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La Repubblica Rassegna Stampa
15.01.2008 Sullo scontro di civiltà Huntington aveva ragione
ora lo scrive il capofila dei suoi critici

Testata: La Repubblica
Data: 15 gennaio 2008
Pagina: 32
Autore: FOUAD AJAMI
Titolo: «IL NUOVO RADICALISMO DEI GIOVANI MUSULMANI»

 La REPUBBLICA del 15 gennaio 2008 pubblica un articolo ripreso dal New York Times Book Review, insieme a uno di Tariq Ramadan e a uno di Ayaan Hirsi Ali.
Abbiamo più volte presentato ai nostri lettori le posizioni  e gli scritti di questi due autori.
Ci limitiamo dunque in questa occasione a riprendere il pezzo particolarmente importante di Fouad Ajami, nel quale l'islamologo rivede la sua posizione sulla teoria dello "scontro di civiltà" di  Samuel P. Huntington
.
Ecco il testo:

Da uno studioso austero e serio come Samuel P. Huntington non era certo il caso di aspettarsi, dopo l´11 settembre, frasi del tipo: «Io l´avevo detto». Politologo dalla carriera leggendaria, sempre in controtendenza rispetto alle opinioni prevalenti, può essere considerato come l´osservatore più originale e influente di quest´ultimo mezzo secolo. Negli anni ‘90, in un articolo pubblicato da Foreign Affairs, e successivamente nel libro del 1996 Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Huntington ha formulato una tesi in netta controtendenza rispetto all´euforia di quegli anni per un "mondo senza confini". Dopo la guerra fredda, scriveva Huntington, dobbiamo aspettarci uno "scontro delle civiltà". Saranno il territorio, il sangue e le appartenenze culturali a imporre e a definire l´assetto di un mondo [che resterà] diviso in Stati. Nella sua cartografia, Huntington distingue con tratti incisivi «l´Occidente dal resto»; il primo in posizione isolata a fronte di otto poli di civiltà: latino americana, africana, islamica, cinese, indù, ortodossa, buddista e nipponica. In questo mondo post- guerra fredda, afferma poi, la civiltà islamica riemergerà come una nemesi a fronte dell´Occidente. L´autore si esprime in termini lapidari. «I rapporti tra l´islam e la cristianità, sia ortodossa che occidentale, sono stati spesso burrascosi. Per i cristiani, gli islamici erano "gli altri", e viceversa. Il conflitto del XX secolo tra liberal-democrazie e leninismo marxista non è altro che un fenomeno storico fugace, a confronto con la continuità del conflitto tra il mondo musulmano e quello cristiano».
I diciannove giovani arabi che colpirono l´America, l´11 settembre 2001, hanno conferito a Huntington un avallo storico più netto di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Una delle sue previsioni riguardava gli effetti destabilizzanti del "youth bulge", la forte prevalenza di giovani nelle società musulmane. E sono proprio i giovani musulmani a costituire oggi la punta d´ariete di un nuovo radicalismo: una marea montante che dopo aver travolto l´ordine dei rispettivi Paesi sta tracimando oltre i confini, verso le società non musulmane. L´islam si è fatto ardito e combattivo. Le ideologie occidentalizzanti, che un tempo dominavano la storia della Turchia, dell´Iran e del mondo arabo, hanno perso terreno, e nelle società ove un tempo le correnti nazionaliste cercavano di emulare i modelli occidentali, l´"indigenizzazione" è ormai all´ordine del giorno.
Anziché occidentalizzare la società, i Paesi islamici raccolgono oggi un massiccio consenso intorno all´islamizzazione della modernità. Secondo Huntington, una "civiltà universale" di fatto non è mai esistita; era solo la pretesa della "cultura di Davos": un pugno di tecnocrati, accademici e uomini d´affari che ogni anno s´incontrano in Svizzera, in una sorta di taverna da élite globale. Nell´impietosa ottica di Huntington, la cultura è puntellata e definita dal potere. Ai tempi della sua supremazia, l´Occidente godeva anche militarmente di una posizione dominante; e la prima generazione di nazionalisti del terzo mondo aveva cercato di plasmare a sua immagine le società dei rispettivi Paesi; ma sempre secondo Huntington, quella posizione di dominio si è ormai incrinata. I dati demografici la dicono lunga su questo: mentre nel 1900 oltre il 40 per cento della popolazione mondiale era sotto il controllo politico dell´Occidente, nel 1990 questa percentuale si era ridotta al 15 circa, ed entro il 2025 dovrebbe scendere al 10. Per converso, la quota di popolazione controllata dall´islam è passata dal quattro per cento del 1900 al 13 del 1990, e potrebbe raggiungere nel 2025 il 19.
