Gerusalemme città "neutra" la proposta di Abraham B. Yehoshua sul futuro della capitale d'Israele
Testata: Avvenire Data: 10 gennaio 2008 Pagina: 29 Autore: Lorenzo Fazzini Titolo: «Yehoshua: Gerusalemme città «neutra»»
Da AVVENIRE del10 gennaio 2008
U n silenzioso grido d’aiuto per salvare Gerusalemme rivolto da un ebreo ai cristiani. Con la convinzione che ci si trova davanti a «una città dal significato universale». Lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua (di cui uscirà a breve il nuovo libro, Fuoco amico, per i tipi di Einaudi) affida alla rivista di viaggi Traveller un’appassionata riflessione sull’identità della Città Santa. Nel suo contributo – intitolato «La città che amo e odio» – l’autore de Il Signor Mani racconta il suo rapporto con il «cuore» dei tre monoteismi: una relazione anzitutto esistenziale – «nonostante non viva più a Gerusalemme da quarant’anni, ho legami forti e profondi con questa città» – e anche letteraria, visto che la Città vecchia e i quartieri sorti dopo la nascita di Israele nel 1948 fanno spesso capolino tra le pagine del romanziere oggi residente ad Haifa: «In ogni nuovo romanzo la mia città natale è protagonista di qualche episodio». Ma è su un piano diplomatico che l’intervento di Yehoshua merita una segnalazione, laddove propone una «soluzione politica » per la città sacra ad ebrei, cristiani e musulmani. Tale prospettiva pacificatrice chiama in causa in forma esplicita (con toni quasi ultimativi) il mondo cristiano. Eccola: per Yehoshua è necessario «dividere Gerusalemme in tre parti: una zona ebraica capitale d’Israele, una palestinese capitale della Palestina e (…) trasformare la Città Vecchia – cuore religioso – in una sorta di Vaticano. Ovvero in un’entità apolitica governata dai rappresentanti di cristiani, ebrei e musulmani, così che Gerusalemme possa essere di tutti». Yehoshua convoca il mondo cristiano come «intermediario» tra ebrei e palestinesi, musulmani e figli di Davide, in modo da salvare questo inestimabile scrigno della spiritualità umana: «Sono in collera con i cristiani: non prendono posizione, non si impegnano quanto sarebbe giusto per rivendicare la cura della Città Vecchia. I cristiani dovrebbero allearsi per dire a israeliani e palestinesi: vogliamo essere vostri partner per risolvere la questione di Gerusalemme, perché non possiamo permettere che finiate con il distruggerla». E se i cristiani prendessero questa iniziativa – «una svolta», la definisce Yehoshua – si potrebbe arrivare anche a una nuova en- tità giuridica per la Città Antica: «In quel perimetro sacro non dovrà mai sventolare una bandiera nazionale e i suoi residenti godranno di uno status internazionale. Questa per me è l’unica soluzione. Ma affinché si realizzi, i cristiani dovranno rivendicare con fermezza il diritto a esserne parte e non permettere a israeliani e palestinesi di litigare per ogni pietra». Così dicendo, Yehoshua riecheggia una posizione cattolica che fu già di Paolo VI quando nel 1969, scrivendo alla Conferenza panislamica di Rabat, affermava: «Pensiamo dunque che i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche dovrebbero accordarsi per salvaguardare il carattere unico e sacro dei Luoghi santi e di Gerusalemme in particolare». Ancora Montini aggiungeva nel ’71: «A Noi sembra (…) che sia interesse – e quindi dovere di tutti – che questa Città dai destini unici e misteriosi sia protetta da uno statuto speciale, garantito da un presidio giuridico internazionale». E Giovanni Paolo II, ricevendo il ministro degli Esteri di Israele nel 1982, tratteggiava così la vocazione della Città Santa: «Sia resa un crocevia di pace e di incontro per i fedeli delle tre religioni – cristianesimo, ebraismo e islam». Tanto che nel 1994 i Patriarchi e capi cristiani di Terra Santa rilanciavano l’idea di «accordare a Gerusalemme uno statuto speciale, che le permetta di non essere vittima di leggi imposte come risultato di ostilità o guerre, ma di essere una città aperta che trascenda i conflitti politici».
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