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L'Opinione Rassegna Stampa
11.01.2008 L'ambiguità di Abu Mazen e gli affari con l'Iran di Arabia Saudita, Turchia e Italia
due analisi sul Medio Oriente

Testata: L'Opinione
Data: 11 gennaio 2008
Pagina: 0
Autore: Stefano Magni - Giorgio Bastiani
Titolo: «Sorrisi a Ramallah odio anti-Usa a Gaza - Al gran bazar dei mullah»

Da L'OPINIONE dell'11 gennaio 2008, un'analisi di Stefano Magni sulla scarsa credibilità delle parole di presidente palestinese Abu Mazen:

“Le conferenze di Annapolis e Parigi sono state un buon piano di Bush per arrivare alla pace”: ad affermarlo non è un membro dell’amministrazione presidenziale statunitense, ma lo stesso presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Il quale ha anche dichiarato a Bush, di fronte ai giornalisti: “Lei è il primo presidente americano che conferma la necessità di uno Stato palestinese indipendente e noi diamo grande importanza alla sua visita”. Sia George W. Bush che Abu Mazen sperano di giungere ad un trattato di pace definitivo entro il 2008, dunque entro la fine del mandato del presidente “guerrafondaio”. Le incognite sul terreno sono molte. Se Abu Mazen ha imparato la lezione del “doppio linguaggio” dal predecessore Arafat, dirà sicuramente ben altre cose, in lingua araba, indirizzate al suo popolo. Tanto per cominciare, la popolazione palestinese è stata completamente esclusa dall’incontro al vertice tra i due uomini di Stato.

Il quartiere della Muqata, lo stato maggiore presidenziale, era in assetto di guerra: chiuso al traffico, l’obbligo imposto ai cittadini di restare in casa con le finestre sbarrate e i cecchini appostati sui tetti. Paura comprensibile, visto che i cittadini della Cisgiordania sono stati educati sistematicamente all’odio contro Usa e Israele. Solo il giorno successivo alla conferenza di Annapolis, la televisione ufficiale dell’Anp, quella controllata da Abu Mazen trasmetteva spot propagandistici con la mappa del nuovo Stato indipendente. Era un unico paese dal Giordano al Mediterraneo... comprendente anche tutti i territori israeliani. E, sempre alla fine di novembre, una trasmissione radiofonica della Voce della Palestina tesseva le lodi di Hitler. Tra le altre cose, il nome del dittatore nazista è molto diffuso tra le nuove generazioni locali: Palestinian Media Watch, l’associazione che monitora la propaganda all’odio in palestina, ha rintracciato un Hitler Salah, un Hitler Abu Alrab, un Hitler Mahmud Abu-Libda. Sui libri di storia ufficiali (quelli dell’Autorità, non solo quelli di Hamas) non vi è alcun cenno all’Olocausto, né alla questione ebraica.

Dopo aver educato e indottrinato un popolo alla distruzione del nemico, è quasi impossibile cambiare rotta e indurlo ad accettare un rapporto di buon vicinato. E’ difficile capire, dunque, che cosa intende Abu Mazen quando, alla fine del suo incontro con Bush, parla di “...aspirazione ad uno Stato con Gerusalemme capitale e la fine del problema dei rifugiati”. Stato... con quali confini? In pace o in guerra con Israele? E i rifugiati come possono veder risolto il loro problema? Trasferendosi nelle case dei loro nonni in Israele (e dunque sommergendo etnicamente lo Stato ebraico) o ritornando in una Palestina indipendente entro i confini della Cisgiordania e di Gaza? Sono tutti equivoci che dovranno sicuramente essere chiariti, per evitare di arrivare ad una nuova “sorpresa” come quella che riservò Arafat a Clinton nelle trattative di Camp David nel 2000, quando l’accordo pareva ormai raggiunto e in realtà si scoprì che era l’inizio della II Intifadah. George W. Bush è molto ottimista quando dichiara: “Sono convinto che il suo (di Abu Mazen, ndr) governo produrrà un futuro di speranza”.

