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La Repubblica Rassegna Stampa
03.01.2008 I crimini della Wehrmacht
Uno sguardo al passato, per non dimenticare

Testata: La Repubblica
Data: 03 gennaio 2008
Pagina: 37
Autore: Vanna Vannuccini
Titolo: «Crimini nascosti,la Wehrmacht e i suoi orrori»

Su REPUBBLICA di oggi, 03/01/2008, a pag. 37 una interessante analisi di Vanna Vannuccini, dal titolo " Crimini nascosti,la Wehrmacht e i suoi orrori ". uno sguardo al passato, per non dimenticare.

«Che faccia! La tollererebbe una faccia così nel suo reggimento, Signor Generale?» Quando Kurt Meyer, soprannominato "Panzermeyer", arriva come unico generale delle SS a Trent Park, la tenuta nobiliare tramutata in campo di prigionia per gli ufficiali tedeschi di alto rango, i generali della Wehrmacht storcono il naso. Da tempo si sono messi d´accordo per scaricare sulle SS tutta la responsabilità dei crimini di guerra. Alcuni, come l´ufficiale della riserva Eberhard Wildermuth, che poi fu ministro della Ricostruzione nel primo governo Adenauer (una strada a Stoccarda porta ancora il suo nome), delineano già la strategia per costruire l´immagine di una Wehrmacht dalle mani pulite, alla cui ombra gli sgherri del regime consumavano i loro delitti efferati. Fu un´immagine dura a morire, che resistette fino alla metà degli anni 90, quando un milione e mezzo di tedeschi visitarono la contestata mostra itinerante sui «Crimini della Wehrmacht».
Il dibattito si è riacceso in questi giorni in Germania dopo che la Zdf ha mandato in onda una serie televisiva su Trent Park, basata sul libro Intercettati (Verlag) dello storico tedesco Soenke Neitzel. Neitzel ha pubblicato ampi estratti delle intercettazioni che l´intelligence britannica fece, dall´agosto del ´42 all´autunno del ´44, dei discorsi dei generali tedeschi. Churchill aveva protestato per il trattamento lussuoso che era stato loro riservato a Trent Park, ma l´intelligence aveva insistito che un buon cognac francese davanti al caminetto avrebbe sciolto loro la lingua, e aveva avuto ragione. Pur consapevoli di poter essere ascoltati, le notizie della radio, la lettura dei giornali (a volte falsificati dall´intelligence), l´arrivo di sempre nuovi prigionieri e gli agi fecero presto dimenticare i sospetti.
Nessuno del resto immaginava che vi fossero microfoni dappertutto e che ogni parola venisse sistematicamente registrata da emigranti tedeschi che lavoravano per l´esercito britannico. I colloqui sono stupefacenti per franchezza. I generali parlano dei crimini commessi dai loro reggimenti, discutono di strategia, sembra che si sentano ancora nei loro quartier generali intenti a spostare le bandierine di carta sulle mappe geografiche. Naturalmente ogni spostamento significava migliaia di morti - altrui e propri - ma questo non importava. Parlano di «vittorie perdute» come se fossero partite di bridge. Una cacofonia di arroganza e prudenza. Radere al suolo, liquidare, fare tabula rasa sono i verbi più usati. La guerra di annientamento era l´insegna anche della Wehrmacht.
Che cosa pensavano di Hitler, di come sarebbe andata a finire la guerra, chi vedevano come futuri protagonisti della scena mondiale? E perché la Wehrmacht combatté fino all´ultimo, quando la guerra era ormai sicuramente perduta? «Questi protocolli sono un´occasione straordinaria per gettare uno sguardo nella mentalità della Wehrmacht» dice Neitzel. «Sarà interessante anche vedere le differenze rispetto agli italiani, anche loro ospiti di Trent Park. Il più importante tra loro era il generale Giovanni Messe, che dopo la guerra diventa capo di Stato Maggiore dell´Esercito, una figura significativa. Anche loro parlano liberamente dei crimini commessi in Grecia e nei Balcani. All´inizio della guerra sono molto positivi sui tedeschi, poi il giudizio gradualmente cambiò. Sarà interessante studiare quanto fascisti fossero i comandi dell´esercito italiano, una cosa che la storiografia non ha ancora fatto appieno».
Neitzel, insieme a Amedeo Osti del Deutsch-Historisches Institut, sta lavorando a un progetto triennale per esaminare le 50.000 pagine di intercettazioni di cui finora ha pubblicato solo la parte relativa alla Wehrmacht. Quelle pagine erano state rese accessibili dall´Archivio di Stato britannico dal 1996, ma nessuno storico le aveva ancora studiate. Neitzel c´è capitato per caso, dopo aver trovato dei riferimenti nel libro dell´americano Michael Gannon.
