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Europa Rassegna Stampa
18.01.2008 Chi sta meglio degli ebrei iraniani ?
propaganda per gli ayatollah sul quotidiano della Margherita

Testata: Europa
Data: 18 gennaio 2008
Pagina: 5
Autore: Siavush Randjabar-Daemi
Titolo: «La comunità ebraica ha trovato un modus vivendi con il regime iraniano»

Nonostante qualche saltuaria esecuzione per "spionaggio" a favore di Israele, la comunità ebraica iraniana ha trovato un "modus vivendi con il regime".
Il quale, nonostante il proposito di cancellare Israele dalla faccia della terra, la negazione della Shoah e l'organizzazione di una strage di ebrei a Buenos Aires, non è antisemita.
Se chiedete agli ebrei di Teheran confermeranno che sono contenti. La minaccia del cappio che grava sulle loro teste, come sugli altri iraniani ? Al massimo, si può pensare che sia un incentivo a trovare che tutto va bene. Nella migliore delle teocrazie possibili.

EUROPA del 18 gennaio 2008 pubblica un articolo di Siavush Randjbar-Daemi sulla condizione degli ebrei iraniani che regge e forse vince il confronto con quelli della stampa comunista più filosovietica ai  tempi dell'antisemitismo di stato comunista.
Ecco il testo:


Con la fanfara delle grandi occasioni, nel giorno di Natale Israele ha accolto quaranta ebrei iraniani che avevano abbandonato la loro terra ancestrale per iniziare una nuova vita nello stato ebraico. Dopo un iter complicato, il gruppo proveniente dall’Iran ha potuto abbracciare, davanti a decine di telecamere, familiari e amici che avevano effettuato analoga scelta anni o decenni prima. Nonostante gli obiettivi altisonanti dell’Agenzia ebraica per l’immigrazione, che spera di accogliere presto la totalità degli ebrei tuttora residenti in Iran, le modeste cifre dell’emigrazione ebraica dall’Iran verso Israele lasciano trasparire che dietro questo spostamento umano non c’è, come suggerito da alcuni funzionari dell’Agenzia, una crescita dell’anti-semitismo all’interno dell’avversario principale di Israele nell’area mediorientale.
Alcuni nuovi arrivati così come rispettati analisti di origine iraniana di stanza a Tel Aviv, come Meir Javedanfar e Menashe Amir, sono concordi nel ritenere che, nonostante la foga della retorica “antisionista” della dirigenza di Teheran e sporadiche accuse di spionaggio a favore di Israele, comminate ad alcuni correligionari iraniani, la repubblica islamica non discrimini in maniera sistematica la sua sparuta comunità ebraica residente, che ha reagito in maniera furibonda all’avvenuta migrazione negando ogni coinvolgimento nel viaggio.Nonostante l’incessante emigrazione seguita all’avvento della Repubblica islamica nel 1979, circa trentamila ebrei risiedono tuttora in Iran, prevalentemente a Teheran e a Shiraz ed Esfahan, sedi di comunità israelitiche da decine di secoli. Gli israeliti persiani, stabilitisi in Iran durante la prima Diaspora, dispongono di decine di sinagoghe e un deputato in seno al parlamento iraniano.
Le migrazioni ebraiche dall’Iran sembrano quindi seguire la logica di quelle della maggioranza musulmano- sciita del paese mediorientale.
A causare l’esodo annuale di decine di migliaia di cittadini iraniani di ogni estrazione religiosa sono infatti le sempre più precarie condizioni economiche. L’inflazione e la disoccupazione alle stelle e soprattutto l’incapacità del mercato interno iraniano di assorbire la notevole mole di brillanti laureati delle numerose università iraniane ne favoriscono l’esodo ed essi trovano facilmente impiego presso le industrie terziarie o nei più illustri centri di ricerca occidentali. I quaranta ebrei sono, secondo il Jerusalem Post, appartenenti al ceto sociale mediobasso, quello più colpito dalla recessione economica.
I circa duecento immigrati ebrei che hanno raggiunto Israele dall’Iran nel 2007 sembrano esser quindi stati motivati dal desiderio di ricongiungersi con stretti familiari - come gli iraniani sciiti hanno fatto andando verso megalopoli dotate di considerevoli comunità iraniane come Toronto o Los Angeles – sfruttando allo stesso tempo la «ricompensa» di alcune associazioni cristiane sioniste americane, che hanno promesso diecimila dollari a ogni ebreo iraniano che abbia scelto di effettuare l’Aliyah, o migrazione verso la «Terra promessa». Privi di una reale motivazione ideologica per rompere per sempre i ponti con il passato iraniano, i migranti ebrei persiani mantengono, secondo i media israeliani, i propri contatti con i correligionari rimasti.
Molti hanno inoltre scelto, in anni recenti, di compiere soggiorni frequenti in Iran, con la «complicità» del consolato iraniano a Istanbul. La sede diplomatica iraniana nella più grande città turca – il cui aeroporto è diventato snodo bi-direzionale del traffico umano tra l’Iran ed Israele – rilascia senza indugi eccessivi, rivela il Jerusalem Post alla fine del 2005, nuovi passaporti iraniani a israeliani di origini persiane.
Il quotidiano rivelò pure come molti migranti stabiliti in Israele nutrano forte nostalgia nei confronti di una patria adottiva, nella quale non si verificarono mai epurazioni paragonabili a quelle dell’Europa di fine Ottocento – prima metà del Novecento. Resosi conto dell’inscindibile legame tra l’Iran e i suoi connazionali di estrazione ebraica, il ministero degli esteri israeliano ha tuttora sorprendentemente escluso la Repubblica islamica dai paesi mediorientali interdetti ai suoi cittadini, che possono compiere un soggiorno a Teheran senza incappare nelle indagini che la magistratura dello stato ebraico è solita avviare per chi fosse stato a Beirut o Damasco pur usando un secondo passaporto, come capitato alla celebre blogger israelo-canadese Lisa Goldman.
Ma il «ritorno» dell’emigrazione ebraica verso l’Iran non è limitato a Israele. Alcuni esponenti della comunità giudaica iraniana di Los Angeles – che ospita non meno di ottantamila ebrei persiani – hanno fatto ritorno, seppur per breve tempo, nella terra d’origine, portando a termine commoventi progetti, come nel caso di Shahram Farzin, che dal 2004 sta scattando fotografie, catalogandole sul sito www.beheshtieh.com
com, delle migliaia di fotografie di lapidi ebraiche sparse all’interno di numerosi cimiteri e Teheran e altri grandi città iraniane, evidenziando così le radici profonde di un’antica comunità che ha sempre fatto parte del variegato tessuto sociale dell’Iran.

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