L'Iran è minacciato, Olmert aiuta Hamas, ai kassam Israele risponde "uccidendo due civili" cronache di fantasia dal Medio Oriente
Testata:Il Riformista - Il Manifesto - Avvenire - Il Sole 24 Ore Autore: Paola Caridi - Michele Giorgio - Barbara Uglietti - Ugo Tramballi Titolo: «Bush riparte da Israele, ma l'obiettivo è l'Iran - Iran, Bush mostra i muscoli - Bush in Israele: Pace possibile - L'Iran minaccia globale»
"Bush riparte da Israele, ma l'obiettivo è l'Iran" titola Il RIFORMISTA del 10 gennaio 2008. L'articolo, di Paola Caridi, non chiarisce che la centralità della questione iraniana deriva dalla minaccia che il regime di Teheran pone alla stabilità regionale e mondiale. Anzi, a leggere l'articolo sembra che Washington ( come Gerusalemme) sia abitata da "falchi" desiderosi di muovere guerra all'iran, senza motivo. Ecco il testo:
Gerusalemme. Nel gioco degli specchi, è difficile capire dov'è - se non la verità - almeno la realtà. Quando poi si usa il caleidoscopio mediorientale, è persino difficile capire dove si è. Scena prima: l'Air Force One atterra all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv alle 11 e 48 di ieri mattina. Dirette tv e, in pista, l'intera Israele politica ad accogliere Gorge W. Bush nella sua prima visita da presidente degli Stati Uniti: leader religiosi (sono stati i due rabbini, l'ashkenazita e il sefardita, ad aprire la lunga fila di chi ha omaggiato Bush), poi l'intero governo, l'opposizione, i rappresentanti delle altre fedi. Soltanto in Israele Bush jr. ha potuto godere di una simile accoglienza. Come se, oltre che l'inquilino della Casa Bianca, fosse per Israele come la regina Elisabetta per i paesi del Commonwealth. Scena seconda: l'aria sonnacchiosa di Gerusalemme, e la rassegna stampa dei giornali israeliani. Timorosi di trovarsi bloccati dalla sicurezza (quasi diecimila poliziotti a governare la tre giorni di Bush), dai cortei dei vip, dalle chiusure a singhiozzo delle strade, i gerosolimitani hanno cercato, per quanto possibile, di rimanere a casa, in una giornata decisamente uggiosa, tra freddo e minacce di pioggia. A lavorare sono i diplomatici, i poliziotti, i politici. E i giornalisti, soprattutto quelli israeliani, nei talk show e nelle innumerevoli analisi accurate su che cosa sia veramente venuto a fare Bush. E su che cosa succederà ora che Hillary Clinton, la più decisa sostenitrice di Israele tra i candidati alle presidenziali Usa, è riuscita a battere Barack Obama nel New Hampshire. Lì, nel circo mediatico, la gioia, la deferenza, l'orgoglio che si percepiva sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion lascia il campo a un cinismo profondo. Un esempio per tutti: il durissimo attacco che Ben Caspit, editorialista politico di punta di Ma'ariv , ha lanciato dalle colonne del suo quotidiano, uno dei più ascoltati d'Israele. Bush non è un'anatra zoppa, è un «elefante zoppo», e «noi israeliani siamo il suo negozio cinese». «Il danno che Bush ha causato al mondo e agli Stati Uniti è eclissato solamente da quello che ha fatto in Medio Oriente», scrive Caspit. L'attacco è tutto alla strategia mediorientale di Bush: «La democratizzazione che sta continuando a cercare di instillare negli stati arabi sta mettendo a fuoco la regione». Dall'Iraq sino all'Iran, il vero convitato di pietra di queste ore israeliane di Bush. Strano. Per l'establishment politico israeliano, invece, è proprio la "visione" di Bush il cuore di un'accoglienza incredibilmente calda. Come se Bush fosse stato l'unico, strenuo, tetragono difensore dell'Israele di Sharon e ora di Olmert. Bush ha avuto ragione, dal 2001 in poi. Lo ha fatto capire Shimon Peres, nel suo primo discorso davanti all'Air Force One. E lo aveva detto lo stesso Bush nelle interviste rilasciate alla vigilia del suo tour mediorientale. La sua politica nella regione era ed è giusta, aveva detto ai due notisti politici dello Yedioth Ahronot . Tanto giusta che i contemporanei non l'hanno compresa e solranto la storia le renderà merito. Ma la storia, per il momento comunque, può ancora