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La Stampa Rassegna Stampa
05.01.2008 Cristiani in pericolo in Egitto
Le cronache di Giacomo Galeazzi e Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 05 gennaio 2008
Pagina: 17
Autore: Giacomo Galeazzi-Francesca Paci
Titolo: «L'Sos dei copti in Egitto-Mubarak islamizza il suo Paese, per noi diventa un calvario»

Dura repressione contro i cristiani in Egitto. Sulla STAMPA di oggi, 05/01/2008, due servizi a pag. 17. Il primo di Giacomo Galeazzi, da Roma, con il titolo " L'Sos dei copti d'Egitto ". Il secondo, di Francesca Paci, da Gerusalemme, con il titolo " Mubarak islamizza il suo Paese, per noi diventa un calvario ".

Ecco il primo, di Giacomo Galeazzi:

Fermate l’Egitto». Per rompere il silenzio sulla persecuzione subita, i copti si appellano alla Santa Sede e alla diplomazia internazionale. In occasione del Natale della Chiesa Copta Ortodossa, il 7 gennaio, i diplomatici egiziani in Europa e in Vaticano sono invitati a «non recarsi in visita alle Chiese Copte». La loro presenza «non è gradita», scrive Ashraf Ramelah, presidente della «Voce dei copti», l’associazione costituita in Italia e negli Usa per la protezione dei cristiani d’Egitto contro le discriminazioni (dai bar vietati alle donne cristiane, alla legge restrittiva sulla costruzione di chiese, a impedimenti nel lavoro).
L’Occidente fa finta di non sapere che dietro il «moderato» Egitto si nascondono i finanziatori dell’espansionismo dei «Fratelli Musulmani». Un Sos lanciato nel pieno di un’escalation di violenza: poche settimane fa, i fondamentalisti hanno bruciato vivo un copto e poi gli hanno tagliato i genitali. Ogni giorno si verificano sequestri di ragazze cristiane, violentate e costrette a convertirsi all’Islam da elementi dei «Fratelli Musulmani»; arresti senza prove di attivisti copti da parte dei servizi segreti; ragazzini cristiani convertiti a forza dal governo perché i loro padri sono diventati musulmani; negozi e case di copti saccheggiate e bruciate.
Da questo humus culturale e religioso anti-cristiano provengono molti predicatori delle moschee italiane. E che l’azione di camuffamento sia ben concertata, secondo la «Voce dei copti», viene dimostrato anche dal fatto che ogni anno, i diplomatici egiziani e membri del governo visitano le Chiese copte in Egitto e all’estero durante la festività natalizia: «Nonostante siano sempre stati ricevuti, la loro presenza non è mai stata gradita. Quindi, chiediamo di annullare questa visita di facciata». Da tempo, infatti, il governo egiziano ha utilizzato il Natale copto per dimostrare all’Occidente di promuovere il pluralismo religioso. «Le visite degli ufficiali egiziani sono sempre accompagnate da messaggi di propaganda, in cui si sottolinea che il governo non fa distinzioni fra i suoi cittadini di qualsiasi credo. Ma non è così.- denuncia la «Voce dei copti»-.Noi cristiani siamo discriminati dal governo sia sul posto di lavoro, sia nella vita quotidiana».
Un allarme raccolto in Vaticano. «I copti soffrono, la vita per loro è particolarmente difficile- osserva il cardinale Achille Silvestrini che da prefetto delle Chiese orientali ha più volte visitato l’Egitto-.Sono l’ultima comunità cristiana numerosa rimasta in un mare islamico». Per i cattolici è ancora peggio, concorda padre Venanzio Milani, presidente dell’agenzia missionaria Misna: «Ormai il regime ha gettato la maschera. L’Italia e l’Ue, sempre pronti a firmare documenti anti-cattolici, continuano a fare finta di niente». Intanto le persecuzioni nei confronti dei copti assumono le forme più drammatiche del martirio dei cristiani, inclusi rapimenti seguiti da crocifissioni compiute dalle forze di sicurezza egiziane. Le crocifissioni sono avvenute per gruppi di 50 persone, letteralmente inchiodate a croci oppure ammanettate a porte, con le gambe legate, picchiati e torturati con corrente elettrica nelle zone genitali, dalla polizia che li accusava di essere «infedeli». Inoltre, durante incursioni nel villaggio copto di El-Kosheh, vicino Luxor, alcune adolescenti sono state rapite e, nei posti di polizia, una decina di bambini sono stati picchiati con bastoni davanti alle loro madri.
Le notizie che si sono diffuse nonostante il terrore che impedisce alla gente di parlare sono giunte fino al Congresso degli Usa, dove 29 parlamentari hanno sottoscritto un appello a Mubarak per porre fine alle torture. «La Chiesa copta vive con coraggio lo stillicidio di discriminazioni sociali e politiche, sostenuta da un’ampia pratica religiosa, dai 30 monasteri (con oltre 5.000 fra monaci e monache)», evidenziano in Vaticano.