C´è un tipico ufficiale tedesco? «A Trent Park ci sono due gruppi: quelli che difendono Hitler a spada tratta, sono imbevuti di dottrine razziste e antisemitismo (discutono seriamente se i russi siano da considerarsi bestie, come sostiene Hitler, o uomini). Come il generale Cruewell, che fino all´ultimo crede nella vittoria: gli americani si ritireranno, dice, quando si renderanno conto che il bacillo ebraico ha infiltrato il loro popolo. Sono gli ebrei che vogliono annientarci uno ad uno. Sanno che il pensiero nazionalsocialista si diffonderà nel mondo e cercano spasmodicamente di salvarsi, sostiene. Ma c´è anche una minoranza non nazista che stigmatizza i crimini di guerra. Uno dice che la Germania merita di perdere la guerra per quello che ha commesso, un altro, il generale von Choltitz, riconosce: anche noi siamo colpevoli. Però poi viene fuori che anche la divisione del generale bavarese von Thoma, il più antinazista di tutti, aveva eseguito il Kommissarbefehl, l´ordine del Fuehrer di fucilare i prigionieri russi. E Cruewell commenta: era davvero così sbagliato quell´ordine? Perfino coloro che sono a favore dell´attentato a Hitler del 20 luglio, e vorrebbero la fine della guerra per evitare inutili spargimenti di sangue, non sono disposti a lanciare per radio un appello alla resistenza, come proponevano gli inglesi. La soglia da superare era troppo alta», dice Neitzel.
«Parigi brucia?» s´informò personalmente Hitler dal generale von Choltitz, che secondo gli ordini ricevuti avrebbe dovuto combattere fino all´ultimo uomo o radere al suolo la capitale francese prima di ritirarsi. Choltitz non lo fece e fu celebrato dopo la guerra come il salvatore di Parigi. Ma egli stesso rivela di non aver avuto abbastanza bombe. E parlando con Thoma ammette di aver partecipato ai massacri degli ebrei: «Il compito più duro che ho eseguito - e tuttavia l´ho condotto alle ultime conseguenze - è stata la liquidazione degli ebrei», afferma. In un´altra occasione racconta: «Arrivai all´aeroporto dopo la caduta di Sevastopol insieme al Capo di Stato Maggiore. Il comandante venne ad accoglierci, si sentivano degli spari. State facendo delle esercitazioni? chiesi. E lui: Per l´amor di Dio, non posso parlare. Qui da giorni vengono fucilati gli ebrei».
Al che il generale Broich aggiunge: «Ma la storia più ridicola è quella che racconta Wildermuth. In una fabbrica croata erano stati uccisi un paio di tedeschi, non una cosa grossa, ma il comandante del battaglione decise una rappresaglia dura e fece uccidere tutti i 600 operai, inclusi i capisquadra tedeschi, dei quali nessuno si era ricordato. Tornò al campo dicendo: per Dio, hanno fatto fuori anche i miei! La vicenda fu regolata senza chiasso». Choltitz racconta anche di quando al Gauleiter di Oldenburg, Karl Roever, che lo congratulava per il suo reggimento che era appunto di Oldenburg, osò dire che i suoi uomini non sopportavano più l´uccisione degli ebrei e la persecuzione delle suore e dei frati cattolici. E´ l´ordine del Fuehrer! urlò Roever, intimandogli di mandare un rapporto ogni giorno in cui non fossero stati uccisi almeno mille ebrei. «Che diranno quando troveranno le fosse comuni in Polonia?» si chiede il generale d´artiglieria Neuffer. «Ho visto un treno a Ludowice diretto a Minsk, era terribile, carico di uomini donne bambini piccoli, da inorridire. Naturalmente non sono poi andato a vedere come venivano uccisi». Naturalmente. I generali avevano uno chauffeur che risparmiava loro certe visioni. E se proprio non potevano sottrarsi, aiutava, come racconta un altro, la bottiglia di vodka nello zaino.
«Perché la Wehrmacht abbia continuato a combattere fino all´ultimo se lo chiedevano anche gli inglesi», spiega Neitzel, «e in effetti a Trent Park questo era un tema spesso discusso. Ma la maggioranza era talmente impregnata di ideologia nazista da sostenere che i russi volevano sterminare il popolo tedesco e che l´unico modo per impedirlo fosse perdere con onore. Quando arrivano gli ultimi alti ufficiali fatti prigionieri nella primavera del ´45 e dicono che la guerra è persa, gli altri chiedono: perché allora avete continuato a combattere? E qui è chiaro come sia difficile uscire dal sistema militare in cui questi ufficiali sono inseriti. Come vi immaginate una cosa simile? rispondono. Gli americani attaccano e noi non spariamo? Tutti, nazisti e antinazisti, parlando delle loro esperienze di guerra dicono sempre: ho combattuto fino all´ultima pallottola, il mio battaglione è stato l´ultimo a ritirarsi. Era questo l´ethos militare». Alla fine qualcuno sarebbe anche pronto a collaborare, come fecero gli ufficiali tedeschi prigionieri a Mosca, ma i britannici non fanno offerte, convinti che il militarismo tedesco fosse un male non minore del nazismo.

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