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La Stampa - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
09.01.2008 Due analisi basate su omissioni e distorsioni
a proposito della visita di Bush in Medio Oriente

Testata:La Stampa - Il Sole 24 Ore
Autore: Igor Man - Antonio Bandini
Titolo: «Bush in Medio Oriente tra i cocci di Annapolis - La sfida della Casa Bianca ? Far decollare Annapolis»

Non fosse stato per l'assassinio di Rabin gli accordi di Oslo avrebbero portato alla pace in Medio Oriente, sostiene Igor Man sulla STAMPA del 9 gennaio 2008, nella sua analisi sul viaggio di Bush in Medio Oriente, pubblicata a pagina 29.
E gli attentati suicidi palestinesi iniziati ben prima della morte del premier israeliano ? E il no di Arafat a Camp David ?  E  l'ascesa dell'Iran a potenza regionale, i suoi piani atomici, i suoi piani di distruzione di Israele, il suo sostegno al terrorismo palestinese e a quello di Hezbollah ?

Tutti fatti trascurabili, la cui menzione viene omessa per poter indicare nei conflitti interni alla società israeliana la causa del perdurare del conflitto israelo-palestinese.

Israele, come tutte le democrazie, non è esente dalla pratica della violenza politica, che tuttavia si è espressa in episodi tragici ma isolati che non hanno intaccato la capacità del paese di prendere le grandi decisioni sulla pace e sulla guerra e di comporre le lacerazioni che esse comportano (come prova, da ultimo, il ritiro da Gaza).

Abu Mazen, forse per il sospetto che possa non appoggiare il terrorismo come il suo predecessore Arafat, è qualificato da Man come possibile "Quisling" , dunque come un collaborazionista.

Marwan Barghouti, in carcere per cinque omicidi, come possibile "Mandela palestinese" e come "chiave per la pace".
Sarebbe un'opinione discutibile, ma legittima, se Man non omettesse anche qualsiasi informazione sul capo terrorista.

Ecco il testo:

Storico», così un portavoce della Casa Bianca a corto di immaginazione ha definito il viaggio (comincia oggi) del presidente Bush in Medio Oriente. È il primo viaggio nel Vicino Levante di Dabliù presidente degli Stati Uniti e il suo percorso, studiato con il bilancino del farmacista, ripropone alla mente i giorni, essi sì «storici», che precedettero la guerra contro Saddam Hussein reo di aver stuprato il Kuwait, cassaforte mondiale d’oro giallo e nero, business center del mondo occidentale più ricco. Certamente il ladro di Baghdad (la definizione è di Le Monde) autore di tanto scippo andava punito, «ma se il Kuwait avesse prodotto broccoli?», si chiese il New York Times. Allora a guidare gli Stati Uniti era il grigio padre dell’attuale presidente, quel George Bush ispirato da un segretario di Stato di grande equilibrio e carisma, George Baker III forgiatore di una coalizione anti-Saddam che comprendeva persino il Leone di Damasco, quell’enigmatico Assad che aveva messo a disposizione dei sottomarini dell’Urss il porto siriano di Lattakia. Anche allora si definì «storico» il fronte anti-Saddam, anche nella vigilia della Desert Storm ci furono incontri «storici», tanto è vero che alla prima Guerra del Golfo seguì la Conferenza di Pace di Madrid, invero un accadimento storico. In forza di un’intelligente acrobazia diplomatico-protocollare, non fu Arafat il capo della delegazione palestinese ma il pediatra dottor Al Shaafi, rispettato esponente di Al Fatah.
Grazie agli Stati Uniti, alla presenza armata (ma discreta) dei GI in Arabia Saudita, il «Vaticano dell’islam», la Conferenza di Madrid fu la premessa (epocale) dei rimpianti accordi di Oslo. Retrospettivamente concorderemo con chi allora li definì «abborracciati» ma è pur vero che se non avessero ammazzato Rabin oggi in Terra Santa regnerebbe la pace fra due Popoli di Dio ancorché non senza difficoltà. E questo grazie, appunto, agli accordi di Oslo. Oggi è tutta un’altra storia e Bush in fatto viene a raccogliere i cocci di Annapolis: tanta euforia per nulla. Ma quella conferenza non aveva sancito la validità una volta ancora della road map della pace? Il dopo Annapolis è sconfortante: Hamas ha fatto della striscia di Gaza un avamposto provocatore, una Fort Alamo mediorientale dove fanatismo suicida e analfabetismo politico producono una mistura incontrollabile anche per gli stessi apprendisti stregoni con la kaffia. In Cisgiordania deperisce giorno dopo giorno il «presidente» della cosiddetta Autorità palestinese, il buon palazzinaro Abu Mazen rassegnato a tutto fuorché al ruolo di Quisling.
Su questo sfondo il viaggio di Bush in Medio Oriente rasenta il patetico. Egli s’è impegnato a proporre «validi compromessi» su Gerusalemme Est palestinese, sui rifugiati, e dulcis in fundo il riconoscimento (da parte dei palestinesi) dello Stato degli Ebrei: Israele. Come osserva un israeliano-doc, il prof. R. A. Segre, «il massimo delle concessioni che Israele è disposto a fare è molto lontano dal minimo che i palestinesi possono fare senza rischiare la vita».
Si vuole che oggi per Bush sia molto più facile strappare concessioni al primo ministro Olmert. Ma costui, descritto in difficoltà a causa del rapporto Viniograd che tronca la sua guerra del Libano, in fatto sembra aver superato ogni crisi, personale e di governo.
Sicché i «compromessi» di Bush finiranno fatalmente nel cassetto dei sogni. Paradossalmente i ruoli andrebbero rovesciati: l’anatra zoppa Bush non ha, fuor di Israele, amici-alleati. Di più: Israele ha salde in mano le chiavi della crisi nucleare iraniana e della stabilità energetica internazionale. Ergo Dabliù ha più bisogno di Olmert di quanto il premier israeliano non abbia bisogno di Bush. Sotto Olmert il terrorismo suicida è pressoché scomparso, i palestinesi-bene sembrano essersi rassegnati al nullismo del buon Abu Mazen, la crisi libanese grazie all’Onu s’è fatta piuttosto controllabile e questo apre ipotesi di scenari niente affatto cruenti con la Siria.
La Palestina può attendere. Ma cosa? Forse semplicemente un accadimento oggi come oggi inimmaginabile. Intendiamo la liberazione di Barghouti, il leader palestinese in galera con quattro ergastoli sulle spalle forti di patriota non rassegnato. La chiave della pace in Palestina è un Mandela palestinese. Barghouti? Non è impossibile.

Antonio Badini nella sua analisi pubblicata dal SOLE 24 ORE a pagina 8 lamenta che

circa due mesi fa la Siria ha subito nel suo territorio un raid israeliano senza che la comunità internazionale ne dibattesse almeno le ragioni(...)
Così come è innegabile che a Teheran gli americani non hanno mai proposto, per la rinuncia al nucleare, il pacchetto di aiuti che hanno invece concordato con la Corea del Nord

Ricordiamo che il raid israeliano in Siria era probabilmente diretto a un'installazione nucleare fornita proprio dalla Corea del Nord, uno Stato che gli aiuti non hanno reso meno canaglia di prima.
Con l'Iran ha a lungo negoziato l'Europa, ma lo scambio tra sospensione del programma nucleare e aiuti economici non è mai stato contemplato dal regime.

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