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La Stampa Rassegna Stampa
10.01.2008 Muri che non fanno scandalo
l'Iran ne costruisce uno al confine con l'Iraq

Testata: La Stampa
Data: 10 gennaio 2008
Pagina: 13
Autore: Tiziana Prezzo
Titolo: «Un Muro tra Iran e Iraq»
Da La STAMPA del 10 gennaio 2008 un articolo sul muro che il regime iraniano sta costruendo al confine con l'Iraq con "l'obiettivo di scoraggiare l'ingresso nel Paese dei militanti curdi del Pjak, organizzazione nata nel 2004 da una costola del Pkk",
E' facile immaginare che questa "barriera difensiva" iraniana non susciterà nell'opinione pubblica altrettanto scandalo di quella israeliana:

Anche dai propri acerrimi nemici ci può essere qualcosa da imparare. E da imitare. Almeno così la devono pensare gli iraniani e a fornirne la prova è un fotoreporter del quotidiano turco «Sabah», che per primo ha immortalato il muro, in perfetto stile israeliano, che gli iraniani stanno costruendo lungo il confine con l'Iraq.
Un muro che si prefigge l'obiettivo di scoraggiare l'ingresso nel Paese dei militanti curdi del Pjak, organizzazione nata nel 2004 da una costola del Pkk. Tra montagne innevate, a volte sferzate da venti gelidi e più volte oppresse da una fitta nebbia, gli iraniani hanno cominciato a mettere le fondamenta di una barriera in cemento armato alta cinque metri e lunga quattro chilometri. Il punto di partenza si trova alla frontiera Hajj Umran, lì dove da una parte del confine sorge la gigantografia di Massud Barzani, governatore curdo del Nord Iraq, poco tollerato dai turchi che lo accusano di dare esilio ai miliziani del Pkk, e dall'altra si ergono enormi i ritratti degli ayatollah Khomeyni, padre fondatore della Repubblica islamica, e di Ali Khamenei, attuale guida suprema dell'Iran.
Quello che il fotografo è riuscito a immortalare, prima di essere avvistato dalle vedette, è lo scheletro del muro: le colonne tra le quali verranno inseriti singoli lastroni di cemento armato. «Mentre mi allontanavo - racconta - un iraniano si è preoccupato di dirmi che il muro non sarà di ostacolo alle relazioni e alla cooperazione tra Iran e Iraq». In realtà, gli iracheni hanno già alzato la voce per quanto sta avvenendo.
Inoltre in molti mettono in discussione l'efficacia di questo tipo di barriera lungo un confine che si estende per ben 1.500 chilometri e che, nonostante i numerosi posti di blocco, si è sempre dimostrato facile da superare. Il Pjak (Partito per una vita libera in Kurdistan), non è conosciuto come il Pkk - responsabile, pochi giorni fa, dell'ultimo sanguinoso attacco nella città turca di Diyarbakir - ma in passato è stato in grado di infliggere perdite significative tra le fila dell'esercito iraniano. Come il Pkk, punta alla creazione di un «Grande Kurdistan», capace di raccogliere i 35 milioni di curdi attualmente divisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Conterebbe un migliaio di militanti decisi a minare la credibilità del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il premio Pulitzer Seymour Hersh, giornalista del New Yorker, ha recentemente affermato che il Pjak starebbe ricevendo aiuti e supporto da Stati Uniti e Israele. Affermazione, questa, smentita dagli Usa e che non trova conferma neanche nelle parole del leader del Pjak Hussein Afsheen, il quale si limita a ricordare che «il supporto logistico e ideologico viene offerto dal Pkk, quello economico dai curdi iraniani».
Com'era prevedibile, la diffusione della notizia dell'effettiva costruzione di un muro contro il terrorismo di matrice curda ha immediatamente animato il dibattito in Turchia, in questa settimana in cui il bilancio delle vittime dell'attentato di Diyarbakir continua ad essere aggiornato. I morti, al momento sei, sono tutti civili: 4 studenti, un padre che attendeva la figlia all'uscita da scuola e un venditore ambulante. «Non credo all'efficacia di queste misure: anche in Israele il muro si è dimostrato un fallimento», commenta Deniz Ulke Aridogan, rettore della Università Bahceshehir di Istanbul ed esperta di terrorismo, «mi auguro che la Turchia non segua mai questa strada, ma che anzi punti a creare nuove porte e finestre con i propri vicini, specie con l'Iraq». Non la pensano però così molti suoi connazionali, che sui siti lasciano messaggi rabbiosi, spesso animati da sentimenti antiamericani. E poi c'è chi sceglie l'arma dell'ironia: «Lungo la nostra frontiera - commenta un lettore del Sabah - non riusciamo neanche a mettere il filo spinato. Figuriamoci un muro».

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