L'Italia indebolisce il fronte di pressione sull'Iran l'analisi di Daniele Bellasio
Testata: Il Foglio Data: 15 gennaio 2008 Pagina: 6 Autore: Daniele Bellasio Titolo: «Ministro D'Alema, perché l'Italia rompe il fronte di pressione sull'Iran»
Dal FOGLIO del15 gennaio 2008:
Due giorni fa ad Abu Dhabi il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha detto che le azioni dell’Iran minacciano ovunque la sicurezza; ha spiegato che il regime degli ayatollah, oltre a non concedere al popolo iraniano la possibilità di vivere in una democrazia e in libertà, oltre a volersi dotare dell’irrefrenabile deterrente nucleare, oltre a traccheggiare in finora inutili trattative con la comunità internazionale (dal 2002) sui segreti del suo programma atomico, costituisce la principale causa di instabilità nel già fragile medio oriente. Le affermazioni di Bush non sono, nei fatti, contestate dall’intelligence e dalle diplomazie occidentali. Soldi e armi iraniane hanno foraggiato la guerriglia in Iraq. L’influenza di Teheran è fondamentale per capire le mosse e i pericoli di gruppi come Hamas, Jihad islamico e Hezbollah. La crisi libanese, che fatica a trovare una soluzione nell’elezione di un presidente, è solo un esempio di come la regia destabilizzante di paesi come l’Iran, che controlla gerarchicamente le milizie del Partito di Dio, e la Siria possa e debba preoccupare non solo i cosiddetti “idealisti”, che progettano e auspicano una diffusione nella regione di democrazia e libertà, ma anche le cancellerie e i responsabili politici più inclini alla realpolitik. I confini delle nazioni periclitanti del mondo arabo e musulmano sono infatti spesso dominati da traffici di minacce in diversi modi collegate alla trama di Teheran. La Rivoluzione islamica, anche nelle parole del presidente pasdaran Ahmadinejad, è per sua natura tendente all’espansione. Lo hanno capito per primi i paesi dell’area, che proprio in funzione anti Teheran hanno deciso di avviare un processo di dialogo con gli Stati Uniti e perfino con Israele culminato nel vertice di Annapolis che ha riattivato il processo di pace israelo-palestinese. Ma gli stessi paesi della regione sono così preoccupati che la comunità internazionale non sia salda nelle pressioni sull’Iran che ovviamente non disdegnano di riprendere programmi di armamento, sempre in funzione anti Teheran. Con la liberazione dell’Afghanistan dai talebani e dell’Iraq dal regime baathista gli Stati Uniti hanno offerto ai popoli della zona un’alternativa, la democrazia, alle dittature e al terrore. Contemporaneamente hanno attuato una strategia di accerchiamento della forza propulsiva degli ayatollah. Questo enorme cambio strategico nella regione ha già sortito effetti, non solo ad Annapolis, dove erano presenti i rappresentanti di tutte le nazioni della regione, tranne l’Iran, ma anche in Libano, in Libia, in Marocco, in Giordania, in Palestina. Anche le principali cancellerie europee – Londra, Parigi e Berlino – sono consapevoli che, proprio per scongiurare scenari peggiori, è indispensabile mantenere alta la pressione attorno all’Iran. Per impedire che Teheran abbia la Bomba. Per limitare l’influenza destabilizzante degli ayatollah nell’area. Per rassicurare i paesi arabi sul fatto che la comunità internazionale non permetterà a Teheran di dominare la regione dall’alto del proprio reattore nucleare. Nelle condizioni date appare dunque stravagante e poco responsabile la scelta del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, di definire, come ha fatto domenica durante la trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa, “un’esagerazione” l’analisi di Bush, per poi aggiungere: “Questi toni da parte del capo di una grande potenza li trovo inutilmente allarmanti”. Perché l’Italia, che è impegnata con i suoi soldati in paesi instabili o a rischio d’instabilità come l’Afghanistan e il Libano, deve rompere il fronte della comunità internazionale, dei Sarkozy, Kouchner, Merkel, Brown, tutto teso a contenere le mire destabilizzanti di Teheran? In passato, anche con l’incontro tra il premier Prodi e il presidente Ahmadinejad all’Onu, l’Italia si è già distinta in solitari slanci di apertura al dialogo con il regime degli ayatollah. Perché? A che scopo? Siamo sicuri di volerci prendere questa responsabilità di fronte agli Stati Uniti, all’Europa, ai paesi arabi e al sofferente popolo iraniano?
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