Dall'associazione israeliana Efrat un sì alla moratoria sull'aborto Giulio Meotti intervista il dottor Eli Schussheim
Testata: Il Foglio Data: 10 gennaio 2008 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Da Gerusalemme il sì alla moratoria sull'aborto dei pro life israeliani»
Dal FOGLIO del 10 gennaio 2007, un articolo di Giulio Meotti sull'organizzazione israeliana antiabortista Efrat:
Roma. “Il mio sì alla vostra moratoria è in nome della santificazione della vita che è parte della storia del popolo ebraico”. Il chirurgo Eli Schussheim è un eroe in Israele. Dirige da vent’anni la più grande organizzazione antiabortista. Si chiama “Efrat”. Quando il faraone ordinò l’uccisione di tutti i nuovi nati ebrei, disse alle levatrici: “Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”. Le levatrici disubbidirono: “Non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini”. Una di loro, Miriam, che era anche sorella di Mosè, acquisì così il nome di Efrat, che risale all’espressione ebraica “pru u’revu”, il precetto “siate fecondi e moltiplicatevi”. “Efrat svolge lo stesso ruolo in Israele che ebbe Miriam in Egitto” ci dice Schussheim, che ha combattuto nella guerra dei Sei giorni del 1967 e in quella di Yom Kippur del 1973. “Sono medico chirurgo e salvavo vite umane in Argentina. Sono arrivato in Israele nel 1964 e dopo che la Knesset legalizzò l’aborto, decisi di battermi contro di esso tramite una organizzazione che aiutasse le donne a tenere i loro figli. Molte madri sono state convinte dalla nostra organizzazione a non abortire. Nessuna di loro oggi si pente di averli salvati da un aborto che sembrava inevitabile. Abbiamo aiutato a far nascere 16 mila bambini”. Ruti Tidhar, l’infaticabile guida degli oltre duemila volontari dell’organizzazione Efrat, parla di “restaurare il diritto di scegliere la vita”. Uno dei fondatori, Tzvi Binn, dice che lavorano per una “aliayh interna”, una emigrazione dei non nati dall’estinzione verso la vita. pagina) In Israele il primo motivo dell’aborto ha una causa economica. “Noi aiutiamo queste donne ebree a provvedere al loro figlio, non le paghiamo, diamo loro i mezzi per andare avanti nella vita” ci dice Schussheim, che non si separa mai dalla sua kippà nera di timorato. “Soltanto la cultura e l’educazione possono cambiare l’idelogia abortista, più delle leggi e delle dimostrazioni di piazza”. Il filosofo della perdita ebraica, Hans Jonas, in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit, nell’agosto del 1989, disse che “il nascituro ha un diritto all’esistenza che dobbiamo rispettare. Sono già degli individui in senso legale, necessitano di rappresentanza perché incapaci di farlo da soli. Un vero umanesimo dovrebbe riconoscere il principio inflessibile per cui gli esseri indifesi richiedono protezione”. “Anche la mia è una posizione di devozione alla giustizia tipicamente ebraica” dice Schussheim, che lavora a Kiryat Moshe, un quartiere di Gerusalemme, e ha sedi anche a Brooklyn. Un anno fa Schussheim è stato accolto con tutti gli onori al Senato degli Stati Uniti da un fronte trasversale democratico e repubblicano. E dopo una audizione del fondatore di Efrat, alla fine di dicembre i due rabbini alla guida d’Israele, il sefardita Shlomo Amar e l’ashkenazita Yona Metzger, hanno annunciato la nascita di una commissione che studierà come limitare il ricorso all’aborto. “Sono orgoglioso di aver aiutato queste donne a non abortire” continua Schussheim. “La vera scelta delle donne è non perdere il loro bambino. Noi le aiutiamo con una possibilità materiale”. Joel Shiftan, che fa parte del board direttivo di Efrat, dice che quello che fanno è legato anche all’Olocausto. “Dopo che un milione e mezzo di bambini sono stati assassinati, è un imperativo prevenire aborti e incoraggiare le donne ad avere figli”. E’ il pensiero anche di intellettuali ebrei come Leon Kass, Nat Hentoff ed Eric Cohen: “Come ebrei sappiamo bene cosa significa trattare alcuni esseri umani come meno umani di altri”. Schussheim sa di essere solo in questa battaglia, in un paese dove ogni anno oltre 50 mila bambini non vedono la luce. “E’ la mia solitudine, ma so che devo continuare a spiegare alle donne che stanno mettendo fine con l’aborto a un’esistenza. Vorrei soltanto salvare più vite. Io credo davvero nella sacralità della vita umana, fa parte della storia del mio popolo. Chi salva una vita umana salva il mondo intero”.
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