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La Stampa Rassegna Stampa
06.01.2008 Mercoledì arriva Bush in M.O.
I servizi di Maurizio Molinari da New York e Francesca Paci da Gerusalemme

Testata: La Stampa
Data: 06 gennaio 2008
Pagina: 15
Autore: Muarizio Molinari-Francesca Paci
Titolo: «Bush: impedire l'effetto-primarie in Medio Oriente-Come se Annapolis non ci fosse mai stata»

Sul prossimo viaggio di George W.Bush in Medio Oriente, la STAMPA di oggi, 06/01/2008 pubblica a pag.15 due servizi. Il primo di Maurizio Molinari, corrispondente da New York. Il secondo da Gerusalemme di Francesca Paci.

Ecco il primo: " Bush: impedire l'effetto-primarie in Medio Oriente"di maurizio Molinari:

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Spingere Ehud Olmert e Abu Mazen ad accelerare verso il trattato di pace, mettere sotto pressione l’Iran e fare campagna per la democrazia: sono questi i tre obiettivi con cui il presidente americano, George W. Bush, parte martedì per un viaggio di otto giorni che lo porterà a visitare sette Paesi della regione che è in cima all’agenda dell’ultimo anno alla Casa Bianca.
È lo stesso Bush a preannunciare che cosa ha in mente in una raffica di interviste, discorsi e dichiarazioni dei suoi collaboratori che nelle ultime 48 ore hanno voluto preparare il terreno alla maratona che inizierà a Gerusalemme e Ramallah, lo porterà nel Golfo in Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi ed Arabia Saudita prima dell’ultima tappa a Sharm El Sheik, in Egitto.
«Sono un ottimista, esiste la possibilità di arrivare all’accordo sullo status finale fra Israele e palestinesi» assicura Bush al giornale israeliano «Yedioth Aharonot», spiegando che l’intesa verterà su «come sarà lo Stato palestinese» sulla mappa, lasciando poi alle parti il compito di realizzare quanto concordato. Bush inizia la missione incontrando Ehud Olmert e Abu Mazen, per spingere ad accelerare un negoziato lanciato con enfasi quasi 40 giorni fa ad Annapolis ma che poi ha frenato.
Durante la tavola rotonda con un gruppo di giornalisti arabi Bush ribadisce che il trattato israelo-palestinese è «possibile entro l’anno» ma per chiudere la presidenza con questo successo deve riuscire a disinnescare le frizioni fra Abu Mazen e Olmert. Da qui la richiesta a Israele di «smantellare gli insediamenti illegali» che impediscono in Cisgiordania la definizione del confine come anche la decisione di «aumentare gli aiuti ai palestinesi per rafforzare l’apparato di sicurezza» ed essere così in grado di prevenire atti di terrorismo come anche di garantire la stabilità del futuro Stato. «Serve una migliore catena di comando per le forze palestinesi» dice il presidente. Per ora la Casa Bianca non conferma l’ipotesi di un summit a tre con Olmert e Abu Mazen - di cui avevano parlato i palestinesi - ma la prudenza cela le pressioni in atto per sbloccare il processo di Annapolis.
Con la campagna delle primarie in America già iniziata, Bush sa di non avere molto tempo a disposizione per arrivare a «due popoli, due Stati» e se sbarca in Medio Oriente in coincidenza con il voto in New Hampshire è perché teme l’impatto delle elezioni Usa nel molto volubile Medio Oriente, dove i leader locali potrebbero essere tentati dall’aspettare il successore anziché fare accordi con un presidente in uscita.
Proprio per scongiurare questo scenario, Bush ha studiato un programma all’offensiva su più fronti. A Dubai farà l’unico discorso del viaggio sull’«Agenda della libertà» per rilanciare «il ruolo dell’America a sostegno dei riformatori e dei democratici da Beirut a Baghdad, da Damasco a Teheran». E nei colloqui nel Golfo tesserà la strategia del contenimento aggressivo di Teheran «principale minaccia regionale». Senza contare la possibilità di una tappa a sorpresa in Iraq.

Il secondo: " Come se Annapolis non ci fosse mai stata", di Francesca Paci:

La hall del King David è il solito andirivieni di facoltose americane dai capelli azzurrini e businessmen délabré. Ma è sufficiente un’occhiata per riconoscere tra gli ospiti del prestigioso hotel gli uomini della security, il doppio rispetto a un qualsiasi sabato mattina. «Torneremo a essere un albergo normale solo alla fine della prossima settimana» ammette Sheldon Ritz, responsabile dell’accoglienza della delegazione di George W. Bush. Il presidente americano è atteso per mercoledì e i suoi uomini ispezionano le sale in cui si svolgerà la maggior parte degli incontri, tranne la visita a Gerico e allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto. Tre giorni di permanenza, 8 mila agenti, le 237 stanze del King David requisite e blindate: un evento come neppure i funerali del premier israeliano Rabin.
Eppure, basta allontanarsi dall’antico quartier generale dell’autorità britannica in Palestina per avvertire quanto le aspettative su Bush riflettano la delusione del post-Annapolis. Era un mese e mezzo fa, sembrano passati anni. Israeliani e palestinesi che si erano addormentati sognando l’avvenire, la conferenza di Parigi e poi, a grandi passi, l’accordo di pace di fine 2008, si son risvegliati nel peggior passato. Hamas che affina i missili Qassam e rilancia la resistenza irriducibile bersagliando Sderot, il Negev, la periferia di Ashkelon; l’esercito israeliano in trincea a Gaza; il ritorno della violenza a Hebron; l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania inarrestabile nonostante l’ammonizione dello stesso Bush. In mezzo, il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen, partner di speculare debolezza.
«Di Annapolis restano le illusioni» nota Akiva Eldar, analista del quotidiano Haaretz e autore del bestseller «Lord of the Land», una storia delle colonie dal ‘67 a oggi. «Se non cambia la quotidianità dei palestinesi ogni negoziato è destinato a fallire.
Tutto dipende dalla capacità di Abu Mazen d’investire i soldi ottenuti a Parigi e, soprattutto, dalla disponibilità israeliana a togliere i check point, allentare la pressione, liberare l'economia dei Territori». È quanto si attende dalla visita di Bush? Dan Schueftan, direttore del Centro Sicurezza Nazionale di Haifa, è scettico: «Il presidente americano viene a discutere di Iran. Annapolis è stata una bella vetrina, Olmert è in buona fede, ma i palestinesi non sono preparati. Abu Mazen è un ologramma che non rappresenta nessuno». Nonostante l’ottimismo sbandierato dalla Casa Bianca gli israeliani ci credono poco. Gli Stati Uniti appaiono lontani dalla hall del King David tirata a lucido, distratti dall’Iran, dal Pakistan, dall’Iraq.

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