IL MANIFESTO di oggi, 12/01/2008, a pag.11, pubblica con il titolo " Dagli alleati arabi inchini e scetticismo" un articolo di Michele Giorgio, nel quale, evitando di raccontare la visita di Bush a Gersalemme, si limita a bacchettare Abu Mazen e i suoi, a suo dire troppo inclini agli applausi. Quando leggiamo le corrispondenze da Israele del MANIFESTO ci viene sempre in mente una barzelletta. STURMER, il quotidiano del partito nazista. Semplice, risponde, quando leggo che siamo potenti, controlliamo il mondo intero,l'economia è nelle nostre mani, le banche sono tutte nostre, per tirarmi su il morale mi illudo che sia vero>. Noi proviamo lo stesso riflesso nei confronti del quotidiano comunista, l'idea di Israele che trasmette, e insieme anche dell'America, ci fa pensare ad uno stato forte, invincibile. E tutto ciò ci spinge a dimenticare per un momento terrorismo e antisemitismo, sorridiamo persino.
Ecco il pezzo di Giorgio:
George W.Bush ieri,ultimo giorno della sua visita in Israele, ha visitato il museo dell’Olocausto dove, di fronte alle immagini dello sterminio degli ebrei, ha commentato: «Avremmo dovuto bombardare Auschwitz» e si è ripetutamente domandato perché, all’epoca, non venne presa una decisione simile. Poco dopo ha lasciato lo Stato ebraico per il Kuwait, la prima delle tappe in programma tra i suoi alleati nel Golfo. L’evidente scopo del tour è quello di consolidare il fronte anti-iraniano scosso dal recente rapporto dei servizi di sicurezza Usa che ha ridimensionato le capacità nucleari di Tehran, frenando così in conseguenza il desiderio di una nuova guerra del presidente americano. Nelmondo arabo Bush troverà regimi disposti ad assecondarlo e popolazioni scettiche - se non ostili - verso la sua politica in Medioriente. Sondaggi svolti ieri da alcune televisioni satellitari hanno messo in evidenza che buona parte dei cittadini arabi pensa che il viaggio di George W. Bush non stia favorendo la pace, anzi. Il 56% dei telespettatori al Arabiya è convinto che Bush sia venuto nella regione solo per aiutare gli israeliani. «Bush chiede agli Stati arabi di sostenere Israele e intanto annulla sia il diritto dei profughi che la validità delle risoluzioni dell’Onu sulla questione palestinese », ha scritto il quotidiano al Quds al Arabi. «Per consolidare la patria ebraica, Bush cancella il diritto al ritorno dei palestinesi », ha rincarato il libanese a-Safir. Giudizi che vanno alla sostanza degli obiettivi del presidente statunitense, volti a terminare il capitolo palestinese alle condizioni poste dagli alleati israeliani. Non sorprende perciò la soddisfazione di Tel Aviv e la cautela dell’Anp nei confronti della «visione» di Bush. Fonti israeliane hanno parlato di proposte «in linea con quanto ci siamo detti con gli americani ». La soddisfazione ostentata giovedì sera dal premier israeliano Olmert è legittima, perché il presidente americano ha confermato ciò che aveva scritto nella «lettera di garanzie» consegnata nel 2004 al suo precedessore Ariel Sharon: ovvero che Israele non dovrà tornare alle linee del 1967. Nella visione di Bush, lo Stato ebraico devemettere termine all’occupazione ma avrà il diritto di annettersi quelle porzioni di Cisgiordania dove sono situate le principali concentrazioni di insediamenti colonici. Bush ha evitato riferimenti almuro costruito in Cisgiordania e che, di fatto, segna il confine futuro tra Israele e Palestina alle condizioni dettate da Tel Aviv, e, più di tutto, ha avanzato l’idea di un meccanismo di indennizzo internazionale alternativo al diritto al ritorno per i profughi. Infine, non facendo proposte per Gerusalemme, ha avallato l’attuale controllo israeliano sull’intera città, inclusa la sua parte araba (Est), occupata nel 1967. Più chiaro di così non si può, eppure ciò non ha impedito ad Abdallah Abdallah, capo della commissione Esteri del Parlamento dell’Anp, di applaudire Bush. Abdallah sa bene che la continuità territoriale dello Stato palestinese di cui ha parlato il capo della Casa Bianca è un sogno, data la situazione sul terreno. La Cisgiordania è spaccata in quattro zone a causa della incessante espansione delle colonie ebraiche: Nablus e Jenin (nel nord), Ramallah (a ovest), Gerico (a est), Betlemme ed Hebron (a sud). Gerusalemme Est, che i palestinesi rivendicano come la loro capitale, è tagliata fuori dal resto del territorio del futuro Stato, essendo circondata da insediamenti israeliani. Per il presidente dell’Anp Abu Mazen è il momento delle scelte. Bush e Olmert gli chiedono di accettare quello che nel 2000 a Camp David rifiutò Yasser Arafat: la rinuncia al controllo dei luoghi santi islamici e cristiani nel settore Gerusalemme Est e di cancellare la risoluzione 194 dell’Onu che sancisce il diritto al ritorno per i profughi. Avrà Abu Mazen la lucidità necessaria per fare gli interessi del suo popolo?
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