Hamas, contrariamente ad Abu Mazen, parla chiaro e senza equivoci. Il suo portavoce ha dichiarato, lo scorso 5 gennaio, che la visita di Bush è solo una “photo opportunity” e serve a “Dare sostegno politico e psicologico all’occupazione (israeliana, ndr)”. Non solo Hamas parla, ma agisce. I militanti del partito islamista al potere a Gaza hanno indetto una violenta manifestazione anti-Usa contro l’arrivo di Bush. “Bruciando la bandiera americana diciamo che il popolo palestinese, il mondo arabo e islamico respingono la visita di Bush” aveva dichiarato, in quella occasione, Mushir al Masri, deputato di Hamas. Ieri, poco prima che il presidente americano e quello palestinese si incontrassero, un gruppo di uomini armati ha lanciato un razzo anti-carro contro la scuola americana nel Nord della striscia di Gaza. Anche dal Libano, Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha parlato fuori dai denti: “La visita del presidente americano George W. Bush in Medio Oriente è una vergogna nella storia dell’Islam”. Hezbollah è una creatura di Teheran che, infatti, prima dell’inizio del viaggio di Bush nel Medio Oriente, aveva rilasciato dichiarazioni analoghe per bocca del Ministero degli Esteri: “Noi giudichiamo questa visita come un’interferenza nelle relazioni dei paesi della regione e come un gesto propagandistico”.

Di Giorgio Bastiani, un'analisi sull'Iran e sui rapporti di affari con il regime di Arabia Saudita, Turchia,  e anche dell' Italia:

“L’Iran è una minaccia alla pace nel mondo”: con questa dichiarazione lapidaria, George W. Bush ha ribadito da Gerusalemme la sua posizione nei confronti del regime di Teheran. Il rapporto Nie, letto erroneamente da molti come la prova che la Repubblica Islamica non vuole dotarsi dell’arma atomica, non ha cambiato le carte in tavola. La visita di Bush in Israele è servita anche al premier Ehud Olmert e al leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, per far nuovamente presente all’amministrazione statunitense quale sia la loro preoccupazione fondamentale: la possibilità di essere cancellati di colpo dalle testate nucleari iraniane. Ehud Olmert ha consegnato a Bush un dossier dell’intelligence israeliana, secondo quanto scrive il quotidiano israeliano “Yediot Ahronot”. Nell’incontro privato tra i due ieri sera a Gerusalemme, Olmert avrebbe tentato di convincere Bush che Teheran continua a sviluppare il programma sulle armi nucleari e che il pericolo rappresentato dall’Iran cresce di giorno in giorno.

“Il nostro incontro verteva soprattutto sulla questione iraniana” - ha dichiarato il leader dell’opposizione likudista Benjamin Netanyahu dopo la visita di Bush - “Ho fatto presente quale fosse la mia posizione e non mi è sembrato che fossimo su due sponde opposte”. Washington, non solo ha dimostrato di recepire a parole il messaggio israeliano, ma ieri ha anche aggiunto altre sanzioni contro l’Iran rispetto a quelle già applicate. Si tratta di un aumento della pressione sul regime dei mullah, anche se si tratta di misure finanziarie che hanno colpito personalità (il generale delle forze Quds Ahmad Foruzadeh, corpo d’élite delle forze armate di Teheran) ed enti (una televisione iraniana che trasmette in Siria) coinvolti nella guerriglia irachena e non nel programma nucleare. Bush ha proclamato più volte e in termini espliciti che il contenimento dell’Iran è uno degli obiettivi fondamentali della sua visita in Medio Oriente. Anche se, sempre ieri, Bush ha ricordato che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, l’isolamento diplomatico e le sanzioni appaiono come l’unica alternativa percorribile alla guerra.

Ma non è facile ottenere dagli altri paesi né l’uno, né le altre. L’Arabia Saudita, che pure ha ricevuto nuovi aiuti militari dagli Stati Uniti, ha comunque mantenuto i suoi legami con il regime iraniano. La Turchia, con la visita del presidente Abdullah Gul negli Stati Uniti, ha fatto sapere che non interromperà i suoi rapporti commerciali con Teheran. L’Iran ha chiuso i rubinetti del gas destinato alla Turchia, giustificando il tutto, ufficialmente, con la rottura di un gasdotto dovuta al freddo. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato ieri che le forniture regolari ricominceranno lunedì prossimo, ma nel frattempo sono del tutto sospese dopo essere state ridotte da 29 a 5 milioni di metri cubi per tutta la settimana scorsa. Può darsi che sia veramente solo un incidente, anche se gli analisti turchi ne dubitano, ma permette di capire in che rapporto di dipendenza dall’Iran si trova il governo di Ankara, il più potente alleato americano nella regione. Neppure l’Italia rinuncia ai buoni rapporti commerciali con il regime di Teheran. Proprio il 9 gennaio, mentre Bush arrivava in Israele, la Edison firmava un contratto di esplorazione/produzione da 107 milioni di dollari con la compagnia di Stato iraniana Nioc per il blocco offshore Dayyer, nel Golfo Persico. D’altra parte: siamo italiani, più realisti degli ayatollah.

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