Dal GIORNALE del 10 gennaio 2008:
Due leader determinati a cercare una pace perigliosa, ma che non si dimenticano per un attimo del terrorismo come nemico principale: questo è stato ieri l’impatto fra Bush e Olmert e la loro comune promessa. Pace e lotta alla jihad, anche a quella iraniana. In più tre sorprese e quattro diversi sfondi. George W. Bush è arrivato in Israele verso mezzogiorno sospendendo il respiro stesso della nazione legata all’America da tutti i fili più fragili e importanti: la democrazia, la resistenza al terrorismo, il senso del confine, la palestra bellica... Gerusalemme era silente e nebbiosa, niente auto, i negozi e le scuole chiusi, solo migliaia di poliziotti e gli uomini della sicurezza americana nei dintorni dell’Hotel King David.
I teatri: il primo quello dei sorrisi, del jet lag che chiude gli occhi della Rice seduta, l’ossessivo lavoro della sicurezza, le cravatte di Olmert, Peres e Bush e i tailleur pantalone di Tzipi Livni e di Condi. Il secondo: bandiere israeliane e americane in fiamme, dimostrazioni di Hamas a Gaza, slogan furiosi per mettere in difficoltà Abu Mazen. Il terzo teatro: Sderot, disperata in un giorno terribile, con gli altoparlanti che gridano «colore rosso», la parola d’ordine che preannuncia i missili kassam. Ne sono stati sparati dieci da Gaza: un ferito, case distrutte, urli di sirene, madri in lacrime che corrono di qua e di là con neonati senza rifugio. Il quarto: due incursioni dell’esercito israeliano per bloccare l’attacco, due nidi di missili distrutti a Gaza e due morti.
Shimon Peres prima, e poi Olmert con Bush sono arrivati quasi alle pacche sulle spalle, Peres ha baciato Condi, si sono sentiti una quantità di reciproci complimenti: alla conferenza stampa a casa del premier è stato riaffermato l’impegno per la pace entro il 2008 deciso ad Annapolis, la necessità di sacrifici consistenti e, da parte di Bush, la fiducia in Abu Mazen e Olmert. Notevoli il reiterato impegno di Bush a legare il tema della pace con quello della lotta al terrorismo, un apprezzamento diretto della bravura di Israele a lottare e restare democratica, la descrizione decisa della crudeltà di chi uccide innocenti, donne e bambini, per perseguire scopi fanatici e insensati. Bush ha ribadito, alla vigilia di un giro che lo porta in Paesi nessuno dei quali è democratico, nell’individuazione della democrazia il bene supremo e portatore di pace per il mondo arabo.
La sorpresa maggiore si è avuta sull’Iran: Bush ha spiegato che l’Iran per lui è e resta un Paese pericoloso, e che se anche nel 2003 ha interrotto la produzione della bomba atomica, o ci è già tornato o ci può tornare in ogni momento. Gli Usa si impegneranno a fondo per fermarlo, ha detto, e nonostante abbia parlato di sanzioni come strumento principale, il tono era quello di chi corregge l’idea che gli Usa se ne resteranno a braccia conserte se Ahmadinejad dovesse insistere con i progetti aggressivi. Bush ha ribadito il diritto di Israele a difendersi: «Questo sarà, oggi, il primo problema di cui parlerò ad Abu Mazen». Ha spiegato che lo Stato palestinese a cui puntano le trattative in corso comprende Gaza, e che nessuna sua parte dovrà essere una sentina terroristica. Bush ha enumerato fra i problemi da affrontare quello del diritto al ritorno: Condi annuiva. Infine Olmert ha menzionato l’impegno di Israele a sgomberare gli avamposti illegali degli insediamenti, ma ha aggiunto che su Gerusalemme esistono leggi e problemi di sicurezza. Bush ha taciuto.
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