E il secondo, di Francesca Paci:

Rania con la pashmina panna sul capo lascia una banconota da venti schekel, circa quattro euro, nel cestino davanti alla tela della Deposizione. La chiesetta copta di Sant’Elena, a ridosso del Santo Sepolcro, tace dopo due ore di funzione in arabo. «Ho pregato per mia sorella che vive al Cairo», dice Rania Rimelah, giustificandosi. Venti schekel sono una ricca offerta per lei che ne guadagna seicento al mese lavorando come sarta a Beit Hanina, alla periferia di Gerusalemme. Ma a Natale si può strafare, la causa merita il sacrificio: «In Egitto i copti non vivono bene come da queste parti, hanno bisogno delle nostre orazioni». Nel vicolo di fronte una croce in legno d’ulivo indica la nona stazione della Via Crucis, il punto in cui Gesù condotto a morte cadde la terza volta.
«Ogni minoranza ha il suo Calvario», sentenzia padre Efraym Eloroshle, 48 anni, la barba folta arruffata, la cuffia in testa nera come la tonaca e la croce copta sul petto. Studiava in un monastero nel deserto vicino ad Alessandria fin quando, nel ‘94, il patriarcato di Gerusalemme lo chiamò nella Città Santa, accanto al vescovo Amba Abraham. Qui, al crocevia delle tre religioni monoteiste, i conflitti interconfessionali sono pane quotidiano, un’arena dove neppure i cristiani sanno accordare una lingua comune e negoziano ogni pietra. La cappella dei copti, alle spalle dell’edicola del Santo Sepolcro, è poco più d'un altare concesso nel 1600 dai Francescani in cambio della possibilità di celebrare nella Chiesa della Sacra Famiglia al Cairo. Padre Efraym non pare scosso dalla protesta della «Voice of the Copts»: «E’ una storia nota. Ufficialmente in Egitto non c’è persecuzione dei copti, ma ci sono molte limitazioni. Il nodo non è religioso ma politico. I fanatici sfruttano l’analfabetismo di gran parte dei musulmani e indirizzano il malcontento economico contro i cristiani».
Tra Gerusalemme, Jaffa e Nazareth vivono duemila copti ortodossi, una goccia dei dodici milioni sparsi per il mondo. «La situazione è buona, eppure siamo sempre in una terra di nessuno», osserva padre Ibrahim, del monastero di Sant'Antonio. Minoranza della minoranza, sono considerati arabi dagli israeliani e occidentali dai palestinesi musulmani che pure, quando possono, mandano i figli a studiare nelle prestigiose scuole cristiane, due delle quali copte.
«I copti egiziani patiscono l’islamizzazione della società egiziana incoraggiata dal presidente Mubarak in funzione antifondamentalista», spiega Sergio Minerbi, ex ambasciatore israeliano a Bruxelles, storico ed esperto di cristianesimo mediorientale. Una strategia rischiosa: «Dopo che il governo ha assicurato sgravi fiscali ai condomini dotati di moschea ogni palazzo del Cairo ne ha aperta una».
Nidal Rimelah racconta alla sorella insulti e minacce. Rania ascolta, trema, si raccomanda a Sant’Elena. Una preghiera d’intercessione, la preferita dal Cardinal Carlo Maria Martini, «conseguenza della legge della mutua appartenenza degli uomini all’umanità». Quando era arcivescovo di Milano Martini donò ai 5 mila copti milanesi San Celestino, una chiesa chiusa. A Gerusalemme rilancia la sfida: «Dio ci chiede di occuparci del nostro prossimo intercedendo per lui con la preghiera, il segreto del vero dialogo interreligioso». E l’augurio alle comunità copta, armena e ortodossa che domani notte celebrano il Natale nella Basilica della Natività di Betlemme, dove una settimana fa i loro monaci si sono picchiati per un quadrato di terra santa.

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