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Storia | |
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Nel 1919 le potenze vincitrici della 1a guerra mondiale convocarono a Londra una conferenza che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi della Palestina, appena uscita dalla dominazione Ottomana durata quattro secoli. E non fu difficile, fra uomini di buona volontà e cultura, spinti da interessi convergenti, trovare in breve tempo un’intesa. Ma l’emiro Feisal Ibn al-Hussein e il dottor Chaim Weizmann non avevano fatto i conti con gli interessi delle grandi potenze dell’epoca, all’apice della loro gloria dopo la guerra vittoriosa . La Francia e, soprattutto, l’Inghilterra, pur di assicurarsi tutti gli appoggi possibili, cominciarono a promettere agli uni e agli altri quel che il giorno successivo avrebbero negato. Da allora, e fino alla fine della 2a guerra mondiale, non si contarono i congressi convocati qua e là, le risoluzioni e i documenti pubblicati in contrasto con quanto asserito fino al giorno precedente, con promesse fatte ora ad un contendente, ora all’altro. In tal modo l’Inghilterra riuscì a trasformare due popoli amici in nemici, forse per l’eternità. Ogni documento stilato dal politico di turno, catapultato per caso sul palcoscenico del Medio Oriente, aveva la capacità di ingarbugliare ulteriormente una situazione che solo pochi anni prima sembrava avere già trovato la sua soluzione. E in tal modo le parti si sentivano legittimate a reagire, anche contro la potenza mandataria, con la violenza. Moyne, ministro di Stato britannico, e Bernadotte, il primo mediatore inviato dall’ONU, per non citare che due dei casi più significativi, furono uccisi perché non mantennero le promesse fatte dai loro predecessori; lo stesso attentato che colpì l’Hotel King David non fu altro che l’ennesima reazione, per altro preannunciata, a soprusi considerati inaccettabili. Finita la 2a guerra mondiale, gli USA si affacciarono anch’essi sulla scena del Medio Oriente, senza avere, apparentemente, interessi diretti da difendere con la stessa pervicacia dimostrata fino ad allora dalla Gran Bretagna, ormai grande potenza in declino. Ma in quel momento si piazzò, ben ferma sulla testa dei contendenti, l’atmosfera della guerra fredda, destinata a sostituirsi, per alcuni decenni, al teatrino dei congressi e delle risoluzioni sempre dimostratosi inutile quando non dannoso: cosa vi era stato di peggio, infatti, che imporre ai contendenti, lontani dal poter concordare una pace, delle soluzioni che contraddicevano ogni intesa precedente. E, a differenza di quanto di solito accadde nella storia delle nazioni, ogni nuovo conflitto si è concluso per imposizioni esterne, non riconosciute giuste dai contendenti, ma imposte per soddisfare gli interessi delle altre potenze. E’ per tale ragione che è sempre stato impossibile arrivare ad un accordo. Solo Sadat, alla conclusione di un conflitto molto sanguinoso, fu capace, fra gli arabi, di guardare in faccia la realtà e trovare una soluzione “definitiva”. Ma gli arabi, anche a causa del fanatismo religioso radicatosi in Egitto ad opera dei Fratelli musulmani, lo avversarono in ogni modo, fino ad ucciderlo, come già avevano fatto 30 anni prima con il re di Giordania Abdullah, per ragioni quasi identiche. E dal giorno della morte di Sadat quella pace, tanto voluta da lui e da Begin, non fu più una vera pace. Basti pensare che in tanti anni Mubarak si è recato in terra di Israele solo per assistere ai funerali di Rabin. E basti pensare a quel che si dice, quasi ufficialmente, nella capitale egiziana e nei suoi media, a proposito dell’amico Stato di Israele. Ma intanto, e sempre di più, tutte le Potenze, coinvolte nel conflitto direttamente o no, cercarono di trovare una loro soluzione a problemi all’apparenza sempre più insolubili. Vi fu chi forniva armi e denaro, destinati a sconfiggere l’avversario, e vi fu chi lanciava (Saddam Hussein), anche da lontano, missili nel tentativo di conquistarsi qualche vantaggio personale. Fra tanti scenari di battaglie, fra tanti odi sempre più profondi, gli USA sono oggi rimasti soli, in realtà, a cercare col vecchio, tradizionale sistema degli incontri imposti ai contendenti, di imporre loro una pace che, al momento, non sembra vicina. Certo, ci sono stati, negli anni, dei momenti, come a Camp David, Madrid, Oslo, Wye River o Sharm el Sheikh, quando sembrava che i problemi potessero essere risolti. Ma un attento osservatore non poteva non vedere come, in realtà, gli argomenti più difficili restavano accantonati per il giorno dopo. Si è così arrivati ad Annapolis, alla decisione di trovare la soluzione dei problemi entro il 2008. Anche questa volta, però, le condizioni poste non sono sufficienti. Se infatti uno osserva quanto, ad esempio, passa quasi ogni giorno nelle televisioni controllate da Abu Mazen (non solo in quelle di Hamas!), viene spontaneo chiedersi come cittadini così indottrinati potranno arrivare ad una pace col “nemico” ebreo. E così non basterà la pressione fortissima che durante l’ultimo anno della presidenza Bush verrà esercitata sulle parti. Non credono a questa pace né gli arabi moderati (che pur esistono, anche se hanno poca visibilità), né gli israeliani più aperti. I primi sono consci di non poter firmare accordi che assicurino l’esistenza dello Stato di Israele senza firmare anche la propria condanna a morte. I secondi sanno di non poter comunque concedere molto più di quanto già offerto senza firmare la condanna a morte per il proprio popolo. Sarà dunque inevitabile una nuova guerra, combattuta fino alla fine dai due contendenti, finché le parti, dopo la vittoria sul campo del più forte, si siederanno, da sole, per concordare una pace duratura. Questo ci ha insegnato la storia dei conflitti fra i popoli, ma forse a ciò non si arriverà tanto presto, in un conflitto che dura da quasi cento anni. Emanuel Segre Amar |
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