attendere. Ora Bush deve portare a casa un risultato prima di cedere il proprio ruolo, ed è per questo che - pur avendolo evitato per tanti anni - ha deciso, alla fine del doppio mandato, di essere l'ennesimo inquilino della Casa Bianca che investe prestigio e fatica sul dossier israelo-palestinese. Bush vuole essere però, almeno formalmente, solo il supervisore. Nessun incontro a tre, dunque. Nessuna riunione congiunta tra Bush e i due leader che dovrebbero arrivare a un accordo entro la fine del 2008, e la conclusione dell'amministrazione Bush. Ma intanto le pressioni americane hanno raggiunto un risultato: il meeting tra Olmert e Mahmoud Abbas di martedì, per dire che, sì, ci si occuperà dei «punti chiave» del negoziato. I soliti, da sempre: Gerusalemme, rifugiati, confini, colonie. La questione israelo-palestinese, il faticoso percorso dei negoziati sono, però, soltanto il fondale del palcoscenico. In ballo c'è altro, in una visita, quella in Israele e in Cisgiordania, aggiunta all'ultimo momento nel tour mediorientale che - sino al recente cambiamento di programma - aveva come obiettivo soprattutto il consolidamento dei rapporti tra Stati Uniti e paesi del Golfo. Annapolis, ma soprattutto il rapporto Nie degli organismi di intelligence sul nucleare iraniano, hanno fatto riprogrammare il viaggio di Bush nella regione più calda della sua presidenza. La priorità è una sola e indiscussa. La strategia verso l'Iran, da ricalibrare però dopo il rapporto del National Intelligence Estimate che ha avuto l'effetto di una doccia ghiacciata su chi già voleva scaldare i motori di una nuova operazione militare nella regione. E se qualcuno avesse nutrito dubbi sulla centralità del dossier iraniano, ci ha pensato il presidente Peres a chiarire subito dov'è la sostanza del viaggio di Bush. «Non sottostimare la minaccia iraniana», ha ricordato Peres già alle primissime battute del suo discorso all'arrivo del presidente americano, ancor prima di accennare alla pace con i palestinesi. Se l'Iran ha smesso di pensare al programma nucleare militare nel 2003, la via diplomatica è l'unica percorribile, sembrano dire molti paesi del Golfo, che hanno aperto canali importanti di comunicazione con Teheran, soprattutto nelle ultime settimane. E che non vogliono mettere in pericolo non solamente gli equilibri politici e la pace, ma anche il redditizio momento economico del Golfo, dove il surplus di guadagni decretato dal caro-petrolio sarebbe invece messo a rischio dai venti di guerra verso l'Iran. La via diplomatica e delle sanzioni pare essere stata scelta anche da Bush, che su questo è stato molto preciso proprio di fronte all'audience israeliana. Sostegno «senza se e senza ma» a Israele, nel caso in cui l'Iran attaccasse. Ma gli Usa, al momento, preferiscono di gran lunga la strada della pressione politica, perché il rapporto Nie ha tolto il casus belli dal dossier. Certo, i casus belli sono sempre dietro l'angolo, come dimostra il caso dello Stretto di Hormuz di tre giorni fa. Ma il rapporto Nie è stato fondamentale. Lo dice anche il risultato della riunione ad alto livello che il governo israeliano, assieme ai vertici militari e dell'intelligence, ha tenuto domenica. Le informazioni in mano a Israele sul nucleare iraniano collimano al 90% con quelle americane, secondo le indiscrezioni di fine riunione raccolte da Yediot Ahronot . Tutti, insomma, sanno che ora più che mai il dossier iraniano è più importante di quello sul conflitto israelo-palestinese. Lo dice il percorso che seguirà Bush, dalla Giordania al Kuwait, assieme a Egitto, Emirati Arabi, Bahrein, Arabia Saudita. Lo dice soprattutto la nebbia che circonda la politica americana verso Teheran da dicembre a oggi. Israele vorrebbe diradarla, quella nebbia, visto che il suo assetto verso l'Iran di Ahmadinejad si è modificato soltanto di pochi gradi. E Bush invece - pur pensandola allo stesso modo sulla strategia del regime iraniano - sa che ora è necessario calibrare di nuovo il proprio arsenale. Politico e diplomatico prima ancora che militare.
