush di passaggio nel Kuwait, è stato invitato a pronunciarsi sulle sue intenzioni circa un ulteriore graduale ritiro, il generale Petraeus, il più alto ufficiale in Iraq, si è ben guardato dall´avanzare cifre o date. Tutto dipenderà dalla situazione, una volta finito il super impegno militare a Bagdad e nella provincia di Al Anbar. Allentato il pugno di ferro su quella cruciale zona centrale del Paese, in cui è radicata l´insurrezione armata sunnita ed è intensa la dissidenza degli sciiti antiamericani, tutto può accadere. Il solo ad azzardare scadenze è stato il ministro della difesa iracheno, Abdul Qadir al-Obaidi. Il quale ha dichiarato che le forze di cui dispone lo Stato iracheno non saranno in grado di garantire la sicurezza interna prima del 2012 e non saranno nelle condizioni di difendere i confini nazionali prima del 2018. Le parole di al-Obaidi non hanno sorpreso il Pentagono, sebbene risultassero più pessimistiche di quelle espresse dallo stesso ministro l´anno scorso.
Sul piano politico non mancano le novità. Novità fragili ma significative. In un giovedì dello scorso dicembre, su una piazza di Kerbala, la città sciita a sud di Bagdad (meta in queste ore dei pellegrini, perché là fu ucciso l´imam Hussein), una folla densa ed eccitata acclamava il generale Ra´id Shaker, capo della polizia locale. Uomini e donne approvavano con entusiasmo le pubbliche denunce del regime di terrore esercitato dall´Esercito del Mahdi, agli ordini di Moqtada Sadr. Fino a qualche settimana prima, quando le milizie di Sadr controllavano con fruste e kalashnikov le strade di Kerbala, nessun rappresentante del governo centrale avrebbe osato lanciare quelle accuse. In seguito a quel giovedì di dicembre, lo stesso Sadr, capo della capillare dissidenza sciita antiamericana e antisunnita, ordinava ai seguaci di rispettare la tregua già formalmente in vigore ma non osservata, imponeva ai suoi di cessare sul serio le azioni militari, anche sul piano difensivo, vale a dire comprese quelle contro le comunità sunnite, non necessariamente armate. Gli ordini di Sadr hanno avuto un effetto immediato anche a Bagdad. Nella capitale è subito diminuito il numero di cadaveri rinvenuti ogni mattina per le strade o nelle fogne: corpi straziati, mutilati, di sunniti o sciiti, per rappresaglie di natura settaria. Erano decine ogni giorno e si sono ridotti a qualche macabra eccezione.
Un venerdì, sempre di dicembre, vicino a Samarra, a nord di Bagdad, i combattenti di una fazione sunnita, chiamata Esercito Islamico in Iraq, hanno lanciato un attacco di sorpresa a una postazione tenuta dagli uomini di Al Qaeda. Secondo la polizia ci sarebbero stati diciotto morti tra i militanti, in parte stranieri, dell´organizzazione armata, integralista e internazionalista, che si richiama agli insegnamenti, se non ai diretti ordini, di Bin Laden. Pochi giorni dopo, un´altra formazione sunnita, conosciuta come Brigata della Rivoluzione 1920, ha compiuto la stessa operazione ad al-Buhriz, nella provincia di Diyala, sempre a nord di Bagdad, contro una seconda banda di Al Qaeda. Avrebbe fatto sessanta prigionieri, e, quel che conta, li avrebbe consegnati a unità dell´esercito governativo, con una manifestazione di pubblica solidarietà, tra gli applausi degli abitanti.
Sono episodi senza precedenti, perché sia l´Esercito Islamico in Iraq sia la Brigata della Rivoluzione 1920, sono stati per anni alleati di Al Qaeda, contro l´esercito governativo, dominato dagli sciiti, e contro la forza multinazionale, dominata dagli americani. Molte di quelle alleanze, tra i nazionalisti sunniti e i gruppi definiti di Al Qaeda, si sarebbero adesso rovesciate. Un crescente numero di tribù sunnite, che alimentavano l´insurrezione armata, considererebbe adesso Al Qaeda il principale avversario. Il fenomeno si estenderebbe dalla provincia occidentale di al-Anbar a non poche aree sunnite a est e a nord di Bagdad. Grazie alla loro massiccia presenza in quella regione, gli americani appoggiano i sunniti dissociatisi da Al Qaeda e li invitano a unirsi a organizzazioni locali come al-Sahwa (Il risveglio), destinate a proteggere la popolazione dalle infiltrazioni di Al Qaeda. Chi vi aderisce ha un salario mensile di 600 dollari. Chi si unisce alle milizie di autodifesa (in gergo militare chiamate CLC, Concerned Local Citizens) riceve una divisa e 300 dollari al mese. È una tattica controrivoluzionaria, ispirata da guerre sfortunate, come quella vietnamita, e adattata a una situazione assai diversa, quale è quella irachena.
Il primo ministro, Nouri Maliki, annuncia trionfalmente la sconfitta di Al Qaeda. I militari americani sono molto più cauti. Il generale Joseph Fil, comandante americano a Bagdad, pensa che Al Qaeda non abbia più il controllo di un tempo sulla capitale. Ma non si fida. Non esclude che possa riemergere. E non è chiaro quanto sia profonda e definitiva la rottura con i sunniti nazionalisti. In quartieri come Dora, a maggioranza sunnita, quelli di Al Qaeda, che si dicevano apertamente i rappresentati di uno "Stato islamico", sono spariti, non impongono più agli abitanti di rispettare la legge coranica, secondo una loro versione integralista sunnita. E non si accaniscono più contro gli sciiti che designavano come eretici. La loro scomparsa, definitiva o temporanea, ha reso inutile, ingiustificata, l´attività terroristica dell´Esercito del Mahdi, che ubbidendo a Moqtada Sadr colpiva per rappresaglia i sunniti, anche innocenti. Ma la società, secondo gli americani, resta un vulcano le cui eruzioni sono impervedibili.
Oltre al piano militare (troop surge) che ha favorito sul terreno la scissione tra i nazionalisti sunniti e Al Qaeda, è stata promossa un´operazione politica anch´essa tesa al recupero degli insorti sunniti. Dopo l´invasione del 2003 una legge ha messo al bando tutti gli esponenti del Baath, il partito su cui si appoggiava il regime di Saddam Hussein, e comprendeva in sostanza l´intero apparato statale, dominato dai sunniti. Insieme alla dissoluzione dell´esercito, che spinse nella guerriglia quasi tutti gli ufficiali sunniti, l´epurazione degli iscritti al Baath fu all´origine della massiccia dissidenza della classe dirigente sunnita. Dissidenza subito sfociata nella innaturale alleanza con Al Qaeda. Innaturale perché il Baath era certamente lo strumento del dittatore, ma era al tempo stesso una formazione laica. Adesso si cerca di varare una legge anti Baath più morbida della precedente. Si tenta un compromesso. Il governo a maggioranza sciita è incerto, si dimostra meno intransigente. E lo è anche sul problema del petrolio. Le province sunnite ne sono sprovviste, ma se la grande ricchezza del paese fosse amministrata dal governo centrale, esse ne potrebbero approfittare come le dotate province sciite. Anche questo fa parte di un disegno politico che tende a riassorbire una guerra che potrebbe diventare dei "cento anni".
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