Dall'OPINIONE di oggi, 05/01/2008, l'analisi di Dimitri Buffa sulle relazioni israelo-egiziane.
“Non oso nemmeno pensare cosa accadrebbe tra Israele e l’Egitto se il potere non fosse saldamente in mano a Mubarak”.
Un paio di settimane fa queste frasi proferite dal premier israeliano Ehud Olmert hanno fatto il giro del mondo. E i bene informati sapevano perfettamente cosa sottintendessero.
Il fatto è che tra Egitto e Israle le cose non vanno più bene per niente. Non come una volta almeno. E “la pace fredda” oramai è diventata gelida. Recentemente era stata la ministra degli esteri Tzipi Livni a esternare a brutto muso proprio con Mubarak quali fossero le lamentele dello stato ebraico: l’Egitto fa poco, anzi niente, per fermare i rifornimenti di armi che arrivano a Gaza attarverso il valico di Rafah che proprio lo stato governo da Mubarak dovrebbe controllare. Inoltre la crescente islamizzazione della società dvuta allo strapotere culturale, anche se non politico, dei Fratelli mussulmani, sta diventando un serio problema: non solo perché Hamas e la fratellanza musulmana sono praticamente la stessa cosa ma anche perché i cristiani copti d’Egitto sono ormai usciti allo scoperto indirizzando una lettera aperta all’ambasciatore d’Egitto in Italia in cui lamentano le persecuzioni e le vessazioni che sono costretti subire nella società egeiziana sempre più islamizzata.
E ormai Mubarak sta ai membri più estremisti della Muslim Brotherhood, né più né meno come Musharraf in Pakistan sta ai jihadisti talebani e di Al Qaeda. Il ruolo è identico: quello del pesce in barile che teme per la propria incolumità. E anche i servizi segreti egiziani, così come quelli pakistani, sono contaminati dal virus del fanatismo islamico. Israele afferma che, viste le tonnellate di esplosivi contrabbandate nella striscia di Gaza nei mesi scorsi, non c'era altra possibilità che affrontare di petto l'Egitto sulla questione. Già da qualche tempo gli ambienti della difesa esprimono forte insoddisfazione per la condotta egiziana sulla questione dei traffici illegali verso Gaza e Israele meridionale. Alti esponenti della difesa israeliana sostengono che gli egiziani, pur non prendendo parte attiva nei traffici, tuttavia chiuderebbero spesso un occhio. Secondo l'intelligence militare israeliana del Comando Sud, armi ed esplosivi transitano per il deserto del Sinai praticamente indisturbati, per poi passare dentro la striscia di Gaza attraverso la ben nota rete di tunnel sotterranei. Gli israeliani dicono d'aver notato un forte incremento del volume di queste attività nel corso dell'ultimo anno. Oltre ad armi e materiali per la fabbricazione di bombe, passano anche terroristi e grosse somme di denaro.
E i copti da parte loro supplicano l’ambasciatore d’Egitto in Italia di piantarla con le ipocrisie natalizie. Così: “..caro ambasciatore Helmy Abd el Hameed Saleh Bedeir a Natale non venga a farci visita…per anni, infatti, il governo egiziano ha utilizzato il giorno del Natale della Chiesa Copta per dimostrare all’occidente di promuovere il pluralismo religioso. Le visite degli ufficiali egiziani, inoltre, sono sempre accompagnate da messaggi di propaganda, in cui si sottolinea che il governo non fa distizioni fra i suoi cittadini di qualsiasi credo essi siano. Ma così non è. Noi Copti (quasi quindici milioni di persone soltanto in Egitto) e altre minoranze come i Baha’i sono in realtà continuamente discriminati dal governo egiziano sia sul posto di lavoro, sia nella vita quotidiana.” Insomma se il dopo Mubarak fa paura a tutti, a cominciare dai cittadini israeliani, anche il “durante” non è che sia così roseo.
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