La situazione è tutt´altro che promettente nelle zone di confine tra società tendenti al calo demografico - quali l´Europa occidentale e la Russia - e quelle in cui masse di giovani premono per conquistare il mondo. Huntington l´aveva vista, questa tempesta che si andava addensando. È come se i giovani venuti dai popolosi Stati nordafricani, che hanno rischiato tutto per attraversare lo Stretto di Gibilterra, fossero scaturiti direttamente dalle sue pagine.
Poco dopo la pubblicazione dell´articolo che anticipava il suo libro, la rivista Foreign Affairs invitò un gruppo di scrittori a rispondere alle tesi di Huntington, assegnandomi il ruolo di capofila dei critici. Pur esprimendo il mio apprezzamento nei confronti dell´autore, misi l´accento, nella mia risposta, sulla modernizzazione e sul sistema instaurato dall´Occidente. «Le realtà e i metodi che ha diffuso - scrissi - sono stati adottati dal resto del mondo. L´idea del laicismo, il sistema statuale, l´equilibrio dei poteri, la cultura pop che ignora le barriere doganali e scavalca i confini, lo Stato come strumento del welfare - tutto questo è stato interiorizzato fin nei luoghi più remoti. Li abbiamo scatenati noi, i venti della burrasca in cui ci stiamo lanciando». Mettevo inoltre in discussione l´idea di Huntington che le civiltà si potessero ritrovare «integre e intatte, impermeabili sotto un cielo eterno», osservando che ogni civiltà è percorsa da solchi, e sostenendo che il consenso modernista avrebbe retto in Paesi quali l´India, l´Egitto o la Turchia.
A quasi 15 anni di distanza, la tesi di Huntington sullo scontro delle civiltà mi appare assai più convincente delle mie critiche. In questi ultimi anni ad esempio, l´edificio del kemalismo è stato preso d´assalto, e recentemente la Turchia ha eletto alla presidenza un islamista. La "ridefinizione" profetizzata da Huntington si è avverata - anche se indubbiamente con un verdetto meno drastico di quanto avesse previsto. Gli islamisti hanno avuto la meglio, ma almeno a quanto ci viene detto, il loro obiettivo rimane Bruxelles: sperano, non senza astuzia, di trovare in Europa un rifugio contro il potere militare.
«Ti insegnerò le differenze», dice Kent al servo di Re Lear. Samuel P. Huntington ha avuto la preveggenza e l´onestà intellettuale di riconoscere la falsità di un mondo senza confini e senza differenze. È uno dei due grandi intellettuali (l´altro è Bernard Lewis) che hanno saputo scrutare nel cuore stesso della realtà, senza lasciarsi irretire dall´inganno del globalismo.
Mi rimane comunque un dubbio: mi chiedo se gli esponenti dell´islamismo radicale che bussano alle porte d´Europa, o l´aggrediscono dall´interno, siano gli alfieri di un´intera civiltà. Fuggono dal terreno infuocato dell´islam, ma portano il fuoco con sé: sono "nowhere men", sradicati, figli della frontiera tra islam e Occidente, che non appartengono né all´uno né all´altro. Se mai, sono testimoni dell´incapacità dell´islam moderno di provvedere a se stesso e di tener viva la fedeltà dei giovani.
Ma la nota forse più inquietante del libro di Huntington è un´ansiosa incertezza sulla volontà e la coerenza dell´Occidente: il timore che i suoi bastioni non siano sorvegliati e difesi con ogni cura. L´islam, afferma l´autore con preoccupazione, resterà l´islam; ma "dubita" che l´Occidente resti fedele a se stesso e alla sua missione. Chiaramente, il commercio non ci ha esonerati dalle passioni che hanno fatto la nostra storia; e il World Wide Web non ha cancellato i legami di sangue, il senso d´appartenenza e la fede. Non è colpa di Samuel Huntington se abbiamo prestato scarsa attenzione alla sua visone fosca, ma forse più autentica della realtà.

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