Michele Giorgio sul MANIFESTO è molto più esplicito nel dipingere Israele e Stati Uniti come aspiranti aggressori dell'Iran:
È solida e strategica l'alleanza tra Stati Uniti e Israele, soprattutto quando si parla dell'Iran e del suo programma di produzione di energia nucleare. Il presidente americano non lo ha nascosto ieri nel primo dei tre giorni di visita nello Stato ebraico. Ha attaccato con veemenza Teheran e avvertito che Washington non esiterà a usare la forza per «difendere» i suoi interessi, in riferimento all'incidente di domenica scorsa nello stretto di Hormuz tra le forze navali dei due paesi. L'Iran ha descritto come un «falso» il filmato su Hormuz reso pubblico dagli americani e minimizzato l'accaduto ma gli Usa, annunciavano ieri dal Dipartimento di stato, faranno scattare sanzioni contro il generale Ahmed Foruzandeh, comandante delle forze iraniane di elite al-Qods e di alcuni iracheni rifugiati in Iran. Sanzioni che puntano al casus belli? In ogni caso le parole di fuoco pronunciate da Bush sono state musica per le orecchie del premier israeliano Ehud Olmert, che ha offerto all'alleato più stretto uno spettacolo fatto di fiori, danze, cori e festeggiamenti senza precedenti. Il presidente americano ha contraccambiato tanto affetto perdonando un agente segreto israeliano che negli anni '80 mise in pericolo la sicurezza degli Usa. Bush stasera inviterà al suo ricevimento anche Rafi Eitan che oltre vent'anni fa fece precipitare Israele e Usa in una rara crisi di rapporti, guidando una rete di spionaggio di cui fu protagonista Jonathan Pollard, un ufficiale dei servizi di intelligence della marina statunitense, che passò a Israele informazioni segrete di eccezionale importanza. E mentre Olmert e Bush tenevano il loro incontro a Gerusalemme, discutendo di Iran e «terrorismo», a Gaza due civili palestinesi, Khadra Wahdan e Mohammed Kafarna, venivano uccisi dall'esercito israeliano che ha colpito «per errore» la loro abitazione invece di una presunta base di attivisti armati. Un terzo palestinese è stato ammazzato a nord della Striscia. Ufficialmente volto a rilanciare il negoziato diretto israelo-palestinese, ripartito a fine novembre ad Annapolis, il viaggio di Bush in Israele e in sei paesi arabi si sta rivelando una missione anti-iraniana, in vista di un ulteriore inasprimento delle sanzioni contro Teheran e della preparazione di un attacco militare ritenuto da molti solo questione di tempo. Bush ieri non ha usato mezze parole. Ha detto con tono perentorio che gli Stati Uniti sono pronti a ogni soluzione pur di difendere gli interessi nazionali di fronte ad «atti ostili» di Teheran. «Tutte le opzioni sono sul tavolo per difendere i nostri interessi», ha affermato. D'altronde era stato un alto responsabile israeliano ad anticipare che i colloqui tra Bush e Olmert non avrebbero affrontato, se non di striscio, il negoziato israelo-palestinese ma sarebbero stati incentrati sulla crisi iraniana. «Riguarderanno principalmente l'Iran. Il primo ministro presenterà al presidente dei nuovi elementi raccolti dai servizi di intelligence israeliani dopo la diffusione del rapporto dei servizi americani», ha riferito il funzionario, confermando di fatto che la recente pubblicazione delle relazione delle principali agenzie di intelligence Usa - che ha ridimensionato la portata delle ambizioni nucleari di Teheran - ha rotto le uova nel paniere di chi a Washington e Tel Aviv preparava un attacco all'Iran. In Medio Oriente c'è piena consapevolezza dei reali obiettivi della missione di Bush e la stampa araba non ha mancato di sottolinearli. Il giornale panarabo Al Arab On-Line ha scritto che l'inquilino della Casa Bianca «viene per istigare gli arabi alla guerra all'Iran». «Bush si appresta a sparare la sua ultima cartuccia», è stato invece il commento di al Hayat che in una vignetta mostra Bush con in mano una colomba della pace gonfiata ad aria. In un'altra si vede il leader palestinese Abu Mazen andare a tutto gas su una moto senza ruote con la didascalia: «Sta partendo per le trattative». Stamani a Ramallah Bush vedrà proprio Abu Mazen, tra eccezionali misure di sicurezza e raduni di protesta. Il presidente palestinese vuole progressi reali al tavolo delle trattative ma Bush ha chiarito che gli Usa «faciliteranno» il negoziato e non proporranno soluzioni. Il «progetto di pace» che piace a Washington è quello israeliano. Il presidente Usa non è andato oltre il ripetere la sua richiesta di rimozione degli avamposti colonici israeliani in Cisgiordania, senza però mettere sotto pressione Olmert.
Barbara Uglietti su AVVENIRE scrive che Israele avrebbe "risposto" ai lanci di razzi kassam
uccidendo un militante della Jihad e due civili
La morte di civili in azioni israeliane contro i terroristi, che se ne fanno scudo, non è intenzionale. Non è dunque una "risposta", ma una tragica conseguenza della necessità per Israele di difendersi. La "risposta" è quella contro i lanciatori di razzi e i loro mandanti.
Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE commenta una dichiarazione di Olmert:
"Gaza deve far parte del pacchetto negoziale, fino a che non sarà risolto non ci sarà pace tra israeliani e palestinesi". Non potrà dunque esserci accordo solo con la parte moderata del potere palestinese bicefalo che sta in Cisgiordania. Ma agaza comanda Hamas, che né gli israeliani né Abu Mazen sanno come togliere di mezzo. Per quanto inutile, è una vittoria degli estremisti islamici:la condizione posta da Olmert offre ad Hamas il potere ci fermare anche la pace con la Cisgiordania
In realtà la fraseriportata constata semplicemente un dato di fatto. Finché da Gaza verrano sparati i razzi kassam e si proclamerà l'obiettivo di distruggere Israele, la pace non ci sarà. Olmert non ha "offerto" proprio nulla ad Hamas, ha semplicemente ricordato che per Israele la "pace" deve comportare garanzie per la sicurezza dei suoi cittadini. Detto in altri termini: deve essere una vera pace, non una concessione senza contropartita. L'interpretazione di Tramballi è assurda e distorta.
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