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La Stampa Rassegna Stampa
10.01.2008 Cronache della Fiera del Libro di Torino, parte seconda
Elena Loewenthal risponde al segretario provinciale dei comunisti italiani su Israele ospite d'onore

Testata: La Stampa
Data: 10 gennaio 2008
Pagina: 39
Autore: Elan Loewenthal
Titolo: «Israeliani e palestinesi la letteratura è confronto»
Da La STAMPA del 10 gennaio 2008, un articolo di Elena Lowenthal.
(A questo link la cronaca della vicenda cui si riferisce:

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=23068 )

La Fiera del Libro, con la sua stagionale fioritura per i viali di Torino e il sole estivo che si sgranchisce le ossa, è ancora lontana. Malgrado i rigori invernali, la polemica già avvampa, talmente prevedibile e così precoce da fare allargare le braccia. Siccome il paese ospite della prossima edizione sarà Israele (che compirà i suoi primi sessant'anni in maggio), il segretario provinciale dei comunisti italiani ha lanciato una lettera per chiedere di «associare» all'ospitalità la Palestina. Rimostranza curiosa, questa, in nome di pari opportunità di cui da sempre la letteratura si fa un bel baffo: per fortuna, la parola scritta è ancora uno dei pochi luoghi al mondo in cui non vige la legge della spietata concorrenza, e nemmeno dell'aut/aut commerciale. Un libro non esclude un altro, anzi. Celebrare una letteratura non significa screditarne un'altra, anzi.
Questa protesta, però, è ottusa anche per altre ragioni. Perché ripropone per l'ennesima volta l'idea di un Israele «nemico globale», come se tutto ciò che riguarda questo paese (dalla politica all'high tech, dalla letteratura agli agrumi) fosse «a scapito» d'altro: del suo avversario ma anche della giustizia stessa, della morale comune. In maggio a Torino avremo occasione di ascoltare autori come Oz, Yehoshua, Grossman, che hanno fatto del confronto con l'«altro» - nella fattispecie «il nemico» palestinese - la cifra della loro scrittura. Scrivo per mettermi nei panni degli altri, spiega Grossman in Con gli occhi del nemico. Praticamente tutta la letteratura israeliana contemporanea è guidata dall'esigenza profonda di capire il proprio mondo attraverso e malgrado il conflitto, varcando, almeno sulla pagina, il confine che la guerra stabilisce.
C'è poi un altro aspetto della questione che dà alla protesta del segretario provinciale una sfumatura paradossale. La letteratura palestinese fa anch'essa i conti con la dura realtà del conflitto. Lo fa in modo ironico con scrittrici come Suad Amiry (Sharon e mia suocera), che si rifà ai modelli del compianto Emil Habibi - vittima della solita ottusità quando fu boicottato dal suo mondo arabo per aver ricevuto l'Israel Prize, nel 1992. Ma c'è anche una letteratura palestinese che scrive - magistralmente - in ebraico. Arabi come il poeta Anton Shammas e il giovane narratore Sayed Kashua, che rispondono alla complessità del reale con un intreccio di identità, idee, culture, facendo propria la lingua dell'«altro» per antonomasia. Sfuggendo, loro per primi, agli sterili dogmatismi invocati dal segretario provinciale.

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